L'arte della bugia

Dire bugie è un'arte che non tutti si possono permettere e coloro che non conoscono quest'arte, sono costretti a dire sempre la verità. In questi casi la loro defaillance si trasforma in virtù.

La mia prima bugia l'ho detta in terza elementare, quando l'insegnante mi chiese il nome di mio padre e io le risposi dicendole il nome del compagno di mia madre.

La maestra mi accusò di essere una bugiarda e ai miei occhi risultò la più grande traditrice di questo mondo.
Come avrei potuto dirle il nome di mio padre, che viveva lontano da me, se tutti i bambini della classe conoscevano, come mio padre, il compagno di mia madre? In questo caso mentii per vergogna. Oggi, la sindrome di Pinocchio assume proporzioni smisurate: si mente anche davanti all'evidenza.
L'arte consiste nell'essere convincenti e sicuri di sè, ovviamente ciò accade quando la motivazione per la quale mentiamo è alta. Si mente per invidia, per gelosia, per insoddisfazioni, per amore, per cattiveria, per ostentare, per negare l'evidenza, per costruirsi un'immagine diversa, per giocare con una doppia personalità.


Più la motivazione è forte, più siamo portati a mentire con disinvoltura, oserei dire che la bravura è proporzionale alla  motivazione
La letteratura è ricca di esempi: Penelope, con i proci, Rossella O'Hara in Via col vento, Edmond Dantes nel Conte di Montecristo, Madame Bovary, Anna Karenina, in tutti questi casi la posta in gioco è alta e di conseguenza la bugia è necessaria per sopravvivere.
Dante condanna i bugiardi all'Inferno mutilandoli di varie parti del corpo secondo la legge del contrappasso e i dannati prendono atto solo ora, in seguito alla mutilazione, del male effettuato.


Di solito chi mente non percepisce mai il pericolo a cui va incontro ma  è portato a vedere solo l'esigenza che lo spinge a mentire. Si mente soprattutto per emozioni secondarie come l'imbarazzo, il senso di colpa, la timidezza, la vergogna, l'orgoglio.
La bugia può essere un piccolo scherzo, un puro divertimento, o una necessità di mascherarsi o proteggersi, o simulare situazioni che si desiderano fortemente ma di cui mancano i presupposti, per difenderci da attacchi o semplicemente per crearci una personalità che non è la nostra e, quindi, per una mancanza di autostima.

Spesso, dietro ad atteggiamenti scanzonati e molto esuberanti, si nascondono personalità fragili e deboli che, per essere forti, hanno bisogno di crearsi una rete di protezione attraverso le bugie.

Il bugiardo ha una mimica strepitosa, non parla mai in prima persona ma al plurale, mantiene uno sguardo lontano evitando di incrociare quello dell'interlocutore, ha la mania di toccarsi i capelli, aggiustarsi gli abiti ed è sempre evasivo, non dà mai risposte nette, sempre approssimative. A vederlo come elabora le sue bugie è un divertimento ma in situazione di normalità, risulta essere debole e quasi poco credibile.

Se usassimo quest'arte, così radicata nel costume italiano, per affinare qualità' e tecniche ai fini di nobili cause, invece di abbandonarci in una palude di incertezze, forse impareremmo a vivere senza la maschera, che ci costringe, tra l'altro, a dare anche la parte peggiore di noi.
Ma sappiamo anche che, quanto più un sentimento è profondo e produce in noi malessere, tanto più abbiamo bisogno di mascherarci,  non ce la facciamo ad essere semplicemente quello che siamo, abbiamo bisogno di un alter ego. Nietzsche affermava proprio questo: "Ogni sentimento profondo ha bisogno di una maschera".
In tal modo, non si vuole giustificare la propensione a essere bugiardi o a definire gli Italiani un popolo profondo e quindi abilitarli alla bugia, ma semplicemente che, molte volte, l'arte si affina anche per questioni molto profonde che mai verranno alla luce, ma emettono segnali consistenti che denotano il male di vivere di ognuno di noi.

























































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