Presentazione alla Berio di Genova

Due giorni intensi  a Genova per presentare il mio ultimo romanzo Just Job alla Biblioteca Berio
Genova è la città in cui è ambientato la storia ed era doveroso presentarlo proprio qui. Una città scelta sin dall'inizio  per il porto, il mare, la costa, la storia, il luogo così particolare.
La Biblioteca in via del Seminario 16 è una struttura imponente con diverse sale convegni e di lettura. La Sala Lignea è molto grande, ricca di volumi tutto intorno alle pareti.
 Giù, a piano terra, i ragazzi studiavano sul prato e sulle panchine sotto i  primi raggi del sole di aprile, generoso e luminoso. La Sala è fornita di schermo e proiettore, ben illuminata, con una buona visibilità anche da lontano. Ho chiesto al bibliotecario come pubblicizzano gli eventi. Come mezzi di diffusione usano la bacheca all'ingresso della struttura dove affiggono le attività della Biblioteca, così che tutti possano leggere gli eventi. Quando sono arrivata hanno consultato il registro delle prenotazioni: nella stessa giornata ci sono eventi diversi nella struttura. L'evento è stato riportato dal giornale di Genova Il Secolo XIX così come ho appreso dai presenti. A presentazione iniziata,  mi ha colpito un signore seduto in ultima fila che più che ascoltare pendeva dalle mie parole come se volesse sentirsi proprio quelle che stavo dicendo. La sua presenza si è rivelata preziosa, elemento trainante della serata. Non solo ha partecipato, ma poi, alla fine, ha posto una serie di domande facendo capire che quel protagonista della storia, Marcello, poteva essere lui. Quando gli ho autografato il romanzo, mi ha confessato che sapeva dell'evento sin dal mattino per aver letto  la notizia sul giornale e leggendo rapidamente la trama del libro ha detto:"Questo sono io". Pendeva dai miei discorsi, annuiva, si ritrovava nelle parole. Mi ha confessato che gli era accaduto esattamente quello che era successo a Marcello, il protagonista di Just Job.  Aveva perso il lavoro e  la stima di se stesso, fino a quando non ha rispolverato la sua vecchia passione per la pittura. Sì, la pittura, un'arte, che molto spesso non può dare da mangiare e di cui lui ne ha fatto un lavoro, così ben avviato con cui adesso ci vive. Ho scoperto poi che si tratta di un pittore genovese affermato. La sua partecipazione non solo è stata di esempio, ma ha confermato tutto quello che il romanzo racconta. Le sue parole sono servite a chiarire e ad approfondire gli argomenti. Lo spirito della serata è stato quello giusto e, avere un "Marcello" vero tra il pubblico  con cui condividere  quello che avevo scritto, è stato come avere un motivo in più per scrivere questa storia. Peccato che, presa dai contenuti e dal trattare con lui l'argomento, non abbia pensato di riprendere ciò che raccontava Davide, il pittore. Sarebbe stata una bella risonanza, vissuta proprio nella città in cui ho ambientato il romanzo. Relatrice la dottoressa Alessia Cherillo che, dopo aver presentato la Casa Editrice Graus e me come autrice, si è alternata nell'esposizione dei fatti  rimarcando gli aspetti salienti. Dare forma a un romanzo da un'idea in nuce, e svilupparlo in modo completo dando vita non solo ai personaggi e alle situazioni ma renderlo poi vivo in un luogo che non ti appartiene ma che rendi aderente alla storia e, parlarne dopo, a romanzo ultimato, nello stesso posto in cui lo hai collocato, è una sensazione unica e indescrivibile. Genova racchiude un po' il punto fermo con questo romanzo, dove il cerchio si chiude. E quando l'altro giorno sono entrata nel bar di Lucio e ho appreso che si chiamava come uno dei protagonisti della storia, è stato un piacevole riscontro avendo io tutta la vicenda del libro in testa e tutti i personaggi che ancora mi ballano dentro con le loro vicissitudini. E' come prolungare gli effetti della storia e non volerli mai lasciare, proprio come dei figli a cui hai dato vita e vedi ora autonomi di agire come meglio credono. Davide che si sentiva come Marcello, Lucio il barista come il pescatore, io a Genova come  in una città conosciuta da sempre, sono solo piccoli incantesimi che un libro rende. Un libro che non si finisce mai di raccontare, dove i personaggi continuano a vivere. Scendendo per le stradine ombrose, prive di sole, fino al porto, il giorno dopo la presentazione, sembrava di vederci Marcello correre per la città magari per andare a trovare Francesco, l'amico di sempre, o Federica che si recava in libreria Montale, e ancora Daniela. La mia amica accanto, nella sua eleganza sembrava Catherine, l'amica di Federica e io in mezzo a loro come deus ex machina che mi arrogavo il diritto di muovere i loro fili. Presentare a volte rende soddisfazioni che vanno oltre, che non si possono comprare, nè vendere, ma solo sentire. Scrivere è una magia unica, una simbiosi tra chi racconta e chi legge e le emozioni che produce sono così forti che non possono essere prodotte in altri campi. Davide ne è stato l'esempio più bello: andare a Genova e trovare un "Marcello" vero che accorre alla presentazione per essersi riconosciuto nella storia.

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Lucio, il barista genovese


Salendo a piedi dal porto e andando verso l’interno della città, c’è un piccolo bar sulla destra della strada. Il caffè lo avevamo già preso a fine pranzo, ma Beth non si è accontentata di quello del ristorante, mi ha portato al bar, lì nelle vicinanze. Non era un bar solito, ma molto piccolo e raccolto, dove spiccavano tante arance in bella vista nella vetrina e dove il celeste era il colore predominante, a cominciare dalla maglia del barista. La mia amica mi fa sedere e mi spiega che ogni buon genovese va lì per il caffè con la panna. Io, da buona napoletana, stento a credere che un’altra città possa avere un caffè più buono del nostro. Beth è per parte di madre francese, per padre austriaca, non so quanto ne possa sapere di caffè, ma mi fido di quello che dice. 
Lei è una persona autorevole che non aggiunge né toglie alle cose. Poi scopro che il barista si chiama Lucio, sì, Lucio come uno dei personaggi del mio romanzo Just Job. E’ stato come un segno, una rivelazione o una coincidenza che vorrà dire qualcosa visto che mi trovo a Genova per la presentazione del mio romanzo Just Job e Lucio, il vecchio pescatore di Recco, è uno dei protagonisti. Il barista è un uomo realista, molto concreto, che da buon genovese fa bene i conti. Dice che non conviene gestire un bar, si lamenta della città, per l’incuria in cui è lasciata, ma ancora di più per i genovesi, “brutta gente” come li definisce. Fa discorsi senza una piega, fa rapidamente i conti delle spese e di tutto quello che non conviene e mentre parla mi fa pensare alla vecchia repubblica marinara, fatta da uomini di mare e di commercio, con il fiuto per gli affari. Si lamenta dell’amministrazione, fa un profilo delle condizioni politiche e, pur ammettendo che la mia amica sia al di sopra delle vedute di una città come Genova, smonta i suoi progetti a uno a uno dichiarando che lei è troppo intellettuale per una città come Genova e che i genovesi non meritano niente. La mia amica gli svela il suo progetto sociale, del pranzo con i profughi e Lucio dirotta il discorso sull'importanza di una tavola imbandita. Comincia con le tovaglie di fiandra, vassoi ricchi e stracolmi, pietanze di tutto rispetto, ma quando afferma che una tavola ben preparata la si vede dalla saliera, è scattata una risata sonora da parte mia. Sì, la saliera la dice lunga sul pranzo. Ci sono saliere anche di ottomila euro, diceva Lucio, e quando più è lavorata tanto più la tavola imbandita acquista valore. Dopo ha chiesto alla mia amica di che prezzo fosse la sua saliera. Poi, mentre serviva i suoi caffè, serio, ha quasi urlato: "Ho visto tavole perdersi per una saliera da poco". La sua affermazione fatta in modo serio, a maggior ragione induceva a ridere. Poi siamo rimasti in tre nel locale e finalmente è arrivato il nostro caffè con la panna. Beth non si riusciva a contenere davanti a tanta bontà e mentre noi prendevamo il caffè, Lucio non ha perso nemmeno un minuto e ha continuato a riordinare. Intanto parlava senza sosta, illustrava teorie e continuava a fare conti, prendendomi anche in giro. Peccato non aver ripreso la sua performance live veramente eccezionale, meglio di ogni altro programma confezionato cui ci abitua la TV. Quella pausa al bar di Lucio è stata una vera chicca, oltretutto ci ha offerto il caffè e siamo andate vie col gusto della panna. Ho creduto in questo incontro come un segno per il fatto che si chiamasse Lucio, che fosse così accorto, che ne sapesse di economia e che fosse amico della mia amica. Credo che ritornerò da lui ogni volta che andrò a Genova, se non per il caffè, per le sue riflessioni così serie e attente mai sentite prima.

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