Il percorso creativo della scrittura

La scrittura è un percorso che sappiamo dove inizia ma non dove ci porta. E' un flusso continuo di vita che scarichiamo sul foglio come la registrazione del mondo che si rivela a noi continuamente.
Scrivere è una passione che produce gioia, quando raccontiamo il nostro tempo interiore nel suo continuo divenire, completamente diverso da ciò che accade all'esterno.

Si comincia a scrivere per un fatto scatenante, un momento particolare della nostra vita, durante il quale si mettono in moto azioni e reazioni a catena che non possono più fermarsi, possiamo semplicemente prenderne atto e trasformare questo mondo in qualcos'altro.

La scrittrice inglese Virginia Woolf visse in pieno quest'esperienza. Nacque nel 1882 e all'età di tredici anni perse la madre, un fatto che le condizionò la vita. A questo si aggiunse l'incalzare della guerra che lei non accettò mai e la condusse ad una grave depressione. La sua difficoltà fu quella di vivere un mondo che le stava stretto, per il rapido mutare della società di inizio secolo e anche per effetto della guerra che lasciò tutti in una totale confusione esistenziale.

Il romanzo tradizionale non rispondeva più nè alle esigenze del tempo, nè riusciva a contenere quelli che erano i flussi della sua vita interiore. Lei aveva bisogno di registrare i ricordi, i sogni e i desideri che si snodavano continuamente dentro di lei e la trasformavano. Aveva bisogno di uno schema nuovo e lo trovò nel monologo interiore, che non era una ricerca di un tempo passato, presente e futuro, ma un tempo fatto di emozioni e che non tiene conto di quello esterno che nel frattempo ci cambia. Nel nostro tempo interiore non invecchiamo, siamo solo in continua maturazione.

Nel suo romanzo "Mrs.Dalloway", la protagonista Clarissa, nel pieno di un ricevimento viene a conoscenza, dal suo amico medico che un suo paziente, Septimius, l'uomo che avrebbe voluto ma non ha sposato, si è suicidato e malgrado tutto lei continua a trattenersi lì, mandando avanti il ricevimento non per mancanza di rispetto o per cinismo, ma semplicemente per riaffermare la vita con la sua creatività e opporla alla morte. Un percorso, questo, che effettua attraverso la scrittura che si rivela come l'unica possibilità per far emergere la nostra vita interiore così diversa, contorta e continua rispetto al nostro mondo esterno. Virginia era solita dire:"Io sono fatta e rifatta continuamente".

Il tipo di romanzo che Virginia costruì fu ben diverso da quello tradizionale chiuso in un clichè troppo stretto per contenere la sua vitalità. Il suo malessere ebbe inizio con un lutto pesante mai più digerito a cui si aggiunse l'orrore della guerra. La scrittura per lei fu il modo per riconciliarsi al suo tempo esterno, per far emergere quel mondo interiore che la inondava completamente.

La scrittura nasce con prepotenza e noi non possiamo fare altro che assecondare questa necessità. La nostra fantasia, quando si mette in moto per costruire qualcosa di completamente nuovo rispetto al nostro vissuto, deve attingere a quella stessa fonte di cui parlava Virginia, fatta di sogni, desideri ed emozioni da cui nascono i personaggi delle storie, che sono figli del nostro percorso interiore.
Nello spazio interiore, nello spazio del non detto, Virginia pone anche l'amore e la morte e non sopporta che il tempo le porti via l'amore e la faccia avvicinare alla morte e per placare la sua ansia di vivere ha bisogno di fermarsi a guardare l'acqua che scorre quasi come i suoi pensieri, come un fiume a precipizio, che si infrange sui ciottoli del suo letto.
La scrittura diventa quasi testimonianza dello scorrere di vita interiore, sebbene avvenga in modo muto ,e la scrittura è l'unica a raccogliere questo flusso continuo di energia, che, altrimenti, resterebbe in un territorio sconosciuto.
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Cenerentola

Cenerentola è in assoluto la fiaba più amata, rimasta nel nostro immaginario sin da bambini. Presenta situazioni reali e custodisce i desideri che ogni fanciulla sogna. La fiaba nasce per accompagnare i bambini nella loro crescita e non solo, essa riprende la tradizione popolare per poi lentamente trasformarsi in un vero e proprio genere letterario con autori come Perrault, Grimm, Andersen. La versione più antica di Cenerentola la troviamo in Egitto ma nello stesso tempo era conosciuta anche in Cina per poi giungere fino  a noi con l'elemento del piede piccolo e la sua scarpetta. Successivamente fu ripresa da Perrault, ma grazie a Giambattista Basile, autore napoletano del seicento, Cenerentola si diffuse nel nostro paese.
E' una fiaba con l'esigenza di descrivere il passaggio dall'adolescenza all'età adulta in un processo dove la protagonista si confronta con una serie di esperienze che la condurranno alla maturità. La situazione familiare di Cenerentola non è invidiabile: orfana di madre, resta sola col padre che si risposa. La matrigna ha due figlie e Cenerentola subirà molti soprusi dalle tre donne. La morte della madre è il suo primo dolore e, nonostante abbia un papà affettuoso, si sente sola.
Vladimir Propp, studioso russo, affermava che nella fiaba si riscontrano sempre delle costanti, delle situazioni ricorrenti che rispondono ai bisogni psicologici e cognitivi ma anche alle esigenze del contesto socioculturale in cui il bambino è inserito. Così, a seconda del contesto, troviamo soluzioni letterarie differenti. L'apprendimento del messaggio di una fiaba non si limita al piano verbale e cognitivo, ma si trasforma in piano di azione, vale a dire di intervento sulla realtà per modificarla in base a quanto è stato appreso e verificato. In Cenerentola abbiamo tra le funzioni quella delle antagoniste con la matrigna e le sorellastre; l'impedimento, che non le permette di progredire nelle scelte; l'elemento magico con la carrozza e la scarpetta di cristallo, l'aiutante, nella fata, il lieto fine nel riuscire a sposare il suo principe e "vissero felici e contenti". La fiaba è ascritta in un tempo astorico e proprio per questo ben si adatta alla realtà. La morale può essere racchiusa nella bontà della protagonista che, in ultimo, è premiata realizzando il suo sogno. Eppure Cenerentola non ha la mamma e la fata buona le resta accanto pochissimo tempo, solo per aiutarla; risente dell'invidia delle sorellastre e della matrigna; non ha amici, gli unici sono gli animali e il papà è spesso assente. Ma è una fanciulla estremamente buona, non si lamenta, accetta la sua sorte, non disubbidisce e non cerca di sottrarsi ai suoi doveri.

Non sempre si è disposti a essere buoni, la reazione di solito scalpita dentro di noi, dove la voglia di ribellarci prevarica sulla bontà. C'è in questa fanciulla quasi la paura di stare bene, di avere dei desideri, di essere la più brava, la più bella, di essere scelta, o forse semplicemente non è consapevole ancora di ciò che realmente lei è. Sembra quasi un romanzo di formazione che vede la protagonista imbattersi nelle situazioni più difficili. A volte accade proprio così, che le situazioni più attese giungono quando non si aspettano, quando arrivano e non si è preparati e la sorpresa ha un effetto raddoppiato. Cenerentola piace per questo. Cresce da sola, matura attraverso le paure e gli errori, i timori e i desideri proprio come una ragazza qualsiasi e si troverà nel mondo degli adulti come per magia con grande senso di maturità. Il male si piega davanti alla sua freschezza e la sua anima così pura. La vita è un oscillare tra desideri e dura realtà, tra sogni e sforzi. Il momento centrale della fiaba è proprio lo scoccare della mezzanotte, momento in cui la protagonista perde l'azione dell'incantesimo, e non esita ad abbandonare il campo, mostrando serietà e senso di responsabilità.
La nostra forza risiede nella nostra parte più vera, nella semplicità e nel saper attendere, nel non forzare i tempi, nell'accarezzare dentro quello che sono i nostri desideri più forti. Nell'attesa, tutto il mondo cadrà ai nostri piedi, ma solo dopo averlo desiderato ardentemente.


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La mia Pompei

Da quando è crollata la casa del gladiatore, negli scavi di Pompei, è ritornata l'attenzione su uno dei siti archeologici più importanti al mondo. Gli scavi sono stati, negli anni della mia adolescenza, un luogo di vita quotidiana per me. Da via Roma fino a Villa dei Misteri si può camminare parallelamente al sito e, a mano a mano che si procede, si possono vedere gli alberi a ridosso della strada e l'ampia distesa della vecchia città. Ho effettuato diverse escursioni per visitarli a tutte le età e il luogo mi è sembrato sempre così suggestivo, da svolgere, al suo interno, diversi servizi fotografici per diversi eventi.


Ho potuto assistere, all'interno degli scavi, nel teatro antico, alle commedie di Plauto e Terenzio, a concerti e manifestazioni che venivano rappresentate ed è stato come vivere un incantesimo, sentendomi parte di un mondo ancora lì intorno.

Chi opera in questa struttura vasta e complessa deve essere fornito di diversi tipi di conoscenze per poter vivere giorno dopo giorno la magia del luogo. E a tal proposito mi viene in mente di un episodio in Grecia, quando chiedendo di Omero a dei pastori, questi si guardarono smarriti lasciando intendere di non conoscere il grande concittadino. Succede anche questo. La storia non ci vuole impreparati e in questo caso è fondamentale conoscere il mondo che ci ha preceduti.
Ho potuto apprezzare la bellezza di un luogo di grande interesse culturale solo maturando conoscenze e amando l'arte. Chi vive in luoghi d'arte però non ha questa dimensione, ha un'assuefazione, nel tempo, a tanta bellezza e non ci fa più caso, un po' come è accaduto ai pastori parlando loro di Omero.
Il mio interesse per Pompei va, oltre oltre il fatto di appartenere a questo territorio geografico, alla storia e alla cultura, alla letteratura, alla geologia e allo spettacolo. Difficile non ricordare la fatidica eruzione del 79 d. C. che fece crollare la città lasciando al suo posto un cumulo di macerie. L'imperatore Tito, al potere dal 79 all'81, mandò in tempo quasi reale una commissione di "curatores restituendae Campaniae"costituita da ex consoli, perchè venisse avviata la ricostruzione in tempi rapidi. Per la sua umanità e l'amore dimostrato in genere e in particolare verso la città, venne definito da Svetonio "amor ac delicia generis humani". Lo stesso Plinio il Vecchio trovò la morte osservando il fenomeno dell'eruzione dalla spiaggia di Stabia e il nipote Plinio il Giovane narrò l'episodio a Tacito nella sedicesima lettera del sesto libro dell'Epistolario.

Passeggiando tra le rovine si assapora ancora l'esistenza di un mondo che vive come un fantasma di cui si avvertono i movimenti. Non è difficile ritrovarsi tra la gente per le strade dell'antica Pompei e sentire il ciarlare e vociare in una lingua che ancora fa la sua parte. E incombe nella mente quella lontana eruzione, come se Giove, arrabbiato e severo, avesse scatenato l'inferno come il gladiatore nell'arena. Lo stesso Spartaco, il famoso schiavo che incitò alla rivolta anche gli altri, trovò rifugio, molto tempo prima dell'eruzione, nel 73 a. C., proprio nella boscaglia del Vesuvio. Se invece ci rechiamo agli scavi col bel tempo e ci appoggiamo su un masso di colonna, il sole farà risplendere l'armonia degli stili, la precisione degli intonaci e la stupenda arte degli affreschi. In questi casi il pensiero va ai neoclassici, che in preda a studi di stili e storia, andarono alla ricerca di suggestioni in luoghi d'arte dove rivivere il passato. Parlo di Goethe, di Stendhal e tanti altri letterati in visita negli scavi subito dopo la loro scoperta.

Molti studi sono stati fatti anche per la toponomastica e tra gli autori latini, che vantano natali a Pompei, abbiamo Tito Lucrezio Caro. La storia di Pompei è una storia affascinante e racchiude le orme di un passato conosciuto in tutto il mondo. Mostrare incuria per questi luoghi è come non avere amor proprio. Bisognerebbe prendere esempio da Schliemann che, sognando di recuperare il tesoro di Troia, investì un patrimonio fermandosi solo quando lo trovò e il suo sogno divenne realtà. Bisogna amare il passato, la nostra storia, avere senso civico e grande responsabilità per tutelare un patrimonio. Non basta essere investiti di una carica per svolgere un ruolo, ci vuole molto di più, la passione della vita e il passato fa parte del nostro presente.

Quanta fretta... ma dove corri?


Qualche giorno fa, di mattino presto, mi sono recata sul lungomare. Il pretesto è stato di fare un po' di moto, ma la mia è stata più una necessità di staccare dai ritmi sempre più frenetici.

Mi sono trovata a passeggiare come non ho mai fatto prima. Il silenzio d'inizio giornata, il mormorio del mare, la vista di monte Faito che sovrasta la città coi suoi colori intensi e le navi nel porto, mi hanno fatto riflettere su quante cose ci si può perdere presi dalla fretta.
Passeggiare è un lusso che non rientra più nella nostra quotidianità, piuttosto riconosciamo l'azione di correre. Ma da chi sfuggiamo o dove ci dirigiamo?
Ritornando alla mia passeggiata, c'era un cielo terso, un'aria frizzantina con il mare di sottofondo che non sentivo così da tanto. Mi sono ripromessa di ripetere l'esperimento per respirare l'aria del mare, per ammirare il panorama e guardarmi intorno notando tante cose che ormai non destano più la nostra attenzione. Ho incontrato persone che correvano a suon di musica nelle orecchie, qualche anziano a passo lento, qualche amico col quale ho scambiato chiacchiere e convenevoli, ho preso un caffè davanti a un mare mozzafiato e mi sono chiesta che cosa possiamo cercare di più davanti a tanta bellezza. Ho rispolverato anche sensazioni e suggestioni di vecchi ricordi quando, a un'amica in partenza per Torino, dissi che tutte le mattine sarei andata a guardare il mare per lei, che non voleva lasciare in nessun modo la sua città per un'altra fredda e nebbiosa. La città nelle prime ore del mattino non è ancora desta del tutto ed è bello assistere al suo risveglio. Di buon mattino, anche i nostri pensieri sono i migliori. La mente produce idee e considerazioni tra le più perspicaci e valide.Ma non si ha tempo, si va sempre di fretta e personalmente mi sento come il coniglio di Alice. Va sperimentata a questo punto, la lentezza e assaporare la vita nella sua essenza, come dice Milan Kundera.

Vado controcorrente. Oggi il tempo è denaro e il nostro mondo è cronologia. Ho notato che anche tra le pagine dei giornali troviamo segnati i minuti necessari per leggere un determinato articolo, così da decidere a priori se sia il caso di leggerlo.

La fretta ci soffoca e non ci ridona al nostro tempo interiore. Sono pochi i fortunati che riescono a vivere a misura della loro indole, mentre la maggior parte di noi è trascinata da ritmi insostenibili. E se poi accade qualcosa di bello come l'altro giorno, perduta sul lungomare, mi sento in colpa.

Sono due i parametri che ci mettono in crisi: la paura d'invecchiare e il progresso. Nel primo caso vogliamo esaudire ogni nostro desiderio per non avere rimpianti col tempo che passa e che, a sua volta, ci trasforma; nel secondo caso il progresso ci induce sempre più a dei ritmi che non sono i nostri. Aumentano anche le nostre esigenze che richiedono tempo, come del resto ogni nostra azione. Ma noi siamo vivi quando passeggiamo, ridiamo, ci divertiamo e godiamo del tempo piuttosto che aspettare di viverlo. Nelle nostre corse perdiamo momenti importanti e vitali. Il tempo va catturato mettendo al primo posto uno stile di vita più consono ai nostri ritmi interiori, nella semplicità e nella riscoperta di valori che non possono essere scalfiti nemmeno dal progresso che avanza velocemente.


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Ce l'hai un Pigmalione?


Bella domanda, come se oggi fosse possibile trovarne uno! Ma sono tutti impegnati, arciconcentrati su di sè e poi chi vuoi che si metta a scommettere su chi? Solo le favole oggi ci presentano personaggi come Pigmalione.

Pigmalione, re di Cipro, era anche un ottimo scultore e dopo aver modellato una fanciulla bella come il sole, se ne innamorò. La dea Afrodite fu talmente colpita dall'amore che lo scultore ebbe per la statua, che diede la vita a quella fanciulla di marmo. Fu così che Galatea e Pigmalione si unirono in nozze.

Quest'episodio mitologico ci serve per capire quanto l'attenzione di una persona nei nostri confronti, possa farci fiorire e darci quella forza di mettere a frutto le nostre qualità, e quali miracoli possa fare .

Per essere un Pigmalione bisogna essere scevro da ogni cattiveria, gelosia, invidia, rivalità, una persona irreprensibile sul piano etico, poichè il compito del Pigmalione è scoprire ciò che non è visibile a tutti. E non basta farsi carico della persona che si cerca di trasformare, bisogna anche credere in lei, stimarla. E' tanto importante e incisivo il ruolo del Pigmalione che esiste, in ambito pedagogico e psicologico, il cosiddetto"Effetto Pigmalione". E' una tecnica con la quale si cerca di portare l'altro ad essere quello che noi vediamo in lui. Sono stati effettuati esperimenti in tal senso con risultati sorprendenti, soprattutto in ambito scolastico, dove, infondendo fiducia e stima a persone con scarso rendimento, si ottengono risultati più che soddisfacenti. L'effetto viene usato anche in senso negativo quando, volendo sminuire una persona, le facciamo credere di essere una nullità, fino a quando si sentirà tale.

D'altra parte il Pigmalione imprime il suo modo di vedere, tanto da scolpire la persona secondo il suo pensiero. Uno scopritore di talenti è un vero artista fornito di tutti gli strumenti possibili per elevare la persona che ha davanti e nella quale credere ciecamente.Il suo principale contributo è quello di credere in ciò che fa e di conseguenza in ciò che crea.

E' inutile dire che non ne vedo in giro, tutti quelli che operano in tal senso lo fanno con scopo recondito, personale e non con la vocazione di trovare talenti. Si finisce in una giungla dove vince il più forte che non dev'essere per forza il più bravo, ma semplicemente chi ha avuto più fortuna. Il Pigmalione sa trovare queste occasioni e non lasciarle al caso.

Mi fanno ridere tutte quelle persone che guardano dall'alto del loro pulpito con la puzza sotto il naso per dire "io son qua e nessuno mi smuove" a volersi chiudere in un cerchio. In giro ho letto, a tale proposito, cose veramente inaudite e spesso le si dicono con una faccia di bronzo senza uguali.

La cultura non è nemmeno un circolo per pochi fortunati, ma un mondo di persone dove circola la conoscenza. Mi viene in mente la mia insegnante della seconda elementare che scoprì la mia predisposizione alla pittura e allo studio. Mi portò a casa sua, mi tenne con lei con lezioni private, mi fece conoscere una pittrice e mi indusse a fare una vita da college per un bel po' fino a quando la pittrice non analizzò ogni mio schizzo e dipinto, un vero e proprio giudizio sulle mie capacità artistiche. Non finirò mai di ringraziarla, è stata un angelo che ha visto in me capacità che andavano messe in luce. Ci siamo incontrate da colleghe e per me era solo la mia insegnante e quando mi sono presentata, lei è ritornata a quel tempo trascorso insieme tra carboncini e pennelli e lezioni didattiche pomeridiane . Ha investito su di me tempo ed entusiasmo, senza compenso nè tornaconto solo per il mio bene e senza di lei non avrei conosciuto tante cose di me.

Ci si sente in uno stato di grazia, quando qualcuno si prende cura di noi e per il nostro bene. Ammiro quelle persone che, col loro bagaglio di conoscenze e la posizione consolidata che occupano, hanno l'abitudine di fare spazio e aggiungere gli altri accanto, senza chiudersi nel proprio individualismo. Il Pigmalione è colui che scommette su di noi e trasforma il nostro bozzolo in una farfalla.


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