Il Don Giovanni

Don Giovanni Tenorio è un famoso personaggio della letteratura che passa il tempo a sedurre donne, mollando la presa solo dopo che la malcapitata capitoli. Ne hanno parlato Moliere,  George Gordon Byron, A. Sergeevic, Puskin, José Zorrilla, José de Espronceda e ancora Josè Saramago. E' concezione dell'uomo, da che mondo è mondo, per antichi, filosofi e scrittori, che, se una donna non crolla sotto i dardi di Cupido, è solo per una corte non adatta a lei e che prima o poi, è matematicamente provato, che lei sarà toccata dalla freccia con l'arte di seduzione.  E qui anche Ovidio al suo cospetto impallidisce, poiché conosce ogni sorta di escamotage. Quanto più la donna resiste alle avances,  tanto più l'uomo si accanisce. Ma una volta che il proprio ego sarà stato accontentato e la prescelta avrà abboccato, il Don Giovanni perderà l'interesse e passa ad altra pulzella. Sì, il gusto e il piacere di Don Giovanni è quello di fare conquiste a ripetizione, no stop potremmo dire. Nella fase dell'aggancio è quasi una persona normale, affettuosa, sembrando addirittura innamorato. Ma ha solo l'interesse a far cadere ai suoi piedi le donne in quanto, dei sentimenti, non ne ha una grande considerazione. Quello di cui non si rende conto è che la sua è come una malattia credendo invece di mettere in mostra il suo aspetto di maschio, ma i fatti non stanno poi così.
 La lussuria è il vizio della quantità.
Ciò che caratterizza la lussuria non è tanto l'attrazione fisica ma l'elemento della fantasia, dell'immaginazione. Questo è reso ancora più esplicito da quella caratteristica particolare della lussuria che è la porno-dipendenza soprattutto nelle forme attuali del virtuale, dove il porno-dipendente è paradossalmente impotente dal punto di vista fisico. L'immaginazione ha catturato la mente al punto da asciugare ogni altro aspetto della realtà, non solo le relazioni ma anche la professione e gli interessi.
Il pornodipendente è isolato nelle immagini che coltiva. Per questo qualcuno ha detto che il lussurioso è come una candela che consuma se stessa. Il suo pascolo non è la realtà ma l'immaginazione. Gli interessa l'infinito catalogo delle donne non la donna di cui può essere innamorato ma solo un numero di collezioni.
In questo catalogo c'è l'assoluta mancanza del sentimento. La lussuria è caratterizzata in questa descrizione come una specie di catena di montaggio della libidine a livello infinito.
Nell'uomo l'organo sessuale per eccellenza è il cervello, dell'immaginazione si pasce. In questo modo taglia i ponti con la realtà. Per questo bisogna ascoltare la richiesta che viene dalla lussuria. Il lussurioso come Don Giovanni è malato di assoluto, cerca la bellezza totale, perfetta che non riesce mai a trovare. La via d'uscita da questo vizio è fare esperienze nella realtà con relazioni sane, affettuose e non avere paure del limite, di legarsi, di impegnarsi. E paradossalmente è da questo il Don Giovanni fugge: l'unione con un legame d'affetto.
La donna custodisce la finitezza e in quanto conosce la finitezza è più forte dell'uomo. La donna è molto meno esposta alle perversioni e le derive proprie della lussuria. Da solo il Don Giovanni non arriverà mai a capire di fare del male e spesso la società lo prende per vanto maschile e anche in questo senso la letteratura ne è piena. Il Don Giovanni è incapace di amare, è un collezionista di conquiste, di bellezza, di intraprendenza con le donne. Non si pone alcun limite, non si lascia scalfire da ostacoli, il suo obiettivo è conquistare, null'altro. Difficile è riconoscerlo: è affettuoso, dolce, carino, attento. Ma è solo una maschera di cui si serve, il vero volto emerge a fine conquista.


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A proposito degli altri


Le persone dimenticano in fretta tutto il bene ricevuto. Ciascuno  lamenta sempre  le cose che non ha, ma di quello che ha ricevuto non ricorda più. Non ricordano che le hai tirate dalla “merda”, quando ti sei adoperato per loro, quando eri un approdo se non l’unico approdo, quando non avevano amici perché erano in difficoltà, quando le ricevevi con grande affetto, quando ti facevi in quattro per loro. La gente dimentica sempre il meglio di te ma all’occorrenza ricorda quello che non hai dato.  Dimentica la tua bontà, la tua dedizione, la tua amicizia, le parole, l’affetto, la porta aperta. Stranamente ricorda i no che hai detto, quando non eri d’accordo, quando non ti sei uniformato a loro, quando non hai dato secondo i loro crismi. Ma il peggio è che la gente si vende, si schiera per sopraggiunti motivi, non sa prendere posizione o, se la prende, è la posizione di comodo ed è la posizione nella quale si nasconde  e si maschera meglio. La gente è mimetica, assume colori e pensieri delle persone che contratta al momento, perché non pensa con la sua testa, la gente, si lascia pensare dagli altri, guidare, convincere o peggio ancora incapace di avere una propria idea e portarla avanti. La gente si associa per non pensare, e credere così di fare meno errori, si aggrega per  non sbagliare e avere una scusante in più. Si maschera dietro il bigottismo, la falsa moralità, l’etica traballante, l’indifferenza, ma oserei dire anche la strafottenza.


La gente, dimenticando quello che hai fatto, si esime dal darti anche la più piccola cosa  e se capisce il tuo tallone d’Achille, crede di farla franca. Non è così. Conoscere una persona significa averne rispetto, e le persone che non hanno rispetto, che manifestano tutta la maleducazione e la superficialità nei rapporti col prossimo, saranno a loro volta trattate allo stesso modo.

La gente non ha tatto, crede che tu non ti accorga, non veda, non sappia, non conosca anche il suo tallone d’Achille e non possa a tua volta fare del male gratuito come loro. E’ una questione di scelta di non farlo e non significa che non si capisca quando viene fatto.

La gente va trattata per quello che è: educazione e stima a chi la dà, noncuranza e indifferenza ai meschini, quelli che fanno finta di… I rapporti col prossimo sono un terreno delicato e nel trattare gli altri si vede in primis il rispetto che abbiamo di noi stessi, gli altri sono solo il nostro riflesso.

Questa mia filippica per dire alla gente che del male siamo tutti capaci e lo sappiamo fare anche chirurgicamente parlando in modo da lasciare basiti, ma non lo  si fa per scelta,  per educazione, per socialità, per “religione” direbbe Machiavelli, la stessa religione che mettiamo sempre in mezzo quando siamo incapaci di comportarci in modo coerente e secondo una logica e non un pensiero a caso, o del momento o per assecondare qualcuno o qualcosa. E non da ultimo bisogna anche sforzarsi a non farlo, esercitarsi a relazionare con gli altri con intelligenza e non bassezza, che tra le due scelte farlo è molto più facile. La gente dovrebbe essere più responsabile delle sue azioni, delle sue scelte e dei suoi errori e assumersi anche le sue responsabilità. Non possiamo sperare di cambiare il mondo, fermare la guerra, mentre noi siamo appantanati nelle nostre idee distorte che mai cambieremo. La gente deve essere rispettosa degli altri se vuole rispetto a sua volta, perché alla fine lo sciacquone lo sappiamo tirare tutti  e mandare a quel paese i falsi cristiani, gli ipocriti, i double face, i grigi,  quelli che ad ogni costo si trincerano dietro la religione come fosse la coperta di Linus ma hanno più la parvenza dei “lapsi” del periodo dei martiri, che cambiavano religione nel pericolo di essere perseguitati. Per convivere e condividere con gli altri vanno esercitati quei sentimenti che aumentano e non diminuiscono il nostro valore, quale la gratitudine, la benevolenza, la solidarietà, la comprensione, che sono sentimenti che crediamo ci appartengano perché siamo persone “ di chiesa” e che proprio per credere che ci appartengono già, che non li esercitiamo mai. Sono sentimenti non per i buonisti, ma per gli intelligenti che tengono a far parlare del bene che è molto più difficile del male, di quello ne parlano già tutti, ma del bene, del vero bene, nessuno ne sa parlare, ce ne riempiamo la bocca e crediamo che con un  po’ di beneficenza  siamo assolti da ogni nostra mancanza.
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Caro Papa ti scrivo...



Carissimo Papa Francesco,
questa è una lettera un po' insolita, particolare direi. Di solito ci rivolgiamo al Signore per mezzo della preghiera, ma credo che sia  diventata anche quella pubblica, nessuno più la fa in privato,  il Signore non ci loda e non ci sgrida e noi siamo abituati ai "mi piace" e abbiamo bisogno di strillare a tutti e sai perché?
Nessuno ascolta più!
Da piccoli ci  hanno insegnato l'esame di coscienza, ma credo che anche questo sia impossibile oggi. Sarebbe un esame un po' affollato, visto che non siamo più tra noi stessi, ma sempre tra noi e gli altri. Ma anche quando l'esame di coscienza si mette in moto è proprio la coscienza che vacilla. Sì, per prendere atto che tutti i rapporti oggi sono labili, precari, fatti sull'onda dell'emozione e poi via, del bisogno, del plauso, ma poi resta così poco o quasi niente. Quando mi chiudo nella mia coscienza  sono sola, gli altri sono solo dei miraggi. Mi preoccupa questo bisogno di rapportarsi più agli  altri che a se stessi, questo nostro aspetto double face che ci costruiamo. Ed è proprio questo a inficiare i nostri rapporti che diventano sempre più poveri e manchevoli di energia e di sostanza.
Un esempio? Bene. Ognuno di noi ha bisogno degli altri e finiamo per assecondarli anche quando non siamo d'accordo, un po' andando loro incontro  pur di avere un po' d' approvazione da parte loro. Non siamo liberi in questa nostra libertà, dipendiamo sempre dal giudizio degli altri e oggi più che mai siamo selettivi e ci dedichiamo solo e sempre agli amici che crediamo la pensino come noi. Ma la diversità non era un valore?
La politica poi...Una volta esisteva il voto, oggi esistono i patti tra partiti e persone che tra l'altro adottano nomi biblici per rafforzare quello che è un' idea più che un ideale. Gli ideali non ci sono più, ci sono solo persone con idee che cercano di  far decollare e per questo si aggregano anche quando tra loro non c'è alcun ideale comune, ma solo perché l'unione fa la forza.  Ogni persona fa quello che gli ritorna utile e la gratuità non è capita, ma poi se la eserciti spesso sei anche bollato per " fesso". A me è successo tante volte di fare cose gratuite e proprio in questi casi ho capito bene il prossimo: c'è chi ne approfitta, c'è chi ti reputa sciocca e chi superba. Il punto  di difficoltà mio è questo Padre, sapere se quello che chiedo rientri in quello che abbiamo ricevuto come insegnamento catechistico sin da bambini: "Se si va controcorrente, si è in grave peccato?" Vedo una tale confusione in giro e  noi, nell'indecisione, ci comportiamo come capita. A me personalmente sono saltati tutti gli esempi per cui potrei anche essere una cristiana atipica: la Chiesa mi ha deluso profondamente e non sto qui a spiegarne il motivo; le persone che avevano tutta la mia stima sono risultate tra le più crudeli; quando mi sono adoperata per gli altri, questi credevano fosse un diritto, al di sotto del massimo, credono non abbia dato niente; là dove c'è stato il mio massimo sforzo, il mio bene, il mio perdere me stessa, è risultato tutto vano, non è rimasto niente in piedi.
 Ora se dopo questa "sconfessione" sto qui a scrivere al Papa, non è per un voler essere plateale, ma faccio una riflessione ad alta voce e sono preoccupata . Il fatto serio è che non so più come professare la mia fede, come raccontarla a chi non crede, se prima io ho difficoltà a credere. Non che sia diventata San Tommaso, non lo sono mai stata, ma avvengono nella vita sempre situazioni per le quali si destruttura quella bella costruzione che avevamo innalzato sin da bambini. Era facile credere allora a un Dio che tutto perdona e ci vuole bene, ma crescendo sappiamo che non è così se vediamo negli occhi del fratello l'odio, l'invidia, la pigrizia, la morte e capire che Dio è in mezzo a noi. Non mi bastano i rituali e la liturgia, né i deserti alla ricerca di me stessa. Ho conosciuto sacerdoti che mi hanno delusa profondamente, anche quelli che reputavo come padri, quelli che ti girano le spalle, e quelli che non sanno che farsene delle tue confessioni. Sono solo bisognosi per primi di aiuti e chiusi dentro le mura di una chiesa, che credono protettiva, ci affogano dentro portandosi dietro anche gli altri. Saranno stati proprio questi incontri sbagliati a mettere in difficoltà la mia cristianità. Questo non significa che non sia cristiana, che non vada a messa, che non sia devota, che non sia attenta al prossimo e non mi prodighi per gli altri. Ecco questo è il vero problema. Non mi basta il sentire, vorrei il visibile, il tangibile con gli altri, vorrei poter leggere gli altri. Possibile che io sia così analfabeta come cristiana e non abbia capito nulla? Essere cristiana e vedere così poca cristianità negli altri significa non esserlo abbastanza, se gli altri sono il nostro specchio, allora anch'io non sono poi così cristiana come voglio credere o non so nemmeno cosa intendo quando parlo di cristianità. Ci vorrebbe un cristianometro per misurare la nostra temperatura religiosa e all'occorrenza curarla. Ma in realtà tutto si decide in noi stessi, in quel pozzo profondo del nostro abisso e quel benedetto libero arbitro con il quale dobbiamo fare i conti ogni giorni.

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