Aria di Natale

Il mio libro "Ritorno nei prati di Avigliano", termina con il testo "Natale" e il motivo per cui l'ho posto alla fine è che il Natale, nel periodo di cui parlo, cioè della mia infanzia, era la "grande festa" e andava preparata con cura. Durante l'anno ogni cosa era fatta in previsione del Natale e coinvolgeva grandi e piccoli con un fermento magico che ho ritrovato solo nelle fiabe. Iniziava ai primi di dicembre, quando per le strade giravano gli zampognari. La nonna, spesso, li ospitava dando loro un pasto caldo e un ricambio, vino a sufficienza e denaro. Prima di andare via ci allietavano nuovamente con un ricca e splendida melodia che io ascoltavo seduta sui sacchi di biada e tra le braccia la mia cagnolina. A volte mi concedevano il bis e suonavano ancora per me. Il loro repertorio lo eseguivano al meglio davanti al presepe del vicino che allestiva lungo una parete della sua cucina, accanto alla fornace. Il presepe impiegava tutto il nostro tempo a disposizione.
Mio nonno lo allestiva in un lato della cantina, tra botti, damigiane e bottiglie mentre sulla testa pendevano prosciutti, salami e pancette e tutto intorno tra i pastori, Giuseppe e Maria, una ricca fila di luci intermittenti. Appena arrivava un ospite era d'obbligo portarlo lì a vedere una scenografia che non ho più visto da allora. A volte mi sedevo lì accanto sulla paglia per osservare la fontanina, i pastori, la grazia di Maria, la pazienza di San Giuseppe e tutta quella gente che accorreva per il Salvatore. Lui non c'era, il nonno lo adagiava il venticinque notte, appena tornati dalla messa. Era una cantina fredda e umida, buia, ma che calore emanava quella visione, mi sentivo in mezzo a una folla come se lì dentro ci fosse stata vita vera.
La nonna, quando andava ai monti per l'erba fresca, sradicava un albero con le radici, di un verde brillante, bellissimo, che addobbavamo con ciambelle di pasta di mandorle, il pungitopo, il vischio, biscotti sfornati e raffreddati, cellette di miele tirate dalle arnie e fiocchetti di caramelle gelatinose. Era un gustoso piacere sistemare tutte quelle leccornie. Chi passava lì davanti era tentato di fare un assaggio e nonna, conoscendo le abitudini, ogni volta che rientrava dalla spesa, aggiungeva i dolci mancanti e finiva che a Natale era stracolmo.
Verso la fine di novembre, la nonna mi prelevava dal letto di mattino presto per andare alla novena dell'Immacolata e io, avvolta nel mio cappottino, con guanti, sciarpa e cappello mi lasciavo tirare fino in chiesa a piedi. Lì, mentre tutti i fedeli intonavano e pregavano, io guardavo incantata le candele accese alla Madonna e con il loro bagliore e luccichio, semiaddormentata, pregavo con nonna e quando stavo per abbattermi, vinta dal sonno, lei mi stringeva forte la mano e io capivo: riprendevo a pregare e aprivo gli occhi. All'uscita si andava di corsa da Giovanni il pasticciere a comprare raffioli e mostaccioli, pulci e torrone. Il tempo prenatalizio passava andando a fare visita ai parenti e agli ammalati in ambito familiare ma anche ai conoscenti.
Nonna diceva che era doveroso portare un po' di sollievo ai malati e facevamo, nel giro di quindici giorni, visita a tutte le persone sofferenti del posto. Finalmente c'era un momento tutto per me quando andavamo a comprare i miei vestiti nuovi e non poteva mancare l'abito rosso o verde scuro di velluto con fiocchi e scarpe di vernice e mi sentivo come la protagonista di Scarpette rosse.
Il vero Natale era nella cucina di mia nonna, una cucina così grande che quando ho cambiato casa ne ho progettata una simile, proprio ricordando tutto il tempo trascorso in quella cucina ricca di vita.
Non era una cucina ma un regno, il regno di mio nonno, il cuoco di casa. Ci mettevamo entrambi, lui col suo grembiule bianco e io col mio grembiulino a quadretti, su una sedia massiccia con la schiumarola in mano per friggere le zeppole che aveva impastato per una giornata intera. La tecnica era quella di farle sgocciolare in una sporta dove aveva riposto carta del pane e foglie di alloro e solo quando erano ben asciutte, le passava nel miele con gli anicini. La prima zeppola era per me che condividevo con la mia cagnolina, la seconda per il nonno.
Il vero Natale era il profumo dell'anice nell'aria, quando il nonno lo cospargeva sui dolci e lo versava nel caffè. Ancora oggi, metto una goccia di anice nel caffè, di questi tempi, e mi torna in mente mio nonno con le sue abitudini. Il Natale lo respiravo nell'aria, ne vedevo lo scintillio per le strade, ne sentivo i profumi e lo vivevo in chiesa con tutte le funzioni religiose alle quali non mancavamo mai. Mi sono rimasti i contatti umani con le persone che incontravamo, un Natale così diverso da oggi nel nostro mondo virtuale, allora era importante vedersi e viversi, non solo una volta all'anno per il pranzo, ma sempre.
Il pranzo di Natale era la fase finale di tutto un lavoro e quando si stava raccolti attorno al tavolo, nella grande cucina dei nonni era una festa di profumi, sapori e cibi. La tombola completava la riunione familiare e nell'aria si aggiungeva il profumo dei mandarini e delle arance con le mille bucce che facevano come numeretti sulle cartelle. Poi il tavolo diventava un mercato dove oltre alle cartelle trovavano il posto le noci, le castagne arrostite, le nocciole di casa, i datteri e i torroni e dolci di ogni sorta. Della fine non ricordo più nulla poichè mi addormentavo riversa sulle gambe di mia nonna, esausta di giornate lunghe e faticose.
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2 commenti:

  1. Meraviglioso racconto ci sono delle vicende che mi sono tornate in mente ed stato piacevole ricordare quei Natali cosi lontani ma che hanno lasciato un sentimento che torna in superficie l'unica amarezza che non ci saranno più natali di quello spessore impossibile

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  2. l'amico anonimo ha perfettamente ragione,difficilmente potrei rivivere le senzazioni e i profumi del Natale di un tempo,
    ma è bello ricordare ogni istante vissuto di quelle feste semplici ma che ti rimangono nel cuore! Orchidea

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