Poldark




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In una sera d’estate seduta a cercare un film in tv, noto tra le serie a disposizione quella di Poldark. Ammetto di avere un debole per il personaggio sin  dalla prima volta che l’ho visto nello sceneggiato del 1975,  proposto dalla televisione inglese con Robin Ellis. Ricordo che aveva il sapore degli sceneggiati di Anton Giulio Majano: La cittadella, E le stelle stanno a guardare, entrambi di A.J.Cronin, a cominciare dalla colonna sonora che preannunciava burrasche. Ho letto la serie dei 4 libri di cui è composto dopo la visione del primo sceneggiato, ma ho amato subito il personaggio e l’attore inglese incarnava il perfetto capitano di marina, con la sua Demelza, un’attrice che ricordo di grande bravura. Sulla scia di questo sceneggiato, durante il mio viaggio in Inghilterra, ho visitato le miniere di Poldark  rivivendo la stessa atmosfera che si ha guardando il film. E che dire quando ho visitato la Cornovaglia dove è ambientata la storia. Un luogo di gran lunga più maestoso di quello che si vede in tv. Comprendo l’autore della saga dei Poldark, Winston Graham, che visse per quarant’anni in Cornovaglia. Quando abiti un luogo del genere, sei ispirato ovunque ti giri! Amo la letteratura inglese, per quanto ci sia il pregiudizio, anche degli stessi Inglesi, nell’affermare che la nostra sia la vera letteratura. Ci invidiano il Rinascimento e la fantasia, ma io trovo la letteratura di ogni paese importante. La nuova serie di Poldark con Aidan Turner ed Eleonor Tomlinson è degna di rilievo. Lo dicono gli ascolti della Bbc One, e quelli italiani ancora alla seconda stagione, mentre in Gran Bretagna si sta per girare la quinta. E’ un romanzo sulla saga dei Poldark, antica famiglia nobiliare inglese che lotta da sempre con gli avidi Warlaggan. Sin dal primo episodio l’ho trovato avvincente, moderno, reale, molto più del primo Poldark. Sicuramente la tecnologia premia, ogni aspetto è ben curato, a cominciare dalla colonna sonora, le scene, i costumi, le interpretazioni. I paesaggi della Cornovaglia rappresentano un’attrazione ulteriore, per non dire degli attori, tutti giovani e bravi. Sono sceneggiati che riescono a tenere incollati allo schermo milioni di telespettatori come sta accadendo. L’autore vivendo in Cornovaglia ha fatto di questa terra il luogo di una saga volendo essere scrittore ad ogni costo. Dialoghi mai banali, molto freschi, a volte spiazzanti, efficaci, con aplomb e umorismo, forse il vero motivo del successo. Ross Poldark è un capitano di marina che, per  sfuggire alla giustizia, parte per la guerra. Ritorna sfregiato in patria e scopre di aver perso tutto: il padre è morto, le miniere esaurite e la sua promessa fidanzata sta per sposarsi. Spinto da una forza d’animo non indifferente, per non perdere il patrimonio che il padre gli aveva lasciato, si rimbocca le maniche e cerca di risalire. E’ un uomo di grande generosità, senso del dovere,  sempre in lotta contro il potere per i soprusi che infligge ai più deboli. La verità è che il suo animo battagliero, testardo e coraggioso gli dà le marce per rischiare in ogni situazione, senza mai mollare. E quella velocità d’azione e di pensiero, che sembrano essere sue debolezze, si rivelano mosse risolutive più di quanto egli stesso immagini. Ho seguito Poldark fino alla quarta stagione ancora non trasmessa qui in Italia, ovviamente l’ho vista in inglese, un modo per riscoprire anche la lingua e non mi sono annoiata per niente. Interessante i riscontri storici, l’epoca di fine XVIII secolo caratterizzata da tre Rivoluzioni: Industriale, Americana e Francese, così come un mondo ancora in formazione. Paesaggi straordinari, storie di umanità e di fatti sempre attuali dove campeggia l’amore con le sue battaglie, le sue vittorie e le sconfitte. Una storia fatta di vita e passioni, caratteri, di forti sentimenti che volgono anche al peggio, talvolta portati all’estremo come la vendetta, l’invidia, la cattiveria, l’ingordigia. Eravamo rimasti a  David Copperfield di Dickens,  Orgoglio e pregiudizio e Ragione e sentimento di Austen, o La fiera della Vanità di Thackeray. La letteratura di fine XVIII secolo porta con sé il concetto che la morte dà agli uomini la forza di sopportare le avversità della vita. L’urbanizzazione dà al ceto abbiente modi superbi nel trattare con quelli che vivono in campagna, vanificando il loro umile lavoro. La frase di Thomas Hardy “Via dalla lotta ignobile della pazza folla” che dà anche il titolo auno dei suoi romanzo, inneggia al bisogno di solitudine per ritrovare se stessi in un periodo in cui la vita si concentrava nelle città, col fenomeno dell’urbanizzazione, accrescendo il divario tra i ceti sociali. Concetto che in Italia aveva scosso il Parini a formulare le stesse considerazioni. In questo scenario sociale Poldark diventa paladino dei più deboli e la sua generosità così come la filantropia superano ogni normale considerazione.
Winston Graham nacque a Manchester nel 1908 e fu un prolifico scrittore che oltre alla saga di Poldark scrisse molti altri romanzi. Tra gli altri Marnie, ripreso da Alfred Hichock nel 1963 e interpretato da Tippi Hedren, madre dell’attrice Melanie Griffith, e Sean Connery. La sua produzione letteraria gli ha fruttato una fortuna tanto che, per evitare il fisco inglese, andò a vivere a Cap Ferrat in Francia, per poi ritornare, nello stesso anno, alla sua amata Cornovaglia ammettendo che avrebbe sopportato il fisco pur di non annoiarsi.
 Poldark è atteso anche in Italia, a grande richiesta. Gli stessi libri della saga non hanno avuto mai così successo come ora sull’onda delle serie televisiva che ha fatto scoprire i vari romanzi e il periodo storico. E gli Inglesi sono così attenti a quello che leggono e che seguono in tv che nel 1996 il film su Poldark, dal titolo Strangers from the sea, provocò malcontento per i personaggi poco credibili  che si allontanavano molto da quelli precedenti dello sceneggiato televisivo del 1975. E se una serie di successo serve a riconsiderare una certa narrativa sepolta, che ben venga. Cinema e letteratura sono due aspetti in correlazione che amplificano trame e storie e ne facilitano la divulgazione. Solo che non sempre il connubio riesce così felice come in questo caso. E si possono riscontrare casi divergenti come quando a  un grande romanzo seguono deludenti risultati televisivi o di cinema  o a una letteratura di nicchia ci si può trovare davanti a un risultato inaspettatamente di successo. Ma a volte si riscoprono trame solo per credere vadano bene con i tempi, o si possano riproporre per averle lasciate sedimentare abbastanza. Poldark è un concentrato di tutto questo. Un successo non sempre lo si può comprendere, è sempre frutto di tante motivazioni e a volte anche poco spiegabili. Un po’ come l’amore, non segue alcuna logica.

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Luoghi che ricordano la nostra vita passata



Spesso ho la sensazione che luoghi a noi sconosciuti abbiano un significato e un richiamo  al di sopra del normale. Mi è capitato ultimamente con un luogo di particolare predilezione che non ha niente a che vedere con la sua  bellezza. E’ una predisposizione dell’anima verso quel posto come se lo avesse sempre conosciuto, anche se si tratta di una terra  lontana. L’ho visitato una sola volta e al solo ricordo accadono in me reazioni inspiegabili. La prima volta che ci sono andata è stato più  un caso che altro, ma a volte anche le cose che ci sembrano scelte a caso hanno una logica. Quando sono giunta lì ebbi la sensazione di esserci nata e di conoscerlo bene. Nessun fatto procurò in me novità o scoperta. Mi erano familiari ogni pezzo di terra che battevo, ogni angolo, riuscivo ad aggirare perfino i pericoli. Un fatto che non si poteva spiegare e nemmeno gli altri avrebbero capito. Non mi era chiaro come un posto incantevole, che conoscevo per la prima volta, non destasse in me meraviglia ma solo un effetto strano ed emotivo. Di quel viaggio restano le foto e solo a guardarle sono trasportata lì. Poi, consapevole di non poterci ritornare né a breve né a lungo termine, l’attenzione scemò. Ma ultimamente questo richiamo è ritornato in seguito a una serie televisiva, un remake di un’altra che avevo visto circa 20 anni fa e che, come adesso, mi produsse gli stessi effetti di oggi. Ebbene, rivedendo i luoghi, da me visitati, attraverso lo sceneggiato, ho avuto le stesse reazioni di un tempo e ho provato l’esigenza di ritornarci, come se ci avessi lasciato qualcosa di mio.

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 Una sensazione inspiegabile e più forte di ogni altra cosa. Ho ripensato alla possibilità di ricordare altre vite vissute e pertanto, forse, ne ricordo una passata. Detto così può sembrare una stupidaggine, ma questo fenomeno deve pur avere una spiegazione. La trasmigrazione delle anime è alla base di tutte le religioni orientali e la filosofia ne parla abbondantemente. Il passaggio dell’anima  dopo la morte biologica del corpo in un altro è spiegata non solo dalla necessità di raggiungere la perfezione, ma anche dal fatto che la coscienza è  come un’ energia che non si estingue con la morte corporea. E’ come se sentissimo dentro di noi una forza incontrollabile e travolgente che ci precipita in una tale direzione, forte di qualche ricordo rimasto sulla coscienza e che fa tendere anche il corpo in quella direzione. Il fatto che quel luogo susciti in me emozioni e pensieri al di sopra di ogni possibile realtà, mi riconduca a situazioni come se fossero frutto della  fantasia e invece sono attrazioni forti a cui non resisto, può spiegarsi solo come qualcosa di già vissuto. Lo sceneggiato in questione mi immette in una dimensione oltre, dove io non faccio che riprendere esperienze vissute. Quello che avevo sempre creduto pura fantasia, è forse un ricordo che mi riporta lì.  Ormai sono passati tanti anni, da allora, e di quel posto ricordo l’energia che mi dava, una forza interiore, mentale, creativa. Ho sempre pensato che la suggestione sia un aspetto da non sottovalutare, ma essa non è un’azione così duratura nel tempo. Secondo la legge del Karma ogni vita è influenzata dalle sue precedenti e la sua memoria gioca un ruolo fondamentale in questa  attuale. Come se una matrice fosse ancora in noi e ci indicasse qualcosa, ci riportasse echi di vite anteriori. Una spiegazione filosofica e religiosa non basta a darmi chiarimenti in merito. Siamo poi abituati, quando si parla di questi fenomeni, ad essere approssimativi, evasivi, scettici evitando ogni implicazione visto l’ impossibilità di spiegazioni plausibili e convincenti. Purtroppo non siamo capaci di capire dimensioni diverse da quelle che viviamo e a volte siamo sconosciuti a noi stessi.
Con la tecnica dell’ipnosi si riesce a far riemergere esperienze  passate prima della nascita, ma non avendo sperimentato questo metodo, non posso nemmeno sapere se sia o meno esperienza di esistenza di coscienza anteriore alla vita attuale. Gli studi in tal senso affermano che i bambini sono i migliori detentori di notizie delle loro passate vite e le  ricerche con gruppi di ragazzini hanno confermato che tutto quanto dicevano sul loro vicino passato era realmente riscontrabile. Questo può affermare l’immortalità dell’anima. Secondo Platone l’anima è incorporea e semplice, che vive, dà vita ed è immortale. Essa non può morire e, prima di calarsi nel corpo, contempla modelli perfetti nel mondo delle idee, conoscenza delle quali avviene non attraverso i sensi e l’esperienza, ma da un’intuizione intellettuale a priori. E “sottile” è anche l’anima di Lucrezio nel suo De Rerum Natura di particelle minuscole e di germi molto più piccoli di quelli da cui è formato il liquido umor dell’acqua, o di nebbia, o di fumo, infatti molto li supera in mobilità, e si muove sollecitata da impulsi più lievi, sebbene bastino a stimolarla le parvenze del fumo e della nebbia” . Ciascuno di noi resta nel proprio mondo fatto di sensazioni ed emozioni e forse un retaggio di vite passate di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza e  indaghiamo a fondo solo su quello che ci capita. Ci limitiamo a prenderne atto e ci accontentiamo della nostra conoscenza sensibile. Ognuno di noi è un mondo o comunque una parte di questo mondo estensibile al passato e al futuro ma  ci basta controllare il presente come unico dato utile tralasciando quello che potrebbe affollare la nostra vita sensibile. Tutto ciò che non vediamo, tocchiamo, o possiamo controllare sensibilmente lo accantoniamo. Ed ecco allora che fenomeni come questi non ce li spieghiamo. Ma se a contatto con questa realtà il mio io cambia notevolmente producendo sensazioni e stati d’animo mai avuti, reazioni incontrollabili, che stentano a rientrare nella normalità e questo ogni qualvolta che quel luogo giunge a me in qualche modo, sia esso nel pensiero, nel ricordo, nella visione di film  o in una semplice foto, non posso liquidare il fatto come una suggestione. Credo che qualcosa di simile ad esperienze passate prima della nostra nascita, risieda anche nei sogni, dove accadono fatti non sempre spiegabili, come parlare un’altra lingua pur non conoscendola nella realtà, di vivere azioni mai compiute o vedere volti e fatti che non accadranno mai. Ad ogni modo se un luogo evoca tanti stati d’animo, inquieta più del dovuto, diventa un’ossessione e non smette di presentarsi ai sensi come qualcosa di vissuto, deve pur esserci qualche legame. A suo tempo, quando ci sono stata, mi diressi verso dei massi che costeggiavano un sentiero alla ricerca di una pianta, una sorta di prezzemolo selvatico, e cercai con tanta cura che ne trovai un po’. Fu solo dopo, in un negozio del centro che vidi la stessa erba racchiusa in buste e che mi spiegarono essere un tipo di prezzemolo. Incredibile! Cosa ne sapevo io di quel prezzemolo? Intanto vivo questa esperienza come qualcosa di già accaduto, non riconducibile a un dejavù, che d’altra parte ha la durata di brevi attimi. E se anche, oggi,  evito qualsiasi contatto visivo di quel posto, aumenta la mia attività creatività che mi riporta quelle colline, case, scorci, paesaggi. Potrei liberarmene solo rappresentando col disegno le scene che appaiono alla mente senza che io le abbia richiamate, come unica  testimonianza di quello che mi succede pur non potendolo spiegare. E se come dice Lucrezio l’anima viene sollecitata anche solo da parvenze di fumo e nebbia, sono entrata in una nebulosa dove più piani di vita si incontrano o si scontrano o si perdono nel ricordo e nel vissuto o fanno parte dell’esistenza dove ciascuno porta le orme degli altri e siamo legati gli uni agli altri più di quello che immaginiamo, come una grande anima i cui brandelli si disperdono per poi rincontrarsi.


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In riva al mare






Amo la spiaggia ciottolosa, ma quello che si può fare sulla sabbia è impossibile tra gli scogli. Castelli, per esempio, scrivere e poi cancellare con un’onda, e poi riscrivere mentre un rigagnolo lento accorre a resettare. E poi a riprovare, tanto sai che è un gioco tra te e il mare. Seduta sul bagnasciuga l’acqua lambisce la parte immersa con onde prive di forza e il sole  asciuga in un baleno. Dopo un anno eccoci di nuovo qui tra piacevoli chiacchierate,  a tu per tu con l’acqua. Vorremmo contenerlo tutto ma non si lascia domare, ci viene incontro come un innamorato, a volte sereno, altre arrabbiato e poi capriccioso. Il mare ci risolleva, alleggerisce i nostri pensieri e allevia la tensione delle frenetiche giornate. Ci comportiamo come bambini ai primi passi, un po’ lo temiamo, poi ci immergiamo, risaliamo, nuotiamo. Tutto per noi, con richieste precise: che l’acqua sia all’occorrenza calda e poi fredda, e poi pulita, con onde piccole, senza vento, di un intenso verde. Vorremmo ci  ispirasse, ci rapisse e noi tra le sue braccia come se Nettuno  venisse a prenderci e portarci lontano. E quando sei immerso nell’acqua fino al collo, disponi di un’altra prospettiva. Dal mare vedi la forma della terra, la vegetazione, la costa, il cielo di un altro colore, i riflessi del sole, la gente, lì piccola che passeggia al bar, sul bagnasciuga, così piccola che da lì il mare sembra a confronto un leone. E ti chiedi perché si corre nella vita,  se sono poi le piccole cose a farci stare bene. Libertà è sentirsi trasportare dalle onde, guardare il corpo vagare tra il fondale e la superficie, e se sei fortunato ci vedrai i pesci guizzare, con i bambini che ridono nelle ciambelle a giocare come se stessero ancora nell’acqua fetale. E sopporti gli schizzi, gli schiamazzi, mentre galleggi guidato dalla corrente. In riva al mare si guarda lontano l’orizzonte, la linea immaginaria dove cielo e terra si toccano e dove finiscono i nostri ragionamenti e ogni frase trova il suo punto. Carichiamo l’orizzonte  di idee, sogni e  attese. Una linea magica, nata dalla nostra mente, che pesa e vaglia. Se il mare è una tavola, l’animo plana, si distende. Così facciamo caso ai colori, ai profumi, persino ai pensieri altrui. Se invece il mare è alto, agitato, con onde che si infrangono e fanno rumore, anche l’animo travaglia. Ma la cosa migliore  è stendersi a prendere il sole, immobili, con gli occhi chiusi, dando spazio alla ragione o ai progetti, come un’auto che ora procede e dopo rallenta, in un’architettura di immagini. E poi la musica, un juke box incalzante che inietta adrenalina  con un ritmo, un ritornello o  tanti ricordi di estati passate. Ad occhi chiusi, sulle note di canzoni anche lontane, come sapore di sale, o col solo gorgoglio del mare, siamo veramente soli, con i nostri pensieri anche su una spiaggia affollata, tra gente conosciuta, in un ambiente a nostra misura. L’estate fa evaporare le nostre apprensioni e ci riporta alla natura, noi figli dell’acqua. Ci richiama la forza delle onde, il tremolio a pelo d’acqua, il colore oro delle onde illuminate dal sole, le imbarcazioni in ogni direzione come i mulinelli della nostra mente, la trasparenza che ci rende chiaro il fondale, il lievitare sulle onde quando ci appoggiamo ad esse e voliamo lontano. Il mare è il nostro grande amico, ci accoglie mostrandoci tutto il suo volto  senza nasconderci nulla. Bel tempo o minaccioso, niente tiene per sè. Dovremmo prendere esempio e comportarci allo stesso modo chiaro e  trasparente, che non nasconde, allo stesso tempo, e accogliere chi viene a noi. Così come conoscere e controllare le emozioni per poterlo solcare quando si presenta nelle sue varie vesti senza per questo crederlo offensivo.


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Itarella e le altre storie...un gelato a gelso da Gabriele


“Di questi tempi prendere il treno non è una bella cosa, fa caldo e l’afa non si sopporta. Ma io ci devo andare. Ho fatto una scommessa”. Itarella ha preso la Vesuviana per andare in costiera, accompagnata dall’amica. A casa ha detto che andava al Vomero per compere, invece è sulle rotaie per un gusto: un gelato a gelso. “Non so come ti vengono certi sghiribizzi, Itarè. Un gelato al gelso non si può comprare a Napoli? Immagine correlata

Vuoi vedere che in tutta Napoli non si trova una gelateria e soprattutto un gelato a gelso? Potevamo risparmiarcela ʻsta sudata. Ma lo sai, non riesco a dirti di no!”. “Questa sì che è amicizia e dopo che avrai assaggiato il gelato di Gabriele, mi sarai ancora più amica!” In un  pomeriggio assolato, quando nemmeno i cammelli lasciano l’oasi, sedute vicine nel treno Napoli Sorrento, Itarella e l’amica viaggiano per Vico. “ʻA creatura non l’ho portata, è rimasta con Cosimuccio e poi di gelati ne ha mangiati parecchi”. “Ma con la dieta come la metti?” “ La metto che sto con un’insalatina di pomodori e una fettina di tofu. Hai capito? Con tutti i caciocavalli e provoloni del monaco della nostra terra, mi vado a mangiare il tofu! E tutto questo, per un gelato! E non è mica un gelato normale. No, no!  E’ qualcosa che parla da solo, e racconta, racconta e non la finisce più. L’ultima volta che l’ho mangiato è stato due anni fa. Ho preso 4 coppette, una brioche, un cono, e una delizia!” “Itarella mia, ma dal professore non devi più andarci, fai tutte brutte figure, spendi una cifra e non perdi peso. Tu il gelato non dovresti proprio vederlo!”
“Ma come, dopo un’insalatina e una fettina di tofu? Devo fare la fame? Anche al condannato si dà un’ultima possibilità e questa per me è l’ultima cosa che mangio prima di andare dal professore, lo giuro”. Ormai il gelato è  la meta e come quelle cose che devono accadere per forza, non c’è motivo di riprendersi se non dopo aver fatto un bel pieno. Quando giungono a Vico, Itarella, strada facendo fino a  Corso Umberto I,  racconta la scommessa in atto. Una sera in compagnia di amici si misero alla ricerca di un gelato a gelso ricordando quello di Gabriele, ma quando lo trovarono sembrava tutt’altra cosa. Lei giurò che avrebbe portato loro il gelato a gelso di Gabriele e far notare la differenza. Se avesse vinto la scommessa, il marito le avrebbe comprato la tanto sospirata gelatiera che da tempo andava chiedendo, da prima che iniziasse la dieta, e mai si comprava.  Arrivano alla gelateria e facendo largo tra la folla, raggiungono il banco dei gusti e, alla vista di quei colori, pregustando i sapori, chiede il sospirato gelato a gelso. Lei sceglie una brioche con gelso e pistacchio, mentre l’amica un cono con cioccolato e zuppa inglese. Si mettono comode fuori in panchina e mangiano quel pasto. Non riescono a parlare, i loro occhi però esprimono soddisfazione e più che un gelato è un peccato di gola. Corre all’interno e chiede al proprietario:” Si può conoscere il segreto di questo gelato?” “Signora, non c’è alcun segreto da svelare, solo una tradizione e una passione da raccontare, adesso le spiegherà meglio la commessa, mentre taglio questi formaggi!” “Nel frattempo che lei parla mi fa anche un cono col gelso?” “Certo signora, ecco a lei!” Itarella mangia il suo gelato e guarda le tante bontà della vetrina: altri gusti, torte con fragoline di bosco, paste, dolci, formaggi. Tra i formaggi la scamorza, quello con le noci, le caciottine, il provolone, il gorgonzola…E ancora due vetrine frigo piene di torte, liquori, biscottini, tarallucci, limoncello, babà in barattolo…Oddio. La signora intanto le parla del gelato e le spiega come  a una bambini. Lo sapeva che non doveva andarci. Ma come si fa a lasciare in vetrina tante delizie? Dopo chiede  una vaschetta di gusti vari da portare ai suoi, delle brioche, una busta di formaggi e dei liquori. E dulcis in fundo pretende una delizia a limone che consuma mentre scruta i gusti e i formaggi passandoli in rassegna come quando si fa un inventario. Appena finisce, rivolta all’amica che la guarda come un’aliena, dice: “Adesso giuro che posso andare via, anche se non ci penserei due volte a prendere una porzione di fragoline o frutta col gelato!” “Ma tu stai bene Itarè?” “Mi ha spiegato il proprietario che adesso non è più come una volta, diciamo che i gelati sono un po’ più light, più dietetici, tengono conto delle calorie, dei diabetici, del colesterolo, dei trigliceridi e compagnia cantando…e poi dobbiamo pur arrivarci da qui alla stazione a piedi. Non è che immettiamo sempre e non consumiamo mai. Non devi essere così rigida, ogni tanto fatti passare la voglia di un gelato. E poi, metti noi che siamo venute da Napoli, che facciamo? Ammiriamo la vetrina? Sentiamo il profumo? Ascoltiamo gli altri e li vediamo saziarsi mentre gli brillano gli occhi? No, no, si vive anche di soddisfazione e un gelato di Gabriele toglie la depressione, ti fa sorridere e se metto un po’ di ciccia giuro che da domani mangio solo tofu e verdura. Ma io vorrei dire, con tutto questo ben di Dio, che ingiustizia non poter mangiare. Guarda quella signora con due coni in mano: nella destra nocciola e nella sinistra fragola e panna e non sa dove tuffarsi. Questa non me la devo perdere, adesso ci facciamo un selfie con la signora che mangia i gelati dietro di noi e postiamo. Tutto siglato con la scritta di Gabriele, così a Cosimuccio viene un colpo, non perché sto qui da sola e mi posso perdere, ma per dover pagare la modica cifra di 200 euro a visita dal professore. Hai capito? E questo è l’amore! Sai che ti dico, un gelato può essere la prova. Se l’amato non ti dice niente, non si preoccupa che ingrassi, vuol dire che ti ama, se ti denigra mentre tu stai affondando nel tuo bel gelato e ti dice che non lo devi mangiare, vista la mole che ti trovi, allora lascialo su due piedi, non è uomo di passione! E un uomo che non ama il gelato non ama  nemmeno te, e va di sicuro all’inferno!” Intanto l’amica ride e la lascia parlare e non si accorge che Itarella entra per l’ennesima volta  a chiedere una granita. “Con te è inutile, Itarè!”
“Caro signor Gabriele le devo dire che lei ha un grande merito, quello di farmi scendere dal treno e camminare a piedi dalla stazione, per venire a gustare il suo gelato.  Diciamo che ha avuto il coraggio di portare la montagna da Maometto, in questo caso la montagna sono io e Maometto il suo gelato, solo che a queste condizioni posso venire una volta l’anno. E’ vero che ho fatto dei passi a piedi ma, se venissi spesso, dovrei fare dei pellegrinaggi per ammazzare le calorie. Caro signor Gabriele, non voglio il suo male, ma ogni tanto ci metta un po’ di peperoncino, così quando vengo, trovandolo amaro, me ne vado delusa e non mangio come oggi. Avrò ingurgitato più di 1000 calorie, domani devo digiunare, capisce? Mi vuol male!” “Ma no, signora, cosa dice, qui solo prelibatezze, lei sceglie quello che ama di più e non si preoccupi. Quando mangia non si fanno conti, o meglio si fa un solo conto, con la morte e non con tutto il resto!” “E lei mi vuole morta allora?” “ Ma no, cosa dice, è un modo di dire!”
“Ma lei ogni tanto perda la testa e ci metta un ingrediente strano, così, tanto per cambiare fa impazzire pure il gelato. Lo fa sempre allo stesso modo, sempre buono, delicato, insuperabile. A me poi piace il gelato a gelso e lo devo mangiare prima di ogni altro gusto!”
“Tutto quello che mangia con gusto le fa bene, senta a me, mangi e non si preoccupi, garantisco io, anche la dieta!”
E dopo queste parole, alla granita aggiunge uno spicchio di formaggio alle noci per non restare col dolce in bocca e ovviamente lo accompagna con un pezzo di taralluccio e la casa le offre anche un bicchiere di vino. E mentre gusta, le squilla il telefono. E’ Cosimo che ha ricevuto una telefonata della sorella che le parlava del suo selfie dopo che lei aveva postato la foto della signora con i due gelati in mano e, tutto arrabbiato, tenne a dire che era stata una bella egoista a far quella “fuitina” a Vico mentre sarebbe andato volentieri anche lui. “Davvero dici Cosimì? Non ci avrei giurato…io, la dieta e il professore!” “Ma un buon gelato non si vieta a nessuno Itarè, quello di Gabriele manco a un obeso!”
E così, contenta per non sentirsi in colpa, con una borsa di tutto rispetto colma di ogni bene che c’era nella gelateria Gabriele, si avviò con l’amica alla stazione. “Hai visto? Ho avuto la prova che Cosimuccio mi ama! Pensavo mi sgridasse, invece…” Poi ripensandoci disse: “O mi vuole grassa per avere un alibi?” L’amica rideva e mentre si sganasciava dalle risa, rincarò la dose: “Itarè, il dubbio è l’inizio del credere lo dice quello del Cogito ergo sum!” “Ma anch’io ho l’alibi: il gelato di Gabriele, è tentatore! Provare per credere!”

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Tempo di leggere




Fa discutere la frase pronunciata  dalla sottosegretaria alla cultura Lucia Borgonzoni di non leggere da tre anni, tanto più per il ruolo che occupa e non per “la superiorità antropologica dei lettori” come è stato detto. 
 Il tempo per certe cose come la lettura non deve mancare. Essa non va  affidata solo al tempo libero, non si legge per caso, e i libri è meglio comprarseli. La lettura non riempie un tempo ma  il tempo diventa conoscenza. Leggere comporta una scelta e non è un’opzione,  si legge per necessità. Si legge quello per cui siamo più propensi, partendo dai nostri bisogni, dai nostri interessi. A volte ci lasciamo convincere da chi ha già letto, che può anche essere un buon inizio, ma entrare in libreria, scegliere un libro e acquistarlo è un momento fondamentale.  I libri si comprano, non si prestano né si leggono quelli già passati per altre mani. Diventa qualcosa di personale come un oggetto, un vestito, un orologio a cui siamo legati. Non possiamo risparmiare sui libri  mentre ci permettiamo l’impossibile e costa quanto tre pacchetti di sigarette, o dieci caffè, o 4 bibite, mezzo metro di pizza, e basta una di queste cose in meno ed è fatta. Ha il valore di un bene di prima necessità e rientra nell’economia familiare. Il libro ci parla anche dopo che lo abbiamo letto e dimenticato. Ricordiamo tutti una frase, un detto, una parte, una descrizione, un rigo per l’emozione che ci ha regalato. Non avere tempo per la lettura è una scusa, se ne trova sempre un po’ dove infilarcene uno. E leggere insieme è il miglior modo di conoscere gente: coinvolge, fa discutere, fa tessere discorsi, fa scambiare opinioni e  arricchisce. Ogni momento è buono per leggere. Io ne porto sempre uno con me, di solito l’ultimo in ordine di acquisto e lo tiro fuori nei tempi di attesa. Spesso faccio pubblicità  itinerante: mi chiedono cosa leggo, come lo trovo, il motivo per cui l’ho scelto. A pensarci bene non ho tempo, ma i libri sono il mio tempo e proprio per questo è una sfida continua. Sono come le ciliegie, uno tira l’altro, e la lettura è un piacere infinito. Se la cultura per noi ha un valore, leggere è un dovere e la lettura non va affidata al caso. Chi legge un libro all’anno non esercita nemmeno la vista. Bisogna macinarne di fogli per dirsi lettori. C’è sempre tempo  quando si ha la passione e la  lettura è tra gli esercizi intellettivi più completi. Esercita la memoria, l’immaginazione, l’intelligenza. Altro che passatempo! E’ un arricchimento continuo, un addestramento che migliora le nostre prestazioni mentali e amplia i nostri orizzonti. Chi legge è come un pioniere alla ricerca di terre nuove da scoprire, da battere, e non si accontenta mai di quello che trova, crede che al di là dell’orizzonte ci sia sempre un oltre da conoscere. “Non ho tempo” di solito lo dice chi si confeziona convinzioni su misura e non scolla dal suo trono di presunte conoscenze. La vera cultura continua giorno per giorno, quando si apprende senza soluzione di continuità, segno del nostro confrontarci e non chiuderci in un mondo che potrebbe nuocere prima a noi stessi. Ma spesso diamo priorità all’esperienza più  che alla conoscenza, ritenuta di gran lunga più necessaria. Una volta si combatteva l’analfabetismo, oggi va di moda la convinzione di sapere e quel poco basta a sopravvivere, magari sopperendo con l’esperienza, convinti che quest’ultima formi ancora di più.

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