Il mare era appena increspato, come una tavola
a forma di grattugia, le onde piccole, a punta, correvano ordinate in una serie
continua senza fermarsi. La nave, seppur appena inclinata su una fiancata, era spinta
da un vento forte, come un grande amico venuto in soccorso. Un tiepido sole
mattutino stava cercando di asciugare l’acqua dalla coperta dove i corpi erano
riversi e sparsi ovunque. Moreno fu il primo ad aprire gli occhi e a capire di
avercela fatta. Esortò i compagni a svegliarsi perché la sorte era con loro e
non riusciva a spiegarsi come fossero
ancora vivi. Il vento spirava tanto da asciugare tutta l’acqua e i loro
vestiti, e la visione della sera precedente con quelle onde che travolgevano la
nave, finì per essere solo un ricordo. Lentamente il vento li svegliò e li
sorprese mentre cercavano di slegarsi. Santo si trovava dalla parte della tuga
riverso e incastrato in una morsa, senza capire che cosa fosse avvenuto a quel
punto. Un ammasso di legno e ferro aveva coperto tutta la gamba, mettendoci del
tempo prima di capire come tirarsene fuori. Quello non era il posto dove si era
legato, le onde alte e violente lo avevano sbattuto lì. Moreno e Luca si
affrettarono a tirarlo fuori ma il dolore che provò lo bloccò e dovette attendere
prima di poter liberare la gamba. Luigione cercò di creare un’apertura nella
direzione dove il piede e parte della gamba erano imbrigliati. Alla fine riuscì
a creare un appoggio morbido su cui poter fare leva. Il capitano era gravemente
ferito e tutto quello che potettero fare fu di aspettare i soccorsi. I motori
furono danneggiati in parte e la nave più che procedere si manteneva a galla.
La comunicazione con la costa era disturbata e Moreno per tutto il giorno cercò
affannosamente di sbloccare la situazione. La cambusa era piena d’acqua, i
viveri galleggiavano e si aveva difficoltà a definire la merce in acqua e
quella rimasta nelle scatole. Recuperare la mercanzia sembrò impresa ardua. Il
carico da portare in Nigeria era incerto e non si poteva fare alcuna stima se
non dopo che l’acqua si fosse ritirata per contare le perdite. Dovettero
aspettare l’alba del nuovo giorno prima che qualche nave giungesse in loro
aiuto. E fu un mercantile delle Canarie a soccorrerli. Il medico che era a
bordo ordinò di trasportare il capitano subito a terra per la necessità di un intervento:
aveva una gamba a pezzi su cui vagliare il da farsi. Senza resistenze, Santo fu
trasportato a Tenerife, mentre gli altri se la cavarono con medicamenti e tanto
sonno oltre che abbondanti pasti. La nave arrivò nel porto di Santa Cruz dove dovettero ripararla per l’ennesima
volta. Non fu quello un caso raro in cui ritornò in un porto tutta sgangherata.
Era già tanto vederla ancora per mare. Anche questa volta sarebbe stata
rappezzata e, una volta riparata, Moreno
ne prese il comando e si diresse, con quel che restava del carico, a Laos
mentre il capitano restò in clinica per l’intervento alla gamba. Al suo ritorno,
Moreno lo avrebbe portato a casa. Santo non voleva abbandonare la sua nave, sebbene
le sue condizioni fisiche lo inchiodassero a letto. Prese questa novità come uno strano presentimento, di qualcosa
che ancora non conosceva, non era mai
successo prima di lasciare la nave a metà viaggio. Moreno si assunse ogni
responsabilità della nave e del carico e anche per lui fu la prima volta che lasciò
il capitano e viaggiò senza di lui.
La Madeira salpò da Tenerife,
più leggera per aver scaricato la merce guasta. Era stata aggiustata e tutta la
strumentazione di bordo aveva ripreso a funzionare. Era sempre accaduto di
dover essere ripresa e messa a nuovo dopo una tempesta o un carico super o una
rotta non facile, e per tanti altri motivi. Quello che accadde di nuovo fu di avere il capitano bloccato sull’isola per l'incidente avvenuto, per il resto sembrava un vecchio
copione per come era ridotta male la nave su cui viaggiavano da tanti anni.
L’equipaggio era in forma e anche il tempo volgeva al bello. La compagnia era
stata informata dell’accaduto e nessuno sembrò meravigliarsi più di tanto. Era
già molto che riuscisse a fare ancora viaggi in quello stato precario in cui
versava. Navi del genere vengono relegate nei cantieri per ricavarne pezzi di ricambio
fino alla loro estinzione. La Medeira era ancora in vita e sembrava un leone
sebbene con un ruggito meno graffiante. Santo rimase a Tenerife, in una camera
d’albergo con una gamba appesa al letto, sulla poltrona accanto due stampelle
nuove per permettergli di deambulare. Filippo, il mozzo, rimase con lui ad
accudirlo, mentre al suo posto sulla
nave ci fu un nuovo collega e una nuova
ciurma che si compose per quel viaggio. L’albergo era immenso, lussuoso e dal
bordo della piscina arrivavano in camera voci allegre, in diverse lingue.
Turisti d’ogni parte del mondo popolavano quel posto tenebroso. La piscina era alimentata con acqua
dell’oceano e mostrava un gioco di fontane e zampilli che arricchiva lo
scenario. Santo non potette vedere tanta bellezza, ma riuscì a immaginare ciò
che lo circondava. Luca aveva messo Filippo a guardia dell’amico spiegandogli
che il capitano, oltre ad essere invalido, era anche molto depresso e doveva
fare in modo di non turbare la sua serenità. Filippo doveva occuparsi di Santo
come sulla nave. Nessun altro poteva assolvere a questo ruolo come lui. Egli
manifestava ubbidienza fino al parossismo e stravedeva per il capitano che si era occupato di lui,per il passato, offrendogli un lavoro sulla sua nave. Si conoscevano bene
perché vicini di casa e il capitano lo aveva tenuto quasi a battesimo,
vedendolo crescere nel vicolo del suo borgo. I primi quindici giorni Santo li
passò seduto a leggere, a comunicare via radio con la nave e a sbrigare
telefonicamente tante incombenze. Non
volendo mettere la moglie in apprensione, comunicava con lei come se stesse
sulla nave, continuando a farle il diario di bordo, cercando di essere carino
con lei per non indurla a pensare che le nascondesse qualcosa. Alida credeva ciecamente nel marito senza mai immaginare che potesse mentirle, contava i giorni che la separavano da lui come ogni
moglie che aspetta. Quanto più la moglie era premurosa tanto più Santo era
infastidito e non gradiva l’apprensione che lei aveva nei suoi confronti, ma
non l’avrebbe trattata mai male. Verso la terza settimana di permanenza, il capitano prese a muovere dei passi,
portandosi a volte fuori al balcone, al quarto piano, direttamente sulla
piscina e di fronte all’oceano. Una piattaforma stretta e lunga di cemento
divideva la piscina dal mare. Molti ospiti prendevano il sole ai suoi bordi e lui, dall’alto, osservava con quanta spensieratezza quelle persone
gustavano la loro vacanza. La sua, invece, era una vacanza forzata e come succede in questi casi, il cervello lavorava
molto di più invece di riposarsi e approfittarne per prendersi una vacanza come
non aveva mai fatto. Guardava il mare così maestoso, in quel punto da cui si
vedeva un oceano ruggente e arrabbiato da riversare i suoi flutti sulla
scogliera per poi ricadere ai bordi della piscina, separata dal mare da una
barricata di cemento. Sedette su di una sdraio facendo attenzione alla gamba
che non toccasse da qualche parte e lì, nascosto tra la ringhiera e i fiori
delle ciotole pensili, scrutava l’orizzonte e immaginava la vita di Sonia!
Sonia era sempre stata la sua
ragazza. Sin da piccoli si erano giurati amore eterno e ancora bambini avevano
suggellato quel sentimento tenendosi per mano, raccontandosi le loro emozioni, facendo
attenzione l’uno verso l’altro in una sorta di patto fraterno ma che aveva
dell’incredibile perché sempre insieme, con la pioggia e col sole, d’estate e
in inverno, tristi o felici erano sempre l’uno accanto all’altra. Sonia era una
bambina bellissima: bionda, occhi celesti, alta, proporzionata nelle misure ed
elegante nel portamento. I suoi genitori non gradivano i loro incontri per il
loro diverso stato sociale, la diversa cultura e un diverso futuro davanti
a loro. L’incantesimo finì all’età dei quindici anni di Sonia, quando Santo ne
aveva diciotto. Sonia fu mandata in America presso uno zio materno dove in seguito
si trasferirono anche i genitori. Il papà di Sonia era armatore, aveva flotte
sparse un po’ dovunque nelle quali aveva profuso tutto il suo capitale. Egli
diede agio e benessere a tutta la famiglia e l’inconveniente di Sonia che si
innamorasse di un ragazzo socialmente diverso, aveva mandato in tilt tutti suoi
piani. Don Valentino si trasferì in America e anche oltreoceano riuscì a
mantenere vivi i suoi interessi e i suoi affari che non conobbero declino, ma
continuarono a crescere e a fare la sua fortuna. Lì, aveva acquistato una
catena di alberghi e ristoranti nella zona di Long Island e Manatthan. Sonia,
una volta trasferitasi in America, non aveva fatto più ritorno nella sua bella
città. Santo si era sentito defraudato, Sonia gli era stata sottratta con
violenza e infamia, senza alcuna pietà per quell’amore che li vedeva insieme
come una delle coppie più belle in assoluto.
Gli anni passarono e la
speranza di rivederla cominciò a scemare. Lì sul terrazzo, per la prima
volta cercava di analizzare come uno psicologo, quegli incontri giovanili con
Sonia, per cercare di intravedervi un qualcosa che lasciasse intendere un
atteggiamento riprovevole di Sonia per poterla odiare, forse l’unica speranza
per non pensare più a lei e vivere un po’ senza quel tormento che lo invadeva
profondamente.
http://miosole.blogspot.it/2016/06/laffare-sonia_21.html
Commenta...
Nessun commento:
Posta un commento