La lingua italiana




La lingua italiana è tra le più belle al mondo, non solo per l’eloquio, ma anche per la sua storia, la tradizione e la cultura che essa dispensa. Negli ultimi anni ha subito continue interferenze di parole straniere. In altri paesi si parla rigorosamente la lingua madre. Escamotage, defaillance, toilette, gourmet, tour, parole francesi, ma anche meeting, cool, step, wireless, touchscreen, make up, fashion, playback, videoclip, termini inglesi, sono di uso corrente. Come se in italiano non ci fossero le equivalenti parole o come se fosse da retrogradi esprimersi nella propria lingua. Si crede che parlare in inglese o in francese renda più raffinati o interessanti. E’esattamente il contrario: rende provinciali!  Abbiamo perso da tempo l’abitudine di dire autorimessa preferendo il garage, francese o box, quest’ultima parola “scatola” in inglese. Col tempo autorimessa verrà estromessa dal vocabolario o menzionata come parola in disuso poiché ampiamente sostituita dalla più breve e fashion box. Le parole composte sono le meno amate. Nel caso dell’asciugacapelli adottiamo tutti il phon o fon italianizzato, di origine tedesca, tratto da una marca di asciugacapelli dell’azienda AEG. Anche in politica i termini stranieri abbondano come job act, la legge sul lavoro, il welfare per dire lo stato sociale, l’exit poll per dire il sondaggio sui voti delle elezioni, e poi usiamo il brand, la firma di un prodotto, trendy, per tendenza, live, per dal vivo, e ancora trash, all inclusive e la lista sarebbe veramente lunga. Ogni 15 giorni muore una lingua secondo lo studioso francese C.Hagège e con essa tutto quello cui ha dato vita. Con le parole si perde il modo di sentire di un popolo. L’invasione subita è stata massiccia e di questo passo le generazioni future si troveranno una lingua morta e poco aderente alla realtà. Si perde così l’identità di un paese, compresa l’economia. Camilleri, grande autore del nostro tempo, racconta che la Bbc, dopo aver trasmesso la prima puntata del Commissario Montalbano con notevole successo, è informato dai dirigenti della tv inglese che, in seguito alla visione del commissario siciliano, tra l’altro scritto in vigatese, folti gruppi di turisti inglesi sarebbero partiti alla volta della Sicilia e dell’Italia incuriositi da quanto letto e visionato.

Questa è la prova che la cultura di un paese è sempre oggetto di interesse e bisogna fare in modo che la lingua resti un valido elemento di identificazione. Una persona acculturata rende allo Stato tre volte, secondo Camilleri, così non solo una lingua la si parla ma se ne scrive, la si divulga, e ritorna alla patria in termini economici. Non bisogna scambiare questo concetto per un nazionalismo nella sua versione peggiore, ma solo un mantenere sempre verdi le radici del paese, fatto di arte, storia e tradizioni che vanno custodite. La nostra lingua è tra le più dotte viste le origini, la posizione dell’Italia nel Mediterraneo, la storia dei suoi antenati. La lingua italiana è parlata oggi, oltre che in Italia, in Vaticano, a San Marino, nel Canton Ticino, al confine con la Francia, in Montenegro, in Albania, in Romania, in Bulgaria, in Libia, in Somalia, in Tunisia, una piccola grande comunità in America, Little Italy, in Argentina e Australia, in seguito alle emigrazioni e colonizzazioni. Unico paese dove, oltre all’italiano ci sono tanti dialetti. L’interesse per la lingua italiana è dovuto all’arte, al melodramma, alla religione cattolica, alla cucina, ai siti archeologici più importanti al mondo che abbiamo come Pompei, Roma, e poi Firenze, Venezia. E anche in questo caso ci si affida all’inglese più che imparare la nostra lingua. E’una questione di ospitalità quella di imparare la lingua del paese che accoglie. L’inglese assurge a lingua mondiale per districarsi in questa Babele. In aereo gli assistenti di volo parlano tutte le lingue tranne l’italiano, per comunicare con i paesi esteri dobbiamo adeguarci alla loro lingua ma non viene fatto altrettanto da loro, anzi, se un inglese non parla italiano risulta normale, se un italiano non parla inglese viene tacciato di ignoranza.  Dovremmo a questo punto conoscere tutti la lingua del paese ospite e non far valere la legge del più forte in economia.  C’è un’avversione non solo di tipo economico, forse anche storico-culturale proprio nell’osservare che il popolo italiano è abituato ad adeguarsi a ciò che gli viene propinato e alla poca considerazione che dà alla sua stessa lingua. C’è una sorta di sottomissione agli altri e uno svilimento della propria cultura. Siamo i primi a consegnare nelle mani degli altri il patrimonio culturale, e se non ci teniamo abbastanza, non possiamo sperare che lo facciano gli altri. Nessun altro popolo si esprime usando termini desunti da altre lingue. La contaminazione dall’inglese non diventa più parlare la lingua più usata al mondo, ma un mettere da parte la nostra dove i rispettivi termini sono lasciati per sempre. Non ci vuole molto a fra morire una lingua e la velocità con cui integriamo le parole straniere è il modo sicuro per ucciderla. Altri paesi con una storia della lingua più giovane e meno interessante della nostra, tengono al loro patrimonio. In nessuna altra storia della letteratura si può trovare un autore alla stessa stregua di Dante mentre noi, che lo studiamo sin dalle scuole medie, abbiamo a riguardo ormai un’indifferenza comune, anche tra letterati. Siamo così abituati alla straordinarietà di personaggi del genere che non dicono più nulla, siamo ormai assuefatti e ci piace essere esterofili. Non solo non c’è un autore simile, ma all’estero è studiato meglio che da noi. Vogliono strapparci l’identità poiché togliendo quella è facile saccheggiare il resto con evidenti penalizzazioni economiche. Un grosso difetto degli italiani è quello di valorizzare poco le cose di valore e sopravvalutare quelle che non ne hanno. Siamo un popolo strano: abbiamo l’astuzia della volpe, ma non la lungimiranza della formica e nemmeno la vista della lince. Vogliamo crescere aggirando gli altri, evadendo le tasse, legandoci a chi strilla di più e crediamo che comportandoci da bambini capricciosi otteniamo ciò che vogliamo. Siamo un popolo eternamente giovane, pur vecchi anagraficamente. La negligenza uccide la volontà, la passione e anche il genio! La sfida è conoscere bene la nostra lingua, la nostra letteratura, e fare in modo che i giovani la apprendano bene, così da poterla amare, usare e trasmettere. Una cultura permane quando dona qualcosa, altrimenti si atrofizza. La nostra lingua si è mantenuta nel tempo grazie alla cultura che ha diffuso, compreso gli aspetti meno edificanti della ‘ndrangheta e della mafia, così come la Chiesa e la pizza, fenomeno mondiale. Lo studio di altre lingue serve per apprezzare meglio la propria, ma non per sostituirla. La conoscenza delle lingue migliora i rapporti con altre comunità, per costruire interazioni senza pregiudizi.

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