In barca con mio padre

In quest'agosto un po' insolito per me, finito senza che abbia potuto fare una vera e propria vacanza, sono felice di trascorrere un po' del mio tempo in barca con mio padre, lungo la costa della penisola, tra chiacchiere e risate, per rientrare solo al calar del sole . La sua passione per il mare, che prende anche me, lo porta a girare per la costa alla ricerca di cale e baie, piccole insenature e scogliere. E' un vero figlio di Nettuno! Appena usciti dal porto, la vista è impagabile: la costa alta ci sovrasta alla nostra sinistra in modo così imponente che a confronto la nostra imbarcazione è un guscio di noce che galleggia sull'acqua. La mia prima preoccupazione è di coprirmi di crema solare per evitare scottature, stessa cosa faccio con mio padre, anche contro la sua volontà, poi mi pongo al suo lato mentre è al timone e cominciamo la nostra giornata all'insegna di battute, scherzi, racconti e a beccarci di continuo, come eterni bambini. E' questa una forma affettiva "sui generis" di volersi bene, un modo tutto nostro di comunicare e quanto più ci becchiamo più siamo in sintonia. Il nostro mondo è inscritto in quello più ampio che ci gira intorno: navi da crociera ferme davanti al porto di Sorrento, motoscafi che sfrecciano, aliscafi che volano sull'acqua, elicotteri che controllano il traffico via mare sulla nostra testa e pescherecci, gommoni e vele. Più che a mare, sembra di essere in autostrada! Intanto che mi sono impomatata con creme antiraggiultravioletti, antirughe, antimacchie e...antitutto, mi sposto sul davanti dell'imbarcazione per stendermi al sole. Il sibilo della barca che scivola leggera sull'acqua, mentre stesa avverto già un sole che picchia, fa in modo che anch'io navighi con la mia mente. Ma il mio viaggio fantastico viene sempre spezzato dalla bellezza della costa che richiede attenzione e sarebbe un vero peccato privare di tanta bellezza la mia vista, e ogni volta lascio appese a un filo le mie storie sul nascere. So aspettare e non dimentico dove ero rimasta. Il mio capitano intanto non perde la rotta, ammira la costa e mi tiene sotto controllo. Quando mi vede, poi, immersa nei miei libri o a scrivere, mi definisce un'ingrata:"Con tanta natura intorno , ti chiudi su questi fogli, ma che fai sempre a leggere e a scrivere? Chiudi questi libri e guarda il paradiso davanti, osserva, impara, studia queste altre cose che non sono meno importanti dei tuoi libri!"


Richiamata all'ordine, non posso esimermi dal fare ciò che mi chiede. Allora mi avvicino e insieme ammiriamo e passiamo in rassegna: i bagni della Regina Giovanna, Cala di Puolo, i bagni Angelina Lauro, La Conca azzurra, Massa Lubrense, Baia delle Sirene, La Baia di Ieranto, Nerano, Li Galli, Positano... Ha ragione mio padre, la vista di questi luoghi lascia senza parole.... Trascorriamo il tempo a guardarci intorno, andando sotto costa, come se toccassimo le spiagge, le case e la roccia. M'incanto a scovare scogli che non ricordavo, case che pur avendo visto tante volte, assumono caratteristiche sempre nuove, discese che viste dal mare hanno un altro aspetto e poi, quando capita uno specchio d'acqua cristallino, lo invito a fermarsi, perchè è lì che voglio fare il bagno. Mio padre asseconda sempre le mie richieste anche quando non potrebbe. L'ultima volta che gli ho detto: "Fermati, qui è perfetto per fare il bagno" eravamo a Capri, vicino a Marina grande in uno specchio d'acqua verde smeraldo. Pur nel disagio, con l'ancora che faceva i capricci, la Guardia costiera nei paraggi e mio padre che si agitava perchè fermarsi lì non era proprio possibile, mi sono tuffata. L'acqua era ghiacciata alle sei del pomeriggio, all'ombra della costa alta col sole già andato via, oltre il monte. Mio padre è ripartito subito, appena ho rimesso piede in barca, per paura di un'infrazione, visto che si era avvicinato troppo alla costa, in un luogo con spiaggia. Ho cercato di prendere ancora qualche raggio di sole, senza speranze e dopo un'ora di navigazione ero ancora bagnata.


Mio padre meriterebbe un oscar per la pazienza, una virtù rara, oggi. Poi comincia con la sua ironia che mi fa sbellicare dalle risate. E' un vulcano, un pozzo di notizie, di pensieri profondi, di idee ingegnose e quando iniziamo i nostri discorsi, non ci ferma più nulla e per dirla con le sue parole :"Ci vuole un soldo per incominciare e una lira per finire". Riposare al sole, in mezzo al mare, in una dolce baia con le cantilene delle cicale, gli stridori dei gabbiani che sfrecciano sulla testa, in lontananza la sagoma di Capri e i Faraglioni e gli echi dei rombi delle barche, non ha prezzo. E non ha prezzo nemmeno la dolcezza di mio padre che da adulta, mi rivive come una bambina. L'altro giorno gli ho detto:"Pa', sto invecchiando, non mi abbronzo più come quando ero bambina!"


"Tu vecchia? mi risponde, allora io sono un antenato! Ma quale vecchia, tu non invecchierai mai, in questo sei figlia di tuo padre: peso, misura e qualità, spirito forte, fisico d'acciaio, tale padre, tale figlia!


"Ecco, il modesto, tutto ciò che è tuo vale oro, allora io dovrei chiamarmi Gold, Filomena Gold", e giù a ridere a crepapelle e la finiamo solo quando cadiamo in acqua per un altro bagno.


Sulla strada del ritorno guardo le mille scie delle barche che ritornano e i nuovi colori che la costa assume al calare del sole: "Che bello! penso, basta così poco a volte per essere felici!"


Ormeggiando la barca nel porto, attiriamo l'attenzione degli altri diportisti che giungono insieme a noi. Incuriosisce la nostra allegria e il nostro sorriso e, sotto gli occhi indagatori di chi ci osserva, seguo il mio capitano, io che sono appena il suo mozzo!





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Il mito del buon selvaggio



Sono sempre stata attirata da un romanzo che siamo soliti destinare ai ragazzi, ma che faremmo bene, ogni tanto, a leggere anche noi adulti: Robinson Crusoe, scritto da Daniel Defoe nel 1719. La mia non è solo una riscoperta letteraria, di una cronaca di sopravvivenza su un'isola deserta, ma una lettura critica sul progresso e la vita moderna. Mi affascina l'avventura che si respira nell'opera, così come il cambiamento interiore e lo stile di vita che avvengono in un uomo, nel momento in cui si trova lontano dalla società in cui vive.


Ho cercato più di una volta, soprattutto in estate e in vacanza, di lasciare a casa le mie comodità e di portare con me il minimo indispensabile, ma l'esperimento è sempre fallito, perchè è come se mi fossi sentita priva di una parte di me stessa. Senza le nostre abitudini e le nostre comodità ci sentiamo persi e tutto viaggia con noi, trasportando il nostro mondo ovunque. Allora, in questi casi, ripenso a Robinson, così inglese e impeccabile, scaraventato su un'isola deserta, solo con se stesso. La sua civiltà non vale nulla in un luogo aspro e solitario, dove per la sua sopravvivenza serve solo la sua capacità di rapportarsi con se stesso e con la natura.


In seguito al naufragio, Robinson resta sull'isola per 28 anni e quando torna in patria dice di avere più paura tra i civili che lì sull'isola. Ha accumulato una ricca esperienza di vita, molto più profonda e solida di quella civile, provato da ogni sorta di malessere, paura, ma più di tutto lo ha forgiato l'esperienza di solitudine.


L'uomo civile si ritaglia poco tempo per restare solo, molto spesso perchè non resiste alla solitudine. E' difficile convivere con se stessi, ci fa più paura la nostra coscienza che la compagnia degli altri. Ascoltare per lungo tempo solo l'eco della nostra anima ci spaventa. Nella sua solitudine, Robinson è a stretto contatto con Dio e nella storia stessa si riscontrano parti del libro di Giobbe. Da questa solitudine lo solleva Venerdì, il selvaggio con il quale instaura una forma di rapporto che va al di là dei schemi sociali. Tra loro non conta il grado di civiltà acquisito, eppure diversi, riescono a comunicare attraverso il bisogno e la necessità di condividere la vita e colmare il vuoto di solitudine.



Già Rousseau aveva trattato il mito del buon selvaggio, affermando che l'uomo nasce buono, ma a contatto con la società diventa un altro, cambia ed è capace di qualsiasi cosa. Da soli siamo tutti bravi, onesti, veri, amabili, tranquilli, ma appena a diretto contatto col prossimo, mettiamo in atto le nostre difese e le arti per sopravvivere agli altri, quasi dovessimo combattere un nemico. Questa tensione che manifestiamo, protratta nel tempo, ci cambia, ci veste di una corazza. L'esperienza dell'isola deserta dà a Robinson una nuova dimensione, lo resetta di tutte quelle maschere che la civiltà gli aveva costruito addosso.


Al suo ritorno in patria è un disadattato, ora è la civiltà che lo spaventa, che spoglia l'uomo della sua spontaneità, della sua profondità e della bellezza del suo essere. In società conviene attenersi ad un modello da seguire, a schemi prestabiliti per uniformarci e controllarci a vicenda e, mentre affiniamo quelle qualità e quelle capacità che ci permettono di relazionarci agli altri e di acquisire le regole della buona convivenza, dall'altra ci priviamo della nostra stessa unicità, del nostro sentire. Sarebbe bello se l'uomo, in questo sforzo di adattarsi alla civiltà, non perdesse la sua essenza reale, che quasi sempre è nascosta dalla maschera sociale, dal nostro essere attori della vita.



La ricerca della felicità



"59 Secondi. Pensa poco, cambia molto. La scienza del cambiamento rapido applicata a noi stessi", è un manuale che richiama al dovere di essere felice, scritto dal professore Richard Wiseman. Sì, perchè oggi, essere felici non è più uno stato d'animo o una condizione psicologica da ricercare, ma un dovere. Lo stato investe su un cittadino felice per incrementare e ottimizzare la produttività del suo paese, oltre a risparmiare sulla sua salute; il partner vuole accanto una persona felice con la quale costruire un rapporto sereno; qualsiasi posto di lavoro ci chiede di essere in perfetta forma psicofisica, appagati per poter svolgere il nostro compito al top . Quella del prof. Wiseman sembra una sfida, così come è assurdo che si possano, in soli 59 secondi, creare le condizioni per uno stato di serenità interiore. Il professore Wiseman, scienziato e psicologo, ricercatore in Psicologia comportamentale, si è occupato di studi sulle risate, sugli eventi curiosi della vita e sulla felicità, tutti argomenti che hanno come obiettivo il benessere del singolo e della società.

Il manuale del prof. Wiseman ci insegna le strategie per essere soddisfatti, una condizione dalla quale dipende addirittura l'indice del Pil , come è stato riscontrato nelle statistiche svolte nei paesi industrializzati. La nostra felicità diventa una condizione necessaria per una vita serena e produttiva.


Il professore afferma che in soli 59 secondi si può attuare una strategia "ad personam"per imparare ad essere felici partendo da se stessi. A tal fine il manuale dà una serie di suggerimenti per ridurre al minimo le difficoltà che ci impediscono la serenità interiore. Se l'infelicità dipende, ad esempio, dal nostro sovrappeso, è bene mettere uno specchio in cucina, col quale confrontarsi continuamente, una sorta di tutore che ci avverta quando la nostra circonferenza sta andando oltre misura e trovare subito i rimedi del caso. Il posto migliore dove collocare lo specchio è sulla porta del frigo!


Se invece i nostri problemi sono l'ansia, il rancore verso qualcuno e lo stress, si può provare un atteggiamento contemplativo, che va dalla lettura dei classici alla preghiera.


La felicità non è data per forza dalla ricchezza, poichè è scientificamente provato che tutti coloro che hanno vinto la lotteria, sono tra le persone che hanno maggiori difficoltà psicologiche e organizzative. Il nostro sistema genetico in questo discorso, rappresenta, da solo , il cinquanta per cento della nostra felicità. Chi non mostra di possedere una buona dose di felicità nel suo corredo genetico, è più predisposto alle ricadute, ai ritorni di insoddisfazioni. Accettare i nostri limiti è il primo passo per la felicità, in caso contrario non facciamo altro che aggravare la nostra posizione.


Per il quaranta per cento delle persone , la felicità dipende dal nostro modo di porci nei confronti degli altri, ma anche da come noi stessi ci vediamo. Per esempio, se mostrassimo più gratitudine, saremmo anche più felici, ma questo sentimento risulta essere tra quelli che dimentichiamo più spesso e quasi sempre volontariamente. Non amiamo ringraziare o gratificare i nostri benefattori perchè subito ci abituiamo agli agi e facciamo una certa fatica a capire da dove giungono. Un valido suggerimento per imparare ad essere grati, secondo Wiseman, sarebbe quello di tenere un diario sul quale annotare gli obiettivi raggiunti, i nostri pensieri sugli amici, la gratitudine provata e per chi, i nostri desideri. Il lunedì per esempio potremmo descrivere i momenti di soddisfazione; il martedì raccontare gli istanti indimenticabili; il mercoledì prevedere un futuro rosa a cominciare dal domani; il giovedì scrivere ad una persona per noi importante; il venerdì trarre un po' le somme e annotare almeno tre cose andate bene, anche le più banali.


Se vogliamo smuoverci e fare qualcosa per far sì che la nostra vita prenda una piega diversa, cominciamo col fare questi piccoli passi. Il fatto è che spesso chi si sente infelice lo prende come uno stato da cui non può uscire, per cui non si propone nessuna alternativa, ma accetta quasi passivamente il suo malessere. Il professor Wiseman ha constatato che, interpellando coloro che hanno attuato un suo semplice consiglio tecnico, ci sono stati reali cambiamenti, se non altro si è evidenziata la voglia di instaurare una nuova fiducia in se stessi e di conseguenza una visione più rosea della realtà.


Secondo Richard Wiseman non abbiamo più bisogno di "psicologi che ci tengono per anni a parlare della nostra infanzia. Parlarne non serve a niente, ci fa solo perdere tempo. Abbiamo creduto che i sogni potessero diventare realtà senza muovere un dito. La felicità è qualcosa che ci accade, non possiamo invocarla o evocarla. Nessuno viene da noi a cambiarci la vita. Nessuno ci può rendere felice. Dipende da noi."


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