L'eroe perdente

Tra le opere di Giuseppe Verdi, il Don Carlos si distingue per la sua genesi compositiva, la storia e lo stile. Tratta da un dramma di Schiller, riscosse un grande successo di pubblico soprattutto per l'introspezione psicologica dei personaggi, per la trama di grande effetto e per le innovazioni musicali.
E' un dramma che mi ha colpito molto per l'umanità dei personaggi, per il destino al quale devono piegarsi, per la solitudine di ciascun personaggio.
E' un'opera in cinque atti, rappresentata per la prima volta nel 1867 a Parigi.
Carlo, s'innamora della matrigna, Elisabetta di Valois, figlia di Enrico II di Francia, andata in sposa al padre, Filippo II di Spagna in seguito ad accordi politici. Stiamo davanti a un personaggio storico di grande levatura politica se pensiamo che la monarchia cattolica di Filippo II fu per tutta la seconda metà del cinquecento la maggiore potenza europea. Carlo nella realtà morì nel 1568 a soli 23 anni, di malattia, ma la leggenda lo vuole in competizione col padre per amore della stessa donna. Verdi dà al fatto storico un abito nuovo e tutta la storia si snoda intorno al dramma d'amore. I personaggi sono di grande spessore a cominciare da Filippo II, Carlo V, l'Inquisitore, l'amico di Carlo, marchese di Posa, la contessa di Eboli, Tebaldo. La scoperta dell'amore tra i due personaggi avviene nella foresta di Fontainebleau, complice la notte. Poi subito dopo il protagonista prende atto della scoperta che lei invece è destinata a suo padre. Lo stesso Filippo scopre il loro amore e cade in una solitudine indicibile, nel terzo atto, dove, attraverso un monologo, ricorda il loro innamoramento, chiedendosi se lei lo avesse mai amato (Ella giammai m'amò). Carlo, in preda al dolore, prende allora a cuore le sorti del popolo delle Fiandre fino a scontrarsi col padre che lo consegna all'Inquisizione. Molto forte anche il concetto d'amicizia, quello che lega Carlo al conte di Posa così come ha un grande ruolo anche il personaggio della contessa d'Eboli, ma anche l'amicizia tra Filippo II e Posa nel quale vede il figlio che avrebbe voluto. L'animo dei personaggi emerge con grande maestria grazie anche all'ausilio della musica che ha una funzione rivelatrice. Carlos dovrà difendersi al cospetto dell'Inquisitore per aver sfidato il padre e all'ombra del grande genitore soccombe e accetta passivamente quanto il destino ordina e predispone per lui. La solitudine invade padre e figlio: il padre non è più sicuro dell'amore di Elisabetta e deve sottomettersi alla Chiesa così come Carlo si deve arrendere a quell'amore, seppur ricambiato, perché non gli è concesso. Carlo è un eroe perdente e manifesta la sua fragilità facendo regredire il suo sogno.
Icona dell'opera è la scena del terzo atto dell'autodafé dove si alternano gioia e terrore, vita e morte. Nelle tre figure principali di Filippo, l'Inquisitore e Carlo, le tre facce di un unico ruolo, quello del padre naturale, spirituale e progenitore è implicata una motivazione edipica con una proiezione indissolubile e conflittuale di potere e di affetti.
Il re è un uomo estraneo alla sensibilità del figlio, che non conosce profondamente e non si fa carico né delle sue emozioni né delle sue debolezze. Un uomo di grande ingegno politico e di grande fascino, tanto da indurre Elisabetta I d'Inghilterra a dire che sarebbe stato l'unico uomo in assoluto che avrebbe potuto sposare, ma non altrettanto capace nella vita privata: fa uccidere Posa perchè lo tradisce per i suoi ideali, si sottopone al volere della Chiesa, oltre a fallire nella sua sfera privata e ad avere un cattivo rapporto col figlio. La ragion di stato è la vera protagonista dell'opera dove tutti i sentimenti retrocedono per fare spazio a un mondo regolato dalla politica. È un'opera dove l'amore si scontra con la gelosia, con il senso dell'onore, con l'amore non corrisposto e con la sofferenza quando non è ricambiato o quando l'impossibilità di manifestarsi produce indifferenza.

È un'opera dal contenuto moderno che vede anche noi protagonisti quando ci lasciamo irretire da interessi e aspetti venali lasciando languire la nostra sfera emozionale e sentimentale. Se Filippo II avesse conosciuto le sofferenze del figlio e se ne fosse fatto carico, non avrebbe cercato l'amore di una giovane fanciulla che poteva essere sua figlia, per suggellare un accordo politico, così come Carlo quinto, se non avesse indotto suo figlio Filippo a crescere in fretta e in nome della politica, avrebbe potuto vivere una paternità migliore invece di essere solo grande uomo politico europeo del suo tempo. A volte le situazioni che ci ritroviamo a vivere non sono altro che l'eredità di quello che ci lasciano e siamo costretti a coprire piaghe e ferite che difficilmente rimarginano e per questo far soccombere i nostri sogni. 

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