L'inverno è duro per i pennuti


La merla, convinta che il freddo mese di gennaio fosse finito, uscì dal comignolo con i suoi piccoli, tutti neri per la fuliggine. Gennaio, una volta aveva solo 28 giorni e così per fare dispetto al pennuto, ne chiese in prestito altri tre a febbraio, portando gelo e costringendo la merla e i suoi piccoli a ritornare nel camino. Questa è la leggenda. Il merlo in inverno stenta a volare, conosce molto bene il pericolo ed evita tutto quello che non è sicuro. Così il passero, il più tenace di tutti, sopporta il freddo ed è solitario come riportano i versi di Leopardi “D’in su la vetta della torre antica” cantando va fino a che muore il giorno, appisolato tra gli smerli per trovare tepore. Resiste, mentre gli altri sono costretti a partire, come la rondine che vola nei paesi caldi. Il più socievole è il corvo che ama stare in compagnia, appollaiato sui rami quando non è alla ricerca di cibo. Va in giro a fare provviste dall’alba al tramonto. Non è poi così stupido come lo vuole la favola dove il formaggio gli cade dal becco e finisce alla volpe che dal basso aspetta di fregarglielo. Nel suo becco transitano insetti morti, chicchi, semi, altro che formaggio! L’inverno è duro per i pennuti che spesso razzolano nel silenzio della campagna. Il cardellino, invece, ha spiccato il volo fuori dalla tela di Raffaello Sanzio, dove era tra le mani di San Giovannino e Gesù, opera del 1506, per respirare aria fuori dalla trementina e dall’olio. Meglio l’inverno che posare sul dipinto. E’ fatto per la libertà, la compagnia.

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Si apre a piccoli voli con leggerezza, e il cinguettio, che aveva a lungo represso, riprende flebile. I pennuti hanno vita grama d’inverno se non sono in gruppo, insieme possono fare giochi di società come quelli in Uccellacci e uccellini, film del 1966, ambizioso progetto pasoliniano, dove un corvo intellettuale non la smette di cianciare con un padre e figlio per raccontare loro le gesta di due frati che avevano l’impegno di convertire passeri e falchi, così come voleva San Francesco. Molti indicono riunioni di condominio nei tronchi degli alberi. Sarebbe interessante ascoltarne i discorsi, magari facendo irruzione nel bel mezzo della seduta. Bisognerebbe scovarli con una battuta, come accadeva nell’ Uccellagione di Starne o Caccia col falcone poemetto in ottave di Lorenzo il Magnifico, una giornata di caccia con minuta descrizione della campagna di buon mattino. Lorenzo de’ Medici, ago della bilancia della politica in Italia nella seconda metà del 400, per dirimere tutte le questioni sul territorio, si dilettava a descrivere con tono ironico e burlesco le fasi e le tecniche della caccia. E chissà che una volta a casa con la cacciagione , non abbia fatto la fine di Corrado Gianfigliazzi, cavaliere che, di ritorno dalla caccia con una gru, chiese a Chichibio di cucinarla. Fu così che si vide portare a tavola il pennuto privo di una coscia. Chichibio, appena l’ebbe sfornata, fu costretto a darne una alla sua Brunetta che non resisteva al profumo. E così, per accontentare l’amata, portò a tavola la gru mancante di un pezzo. Corrado, alla vista dell’arrosto incompleto, lo rimproverò e Chichibio si difese dicendo che le gru hanno una coscia sola. Il giorno dopo, Gianfigliazzi lo portò allo stagno e videro che le gru erano appoggiate su una gamba sola. Ma con un “Oh, oh” tutte le gru posarono a terra anche l’altra. E così Chichibio disse al padrone che la sera precedente non aveva detto “Oh, oh“ per far comparire l’altra gamba. L’inverno è fatto per il passero, è lui il re del freddo e se accade che per un malanno perda la vita non possiamo fare a meno di fargli il funerale con i versi di Catullo quando parla della morte del passero della sua Lesbia: “Era dolce come il miele e la capiva naturalmente come una bimba la madre, e non si muoveva mai dal grembo, ma saltellando qua e là, con le zampette, solo alla sua padrona cinguettava. Ora scende il cammino tenebroso da cui nessuno, dicono, ritorna. Maledette, maledette tenebre dell’Orco, che divorate ogni dolcezza, rapire il passero così bello! Che disgrazia, piccolo passero…” Sicuramente, anche nell’inverno più rigido, storni, pettirossi, cinciallegre, merli non potranno mai morire di fame, troveranno biscotti sbriciolati, molliche, semi, gocce di grasso rappreso sui davanzali davanti alle cucine, molliche di ogni tipo di cibo. E forse, chissà che in primavera non ritornino ai nostri terrazzi allietandoci col loro canto.


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