La bambina dal cappottino verde (II parte)


La sua voce ha sciolto il freddo che ho provato nel vedere i luoghi della mia infanzia. Tutto è cambiato. Ogni angolo di questo posto ha un mio vissuto, ma quel ricordo ora è lontano, quasi irriconoscibile. Non riesco ad andarmene, voglio ancora scorgere il viale delle ortensie per ricordare meglio e vedere la bimba di allora correrre tra le braccia della vecchia Cristina, mentre piangeva in preda alla disperazione per le sue crisi di panico. Una voce mi tuona:"Signorina, cercate qualcuno?". "No, ecco...io sono la nipote della buon'anima di Margherita, pensavo di trovare la signora Cristina".

Mi rendo subito conto che Cristina era vecchia già quando ero bambina e quindi non deve essere tra i vivi.
"No, mia nonna non c'è più, sono tanti anni che è venuta a mancare, ora abito io con la mia famiglia, nella sua casa", dice la donna meravigliata della mia domanda. Mi avvio per il viottolo da cui sono venuta.

Il sole è andato via e l'aria è fresca. Camminando, penso a quante volte ho fatto questa strada anche al buio, da piccola. A pochi metri abita mio padre. Appena entro nel cancello del suo podere, mi guarda cercando di capire il motivo del mio ritardo. Gli racconto dell'incontro con la sarta. "Ti vedo affaticato", gli dico, "Ti sei stancato, te lo leggo sul volto e, quando ciò accade hai la palpebra calante". Papà ride, ogni volta che gli dico della palpebra. Cerco di sdrammatizzare da quando è stato operato al cuore. Raccogliamo il cesto con l'uva, i panni da lavoro, le provviste e partiamo per casa mia. Mio padre vive con me da quando ci siamo ritrovati dopo tre decenni e più di lontananza.


Quando si separò da mia madre non aveva trent'anni ora ne ha quasi settanta e non ce la prendiamo nemmeno più col tempo, anzi lo viviamo. Da quando sono arrivata io, anche il suo secondo matrimonio è andato a rotoli: troppi sentimenti da gestire, vecchi e nuovi, troppi vuoti e mancanze, paure, gelosie, si sono rotti tutti gli equilibri. Siamo legati, ora, come la foglia all'albero e tremo il giorno che dovrò staccarmene. Di giorno passa il tempo nella vigna e nei nostri prati, poi di sera torna a casa. Spesso mi ritrovo, a notte fonda, a passeggiare su e giù per il corridoio per ascoltare il respiro di mio padre, perchè temo di perderlo e non lo sopporterei dopo averlo incontrato così tardi nella mia vita. Dopo l' intervento al cuore, mio padre non fa più progetti, vive temendo di dovermi lasciare. Gli piace portarmi a spasso, cucinare per me, guardare il mio sorriso e perdersi nei miei occhi così uguali ai suoi. Ho imparato una nuova felicità: amare il mio tempo di oggi, specchiarmi nello sguardo di quest'uomo che non ho mai sentito mio ed essere contenta di poter vedere anche le sue rughe. Ho nel cuore un tumulto continuo che a tratti mi toglie il respiro ma che non ci fosse non saprei più vivere.


Di mattina mio padre è un incanto, ha un sorriso smagliante, un umore da ventenne e tanta voglia di fare. Gli ricordo che dobbiamo andare da Eleonora e con piacere mi accompagna. Arriviamo in piazza ma una folla ci impedisce di passare. Scendiamo dopo aver parcheggiato e notiamo un drappo viola all'ingresso dello stabile. Vedo un manifesto e mi avvicino per leggere: mi ha lasciato anche lei, l'unica che ha dato calore ai miei ricordi, Eleonora. Papà mi stringe a sè e mi ricorda che aveva una bella età. Non ci posso credere! Vado a porgerle l'ultimo saluto e quando giungo accanto al suo letto, la figlia mi abbraccia in segno di ringraziamento:"Lei aspettava di rivederti da tanto, mi diceva che voleva vedere la bambina dal cappottino verde, te lo ricordi il cappottino che ti cucì da piccola? Ne fece un altro uguale al tuo, per averti sempre con lei". Poi Mariuccia mi lascia un attimo e va in camera a prendere il cappottino, un pezzo della mia infanzia tra le sue mani. Mio padre guardandomi mi dice:"E' così che sei rimasta nella mia mente, con questo cappottino verde".


(Tutti i diritti sono riservati)


La bambina dal cappottino verde (racconto breve)



Le foglie scricchiolano sotto i miei piedi mentre passeggio lungo il viottolo che porta verso i Tre Monti. Sono giunta fin qui per vedere la vecchia casa della nonna dove sono cresciuta. Il sole volge al tramonto e la stradina stretta e tortuosa è ormai nell'ombra, mentre, in lontananza, gli ultimi raggi ancora caldi illuminano la collina. In prossimità del cancello, sotto l'arco del palazzo borbonico, mi fermo per il silenzio tombale che avvolge il luogo. I piccioni, che prima nidificavano sotto gli smerli, hanno lasciato il posto e il cancello d'ingresso è chiuso; a destra lunghe ragnatele pendono dalla grande finestra. Non c'è anima viva. Mi sono illusa di trovare qualcuno e poter scambiare qualche parola. Mi dirigo di fronte, verso il cancello dei vicini e lo trovo spalancato ma, all'interno, non si apre più il viale delle ortensie e sbirciando ho l'impressione di essermi sbagliata.

Nel cortile ci sono auto in sosta , lì dove una volta c'era la cuccia del cane che mi diede un morso di cui porto ancora il segno, c'era la scala esterna per accedere ai piani superiori e la vigna che in autunno rideva con i grappoli appesi. Era un tripudio di colori tra le tonalità delle ortensie, il verde dei pampini e l'oro e il violetto dell'uva. Lungo il viale si alternavano ciuffi d'erba e margherite, edera ribelle e fiori di tutti i colori, mentre i profumi della natura si spargevano come acqua di colonia.

La mia attenzione è rapita dal veccho frantoio, fuori al cancello, dove una volta giocavamo a nascondino e io avevo sempre paura di entrare lì dentro. Al posto del frantoio c'è una villetta rifinita in ferro battuto con cancello automatico e videocitofono, fiori importanti e piante esotiche. Mi sento smarrita. Come può il tempo spazzare via la mia infanzia! Eppure devo trovare qualcosa che mi riporti indietro.


A un tratto sento lungo il sentiero i passi di qualcuno che si avvicina sempre più e quasi mi nascondo per non essere sorpresa. E' una piccola donna anziana. Mi pongo davanti a lei sicura di non essere riconosciuta e invece lei si ferma, mi scruta attraverso i suoi occhialini e con tono sicuro e deciso mi fa:" Tu sei Filomena, la nipote di Margherita. Oh santi numi , quanto tempo è passato da quando eri piccola così! Hai lo stesso viso, non sei cambiata, quanto sei bella, fatti dare un bacio!" Ancora incredula mi lascio prendere il viso tra le mani e devo abbassarmi per renderle il compito più facile, mentre vado alla ricerca di questa donna tra le figura del mio passato.
Nella mia ricerca non riesco a trovare la piccola donna, ma un profumo di colonia al pino mi riporta alla sarta Eleonora e basta sentirne l'essenza per sciogliermi nei ricordi.


"Hai ragione, mi dice rendendosi conto del mio smarrimento, tu forse non ti ricordi di me, ma io ti ho cucito tanti bei vestiti. Eri una principessa...e lo sei ancora, sei identica a papà! Ma vieni, andiamo a casa ti farò vedere tante cose ".
"La ringrazio, ma papà mi aspetta!"
"Allora hai rivisto papà?"
"Sì, sono tre anni che ci siamo ritrovati".
"Quanto sono contenta, povera creatura, hai sofferto tanto. E papà cosa dice?"
"E' felice di aver recuperato un pezzo della sua vita".
"Mi devi promettere che domani verrai a casa mia, ti farò vedere un po di foto!"
"Verrò, lo prometto".
Subito scompare attraverso il sentiero con la sua borsa da lavoro. Cuce ancora e pensare che è molto anziana, un po' curva nel portamento ma molto lucida. Se la mente non m'inganna deve avere più di ottant'anni.(Continua)
(Tutti i diritti sono riservati)

Il racconto



Il racconto nasce dal bisogno insito nell'uomo di affabulare, d'inventare storie in cui vedersi protagonista e a sua volta ascoltarne altre; dal bisogno di meraviglioso e di angoscia che lo attraggono, ponendolo di fronte a quella sublimazione di Eros e Thanatos di cui parlava Freud.

Il racconto, come tutta la narrativa, non è solo un'operazione letteraria, ma riprende una tradizione orale che si tramanda attraverso i popoli e si riversa in generi letterari diversi che vanno dal mito alla favola, dalle canzoni alle gesta, dal poema alla novella e al romanzo. Il racconto, più del romanzo, impegna notevolmente l'autore, poichè richiede capacità di sintesi e di analisi di uno spaccato di vita.

Esso nasce dalla necessità dell'autore di evidenziare un momento, un fatto, un cambiamento della propria vita come un'esigenza dell'anima attraverso cui si dà avvio alla scrittura definendo tempi, luoghi, personaggi e movimento interiore.

Ci sono, pertanto, tre momenti ben precisi che lo caratterizzano: un inizio entro cui definire il punto di partenza senza dilungarsi troppo, un climax dove avviene il momento culminante della storia e un epilogo all'altezza delle aspettative, che non dev'essere troppo banale, riduttivo o di minore intensità rispetto alle premesse. Queste tre parti devono essere dosate con cura, tenendo anche conto dei personaggi, del tempo e della trama.

Un racconto dev'essere avvincente sin dall'inizio, deve incuriosire ed essere letto in un unico respiro . Le funzioni del racconto sono tante e tutte molto concentrate a differenza del romanzo che ha un tempo lungo e lineare, molti personaggi e divagazioni varie da parte dell'autore.

In modo particolare, il racconto breve deve concentrare in poche pagine i momenti fondamentali per capire e sviluppare il discorso. Richiede, ancora, capacità stilistiche e di costruzione, con un linguaggio appropriato senza sfasature, nè imbellettamenti di vario genere , ma dev'essere essenziale e corposo, preciso e conciso. Non si lega a nessun fatto precedente, ma l'inizio è dato da un accadimento, una sensazione, una necessità, un ricordo...un pretesto per rifarsi a una trama con dei personaggi, un punto di vista sia esso di tipo interno, esterno o zero, una temporalità e un quadro generale entro cui inserirsi.

Per quanto ci possano essere tecniche e schemi entro cui si definisce il racconto, talvolta esso nasce da alchimie magiche, dove, sin dall'inizio, il lettore è rapito e immerso totalmente al suo interno senza capirne le ragionevoli motivazioni. Molto probabilmente , in questi casi, si instaura un rapporto stretto di comunione d'intenti tra l'autore e il lettore che, cercarne le cause a tutti i costi, è quasi impossibile. Un buon racconto lascia sempre qualcosa nel cuore del lettore che sicuramente ripeterà l'esperienza continuando a leggerne altri. E' un modo per arricchirsi interiormente e far tesoro delle esperienze degli altri come fossero nostre!
Gli ultimi racconti che ho letto e che vale la pena leggere sono:"Narciso" di Francesco Capaldo e "Alla via così, racconti del mare di Anna Bartiromo.


-Narciso di Francesco Capaldo,Edizioni dell'Ippogrifo.
-Alla via così, racconti del mare di Anna Bartiromo,Graus Editore.


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Facciamo pace?


Un amico, qualche giorno fa, scherzando, dopo aver ricevuto da me un simpatico rimprovero, mi ha detto:"Dai, su, facciamo pace!" Quell'espressione canzonatoria, propria dei bambini quando vogliono ottenere qualcosa, mi ha riportato a quando eravamo piccoli e succedeva pressappoco la stessa cosa.
Al litigio seguiva sempre una parola un po' strana, con l'incrocio delle dita, per suggellare quello che era stato detto a voce.


Nel giro di un'ora tutto finiva nel dimenticatoio e si ricominciava come se nulla fosse successo. Il litigio ci privava del gioco e allora si cercava subito un pretesto per avere di nuovo la possibilità di stare nel gruppo.


Il gioco era un modo anche per convogliare le nostre energie, dove tutti si sentivano parte integrante del gruppo. Il gioco per i bambini è esperienza attiva, tanto che Friedrich Froebel, noto pedagogista tedesco dell'ottocento, affermava che "solo ciò che facciamo, siamo in grado d' intendere."Il gioco incide sull'apprendimento e "nulla si apprende in teoria o per teoria, nè il sapere, nè la bontà, nè le virtù, ma attuando e realizzando il vero, il bene , il bello." Negli adulti dovrebbe succedere la stessa cosa. Chi non gioca non è abbastanza serio e non è completamente libero. Nel bambino giocare è l'unica attività possibile, quella più reale e dove sperimenta le sue capacità intellettive e relazionali. La qualità della vita di un adulto dipende da come ha vissuto da bambino, e tra le esperienze fatte c'è anche quella d'imparare a far pace, a sperimentare quello che accade se non ci si apre agli altri.


Se solo guardassimo nel nostro passato di bambini potremmo imparare tante cose. Sarebbe un modo per non essere mai in collera, per perdonare piccoli screzi e offese stupide che ci tolgono solo tempo prezioso e scoprire che l'amicizia è un cemento che unisce in modo significativo.

Sono bastate due parole a scatenare coi ricordi, pensieri così semplici che non hanno più spazio nel nostro quotidiano, sempre presi da ritmi incalzanti e dal nostro mondo virtuale.


Basta un sì per andare verso l'altro, per fargli sentire la nostra presenza.
Non è poi così difficile dire sì, quanto tenere fede ai nostri propositi di impegnarci nei confronti dell'altro . Quante volte per i nostri interessi leghiamo amicizie e siamo capaci di scioglierle con la stessa rapidità con cui le abbiamo legate!


La vera amicizia dura in eterno, è rispettosa, attenta, protettiva, coinvolgente, solidale, presente e, più di ogni altra cosa, ci fa stare bene.

Gli amici veri, se vogliamo essere realisti, non sono mai tanti, perchè ciascuno deve avere una nostra parte e non ci sarebbe un tempo così ampio da contenere tutti. Un amico richiede attenzione, ascolto. Nelle amicizie vere non è necessario vedersi spesso, ma sapere di esserci è la presenza migliore e, quando ci si vede è sempre una festa, si sta bene insieme, anche se non ci si vede da una vita. Stare in pace è un esercizio continuo, un processo che, iniziato nell' infanzia, si protrae per tutta la nostra vita. Questo processo va alimentato, da parte nostra, da una continua educazione all'affettività, alla socialità, alla tolleranza e alla collaborazione, limando in noi tutti quegli atteggiamenti negativi che limitano la possibilità di essere fautori di pace.


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