La montagna bruciata

La terra ha il suo urlo e forse più acuto di una voce umana. Faito, come altre montagne, è stata colpita. Siamo giunti a quel limite di cui parla Thomas Mann nella sua Montagna incantata, romanzo di formazione dei primi decenni del secolo scorso. L’autore fa una disamina del  suo tempo, alla vigilia della prima guerra mondiale. Il romanzo fu pubblicato nel 1924, anche se la sua genesi inizia nel 1912 e  conferma, come tutti quelli dell’epoca, luci ed ombre della civiltà di fine secolo, arrivata al suo culmine, trasportata da quel “placet experiri”, ovvero il piacere di sperimentare, che l’aveva fatta collassare. 



La stessa prima guerra mondiale, sull’onda delle scoperte tecnologiche del tempo, iniziò come un gioco, convinti che il progresso avrebbe portato buoni risultati a chi aveva motivo di innescarla. Ma visto che la storia la si legge a ritroso, l’euforia di avere i mezzi per vincerla si trasformò  in tristezza per quello che si rivelò. Mann si pone sul filo del rasoio, tra vita e morte, tra ironia e tragedia, tra lucide riflessioni e complesse conclusioni. L’incanto della montagna  era una sorta di limbo, dove, venuto a cadere il tempo, tutto avveniva sotto una luce di maggiore consapevolezza. Una clinica di malati che, per chi giungeva da fuori, appariva come un mondo sconosciuto, diverso, irraggiungibile. Oggi ci stiamo lentamente calando in una falsa  consapevolezza che nulla può essere cambiato, tutto  scorre secondo ritmi e stili imposti dove si alternano verità nascoste, motivazioni taciute  e assuefazione a modi di pensare che sono privi di senso e di amore per la vita. Siamo giunti a un bivio o meglio sul ciglio del burrone, oltre, il nulla. Nella storia della Montagna incantata, il protagonista Hans Castorp si reca a trovare il cugino in un sanatorio svizzero a Davos e si accorge di un mondo a lui estraneo, lontano dalla vita e soprattutto dalla sua. Qui si vive in una dimensione diversa, fuori dalla realtà e dal tempo. Un mondo che il protagonista non comprende fino a quando non si ammala e va ad inserirsi in quella stessa realtà incomprensibile fino a poco tempo prima. Solo  attraverso la sua esperienza, si farà carico di tutte le miserie che invece non emergevano a chi si affacciava a quel mondo per la prima volta. E’ un continuo percepire la bellezza della vita in contrasto con l’inizio della prima guerra mondiale, ultima tappa di decadenza di quella società. La malattia è vista come una menomazione fisica e spirituale, come colpa che blocca, frena. Nella malattia  il protagonista si accorge di cose che non vedeva prima. Oggi la stupidità dell’uomo è nel credere che la corsa all’economia sia tutta la felicità del mondo per poi lentamente condurci ad una insoddisfazione perenne che non comprendiamo. La montagna oggi brucia e nel suo fuoco leggiamo quello che siamo diventati, esattamente un secolo dopo, quando la guerra non è fatta di trincee e di campi dove sono sparsi corpi senza vita, ma interessi che avanzano in modo spudorato. Essa brucia per una volontà ben precisa e dietro gli incendi filosofie di vita del tutto contorte e fuori controllo. Piange per aver perso la sua funzione, martoriata, depredata, depauperata, e come essa si spoglia, così l’uomo vive la sua epoca: privo di ogni incanto, di ogni sogno, di ogni passione, vivendo solo dei tentacoli del denaro. L’uomo soffre l’impossibilità di slegarsi da questa morsa, dal suo “placet experiri”, con cui crede di poter gestire dove comandare  è l’unica cosa cui ambisce, null’altro, tutto il resto per lui è diventato noia. Dare fuoco alla montagna costa solo un atto di coraggio, chiudere gli occhi e appiccare, il resto viene da sé. La malattia oggi è lo stato in cui ci troviamo perdendo la cognizione di quello che la natura rappresenta per noi. Nella montagna incantata, il personaggio Luigi Settembrini parla di pace e di amore scontrandosi col gesuita Naphta i cui discorsi sono intrisi di pessimismo e  nichilismo con cui  mette a nudo la realtà  a confronto di quella vita piatta e incantata che si respira nel sanatorio e che puntualmente Mann contrasta con la sua ironia, con il non credergli fino in fondo.  La montagna di oggi assurge  a vita che langue, che soffre per vedere gli uomini perdersi nel mondo degli interessi. Uomini volti a convogliare ogni forza, ogni bisogno, ogni opportunità a proprio vantaggio e non è che un mondo abbrutito da cattiverie e soprusi, sopraffazioni continue. Faito brucia, come tutte le altre in questo periodo e se bastasse il suo lamento a scuotere dal torpore fatto  di interessi economici e potesse risvegliare il senso vero della vita fuori da questo gioco di potere marcio e saturo, forse si svelerebbe una nuova era per tutti. Per Sant’Agostino il mondo da solo, con la sua “curiositas” avulsa dalla “sapientia”, non si salva. Oggi ci siamo sporti troppo da quel ciglio del burrone di cui parlava Mann e siamo in bilico. Non facciamo altro che consumare, e in questa famelica corsa divoriamo tutto, anche  i beni necessari per vivere. E non bastano le tesi, le antitesi e le sintesi, pur spiegandoci gli errori, perseveriamo come se la storia fosse un tempo vuoto e non un insegnamento. Il consumismo di oggi è la guerra del passato e quel limite, che sembrava invalicabile, è stato sorpassato. Le nuove guerre sono ingestibili, inarrestabili,  presentano il volto del possibile, del caso, del fuori programma. Se la montagna brucia, per quanti ne sono afflitti, ce ne sono altri che ne vivono.  Ma la vita prosegue come “la Nottola di Minerva” di cui Hegel si serviva per spiegare la filosofia. Come la civetta si alza al crepuscolo, quando ormai il giorno volge al termine, così la filosofia spiega la vita quando essa è già compiuta. E questo capire giunge sempre dopo, quando dovremmo prendere atto dei pericoli incorsi per evitarli in seguito e  si presenta sempre un nuovo elemento a confutare la sintesi. La stessa montagna, col suo sguardo triste e fumoso, è la metafora della vita di oggi, di quello che siamo diventati, della labilità della nostra esistenza pur sembrando fornita di ogni bene, sono beni vuoti e fragili. Bisogna ritornare a valori diversi e più veri, più sani. Ma con i beni anche la stupidità è aumentata esponenzialmente e la prima guerra di questa nuova era è contrastare l’ingestibile.

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