Da quando nel lontano anno 2000
lessi il libro di Stanislao Nievo, Il
prato in fondo al mare, Premio Selezione Campiello nel 1975, andare per
mare mi riporta sempre alle sue pagine. Ricordo quello che lessi e mai il mare mi è parso così
pieno di misteri, vita e storie da rivelare. Tratta della scomparsa del vascello
Ercole che nel 1861 partì da Palermo diretto
a Napoli, e su cui viaggiava il famoso prozio Ippolito Nievo. Stanislao, che
voleva tenersi lontano dalla scrittura per evitare confronti col famoso
parente, fu costretto a prendere la penna proprio per scrivere della sua
misteriosa scomparsa, con la speranza di capire cosa accadde in quella notte in
cui il mare tirò a fondo il vascello con su lo zio e il mistero che custodiva.
A tale proposito intraprese numerose ricerche e, solo quando le notizie
divennero interessanti, ne fece argomento per un libro. Dopo una lunga fase d’indagini,
l’autore si decise a scendere in immersione col sommergibile PC8 nelle acque
tra Capri e Punta Campanella, luogo presunto dell’incidente. Le pagine in cui
descrive la vita del fondale, le impressioni che ne ricava nello scoprire
un mondo a noi interdetto, la flora e la fauna come bellezza sommersa, mi hanno riportato al Banco di Santa
Croce, il “prato” odierno in fondo al mare, a 300 metri davanti lo stabilimento
balneare “Bikini”, in località Vico Equense, poco dopo Capo d’Orlando, al
confine tra Castellammare di Stabia e Vico Equense. C’è qui un’area protetta con una legge per la
sua tutela che risale al 1993, netta e circoscritta di una secca formata da 7
formazioni cosiddette panettoni, la cui parte più alta si trova a 10 metri di
profondità, mentre le pareti sprofondano
fino a 50-60 metri. Un magico mondo di vita nel mare, ricco di flora e fauna
inimmaginabile. Mi chiedo cosa sarebbe stato capace di scrivere Stanislao Nievo
se si fosse allontanato dal suo fondale di pertinenza, dove pose campo per le
indagini, e si fosse diretto al Banco di Santa Croce, con quale cura avrebbe
descritto osservando dall’oblò del suo mezzo marino quel mondo incantato in cui
era finito. Stanislao è stato un autore all’altezza del prozio e le sue pagine descrittive
del fondale marino sono tra le più belle mai lette. Il sommergibile gli permise di scoprire cose che non avrebbe
potuto conoscere altrimenti, avvicinandosi ai reperti che lo interessavano, ma
scoprendo allo stesso tempo le
profondità marine, ricche di pesci in mezzo ai quali si inoltrava come un ospite
curioso. Mi chiedevo se non fosse il caso di sperimentare qualcosa del genere
per incontri ravvicinati con il Banco di Santa Croce, come la meraviglia del
Golfo e più specificamente del mare di Vico, per raccontare come la vita nasce anche in situazioni impossibili. Un
fantastico scenario che non si sa come sia venuto su tenendo conto che a poca
distanza c’ è la foce del fiume Sarno che versa a mare le sue acque malsane, oltre
all’inquinamento del mare che non è può essere più nascosto. In barba a queste condizioni,
pesci e piante si sono uniti in consorzio per darci una lezione e farci
sorprendere di come ci si possa rinnovare e affermarsi pure quando la vita
sembra impossibile. Spesso del Banco di Santa Croce se ne sente parlare per la
pesca di frodo e per le immersioni, due aspetti che non ci illustrano quello
che vive in quel fondale ma dell’unico uso che se ne fa. Chiedendo in giro del
sito, adulti e ragazzi hanno risposto con una smorfia di meraviglia di chi non
conosce. Qualcuno, amante della pesca, mi ha guardato per dire “Cosa vai
dicendo?” Poi dopo quello che gli ho raccontato, stupito mi ha risposto: “Abbiamo
tutto questo e non ne sapevo nulla?” Molti non sono a conoscenza, né della
posizione del sito, né delle specie che
vi proliferano, né del Comune cui
appartiene. Ma prima di essere tutelato il sito va conosciuto. Solo quello che
si conosce si può apprezzare e di seguito preservare. Un’area marina così ricca
deve farci riflettere come faccia questo arcipelago di 7 panettoni, come
vengono denominati, a pullulare di vita con tante specie di pesci e di piante.
Per chi ha avuto modo di vedere da vicino con le immersioni, avrà potuto godere
di una vista unica di gorgonie rosse e gialle, spugne di colore arancio intorno
a cui girano banchi di pesci, gruppi di tutte le forme e colori, come chi
conosce la strada e quello che ha da fare. Il silenzio avvolge i loro movimenti
e la luce, che nei primi dieci metri cede il passo al buio, rende, oltre questa
profondità, tutto uno splendore. La conformazione del panettone più alto si
apre a un passaggio verticale nella roccia che fa da via tra una parte e
l’altra e in cui si avventurano pesci grandi e piccoli, tra anfratti e caverne,
grotte e rocce scivolose o ricche di vegetazione. Vederli sfrecciare confondendosi
tra i colori accesi delle gorgonie, tra le immancabili bollicine di chi si
avvicina a riprenderli unito al blu marino come diffusore di quel silenzio in
cui vagano, rende chiaro quanto sia unico quello che capita di vedere ai nostri
occhi. E poi le cernie, le alici, le ricciole, lucide con le branchie a mo’ di corolle
tese, diventano come i personaggi di una fiaba mentre cerchiamo di confrontarle
con quelle che portiamo in tavola e che mai ci sono state presentate a quel
modo. E poi i tonni, pesci luna che non temono le incursioni di quanti vanno a
importunarli, loro, da padroni, sfrecciano sicuri come nababbi incuranti dei
picchi di inflazione e i cali di borsa. Sono pieni di sé, ma in cuor loro sanno
che da un momento all’altro un visitatore potrebbe togliergli la vita e, anche
in attesa di questa morte prematura, vogliono vivere il loro giorno più bello.
Dovremmo prendere esempio: le azioni dei pesci, che ricamano traiettorie in
mezzo a stupefacenti gorgonie, sono incessanti, come se il movimento continuo
li rendesse invulnerabili, come se la vita gli chiedesse di non fermarsi ma
continuare il ciclo indaffarato e operoso dal quale dipende quello degli altri.
Ognuno vive per sé in mezzo agli altri e
per tutti quanti gli altri. Una catena
più forte di ogni avversità. Lì sotto non c’è tempo, solo vita, si perde ogni
concezione e congettura, quando davanti si ha un mondo come in un’ampolla santa,
e dove vengono meno anche le domande: come può accadere proprio qui, in questo
golfo bistrattato, dove le battaglie per l’inquinamento sono all’ordine del giorno,
dove tutto è così difficile da mantenere puro e pulito, che esista questo
incantesimo? L’unica risposta possibile è la vita che nasce anche quando non ce
l’ aspettiamo e a dispetto di quello che le facciamo. Lei vince sempre. Qui il
mare ha trovato la forza di rinnovarsi, un suo habitat ex novo, ha messo mano a
una costruzione fenomenale e ci insegna che l’equilibrio è vitale. Stanislao Nievo
avrebbe materiale per un libro se fosse ancora con noi, sarebbe certamente attratto
dalla perfezione in un mare imperfetto. Questa volta giungerebbe alla genesi
della sua formazione, alla bellezza della vita nel mettere in atto le sue
azioni disperate pur di non venire meno. Avrebbe osservato come se dovesse trarre
la storia di ogni sua parte e da questo la storia del nostro mare. Qui ci sono
molti “perché” da chiedersi e molte cose da capire. Invece di speculare
dovremmo rendere noto il sito, lo sforzo dovrebbe essere volto alla conoscenza
di ogni sua parte. Ci servirebbe un sommergibile PC8 per conoscere il prezioso
fondale, che non porta un relitto, ma lo splendore della natura. Non possiamo
affidare la conoscenza solo a quei pochi che vanno in immersione, ma farne
apprezzare la bellezza a molti, soprattutto ai giovani, per incuriosirli e
portarli ad amare il territorio. Poterci girare intorno approfondendo flora e
fauna, potrebbe essere un bel modo di tutelare insieme. Dovremmo parlare del
Banco di Santa Croce per le sue meraviglie, i suoi colori, la vita silenziosa e
piena di luce. Potrebbe diventare un laboratorio facendo moltiplicare le sue
specie e arricchire il mare di cui si nutre. Quanti ignorano la vita che scorre
sotto le loro barche, che la pesca da quelle parti è come un sacrilegio, che
quello scampolo d’acqua non è una normale porzione di mare. E credere di poter
fare scempio del sito con la stupida idea che a mare siamo liberi. Se il mare è
di tutti allora dovremmo sapere cosa sono le gorgonie, o un’aquila di mare o le
spugne o il gattuccio, quali specie di
pesci vivono e quali quelli che mancano. Chi conosce, rispetta. Tutelare è
prima ancora scoprire ed educare ai beni del territorio. E questo ne ha
veramente tanti, dai monti al mare.
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