Lucio, il barista genovese


Salendo a piedi dal porto e andando verso l’interno della città, c’è un piccolo bar sulla destra della strada. Il caffè lo avevamo già preso a fine pranzo, ma Beth non si è accontentata di quello del ristorante, mi ha portato al bar, lì nelle vicinanze. Non era un bar solito, ma molto piccolo e raccolto, dove spiccavano tante arance in bella vista nella vetrina e dove il celeste era il colore predominante, a cominciare dalla maglia del barista. La mia amica mi fa sedere e mi spiega che ogni buon genovese va lì per il caffè con la panna. Io, da buona napoletana, stento a credere che un’altra città possa avere un caffè più buono del nostro. Beth è per parte di madre francese, per padre austriaca, non so quanto ne possa sapere di caffè, ma mi fido di quello che dice. 
Lei è una persona autorevole che non aggiunge né toglie alle cose. Poi scopro che il barista si chiama Lucio, sì, Lucio come uno dei personaggi del mio romanzo Just Job. E’ stato come un segno, una rivelazione o una coincidenza che vorrà dire qualcosa visto che mi trovo a Genova per la presentazione del mio romanzo Just Job e Lucio, il vecchio pescatore di Recco, è uno dei protagonisti. Il barista è un uomo realista, molto concreto, che da buon genovese fa bene i conti. Dice che non conviene gestire un bar, si lamenta della città, per l’incuria in cui è lasciata, ma ancora di più per i genovesi, “brutta gente” come li definisce. Fa discorsi senza una piega, fa rapidamente i conti delle spese e di tutto quello che non conviene e mentre parla mi fa pensare alla vecchia repubblica marinara, fatta da uomini di mare e di commercio, con il fiuto per gli affari. Si lamenta dell’amministrazione, fa un profilo delle condizioni politiche e, pur ammettendo che la mia amica sia al di sopra delle vedute di una città come Genova, smonta i suoi progetti a uno a uno dichiarando che lei è troppo intellettuale per una città come Genova e che i genovesi non meritano niente. La mia amica gli svela il suo progetto sociale, del pranzo con i profughi e Lucio dirotta il discorso sull'importanza di una tavola imbandita. Comincia con le tovaglie di fiandra, vassoi ricchi e stracolmi, pietanze di tutto rispetto, ma quando afferma che una tavola ben preparata la si vede dalla saliera, è scattata una risata sonora da parte mia. Sì, la saliera la dice lunga sul pranzo. Ci sono saliere anche di ottomila euro, diceva Lucio, e quando più è lavorata tanto più la tavola imbandita acquista valore. Dopo ha chiesto alla mia amica di che prezzo fosse la sua saliera. Poi, mentre serviva i suoi caffè, serio, ha quasi urlato: "Ho visto tavole perdersi per una saliera da poco". La sua affermazione fatta in modo serio, a maggior ragione induceva a ridere. Poi siamo rimasti in tre nel locale e finalmente è arrivato il nostro caffè con la panna. Beth non si riusciva a contenere davanti a tanta bontà e mentre noi prendevamo il caffè, Lucio non ha perso nemmeno un minuto e ha continuato a riordinare. Intanto parlava senza sosta, illustrava teorie e continuava a fare conti, prendendomi anche in giro. Peccato non aver ripreso la sua performance live veramente eccezionale, meglio di ogni altro programma confezionato cui ci abitua la TV. Quella pausa al bar di Lucio è stata una vera chicca, oltretutto ci ha offerto il caffè e siamo andate vie col gusto della panna. Ho creduto in questo incontro come un segno per il fatto che si chiamasse Lucio, che fosse così accorto, che ne sapesse di economia e che fosse amico della mia amica. Credo che ritornerò da lui ogni volta che andrò a Genova, se non per il caffè, per le sue riflessioni così serie e attente mai sentite prima.

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