Sperlonga di Vico Equense (Na)
Ci sono sentieri e sentieri. Alcuni
brevi, impervi, altri lunghi che non hanno via d’uscita, altri ancora che si
trasformano in altro. E poi ci sono quelli del cuore che, se anche non
li vedessi più per il resto della tua vita, restano tracciati dentro come una
via maestra. Sentieri, luoghi di favole e fiabe, dove si possono incontrare
lupi e bambini, cacciatori buoni e
streghe, dove accade che ci si può
perdere o incantarsi ad ammirare un panorama spettacolare, a sentire un fruscio,
un cinguettio, come se tornassi a ripercorrerlo come facevi da bambino. E se
ci ritrovi i profumi intensi di una volta, appiccicati addosso, non lo si
abbandona più. Ti riporta le corse e le guance rosee, il sapore delle caramelle
Rossana che cadevano di bocca quando un rumore incuteva paura, l’odore di
latte, rappreso da qualche parte sul vestito e quello dell’erba strappata dai
muretti. Attraversando oggi questo sentiero, pur giungendo da lontano una
vivida pellicola di ricordo, ogni cosa
pare come allora, e il tempo si trasforma in uno stupido espediente per
ingannare la mancanza delle cose, dei luoghi e delle persone. A primavera sa di
aria frizzante e fiori freschi; dell’estate restano i ronzii delle api e le
cicale, l’aria come di piombo, carica di umidità e una piacevole freschezza dell'acqua sul suo cammino. Ma in autunno c’è la sua più bella rappresentazione,
fatta di odori aspri e di colori, delle prime stoppie arse, della leggera umidità
nelle prime ore mattina e al calar della sera, del silenzio fatto di voci che dal fondo arrivano a
raccontarci un ricordo o un possibile miracolo di quello che mai abbiamo
lasciato dentro di noi. In inverno, al pensiero di quel rigoglioso e fresco percorso
fatto in estate, ci si riscalda un po’. Così gli alberi si tengono stretti evitando
ogni fruscio, ogni sollazzo se non scossi da un forte vento. E a guardarli con
le braccia di un colore sbiadito, ti rendi conto che fino a quel momento non
avevi mai visto il mare in lontananza e che quando lo percorri sei sempre assorto, pronto a depositare un
pensiero o a rimuginare un fatto o a provare una gioia di cui non sapresti descrive
il motivo e nemmeno te lo chiedi, saturo di tanta bellezza, dove ogni cosa è al
suo posto: il mare scivola delicato, i gabbiani sono a riposo, le tane sono
piene dei loro abitanti, le foglie secche portate via dal vento, mente sui rami
si trovano i primi segni del nuovo che avanza. Si giunge poi alla fonte, ben
preservata dalla vegetazione. Punto nevralgico sotto il verde degli alberi, a
bordo della strada con un gettito forte e deciso. Non è la sete che ti avvicina
alla fonte ma la voglia di berti il posto con sorsi senza respiro. E così
mostrando i recipienti pieni d’acqua fresca si decanta la Sperlonga, simbolo di
luogo puro e incontaminato. Il tubo da cui fuoriesce il gettito è imbalsamato
dal tempo. Avrà buttato fuori metri cubi d’acqua, avrà trattenuto al suo
interno la storia da cui sgorga, portando a valle il racconto di come si è sciolta la neve o da
quali punti della montagna arriva. E se smarrisci il senso dell’orientamento, c’è la casa lassù, sì, quella grezza con tanti
usci e finestre privi di imposte, come fosse un fortino di guerra da cui spiare
il nemico che avanza. E’ diventata il logo della Sperlonga. E i soldati sono i
tanti animali che lì hanno trovato ricovero, che sbirciano da lontano quelli
che si avvicinano per studiarne le intenzioni. Un aspetto antropico che convive
con la natura e che racconta come la matrigna leopardiana impedisca all’uomo di
costruirsi la dimora in posti come questi.
Eppure quel cemento racconta un modo per incontrarsi, una voglia di
confondersi, di far parte integrante della sua bellezza, ma allo stesso tempo un
simbolo di impotenza umana davanti allo spettacolo della natura. Un sentiero
remoto, percorso dai nostri antenati in epoche diverse, arricchito dei passi di tanta gente, tutti i
giorni e in ogni stagione. Chi lo ha
percorso ritorna sulle sue orme come chi va a trovare un parente o un amico,
unico luogo così stretto tra mare e monti, così vissuto pur essendo solo una
sorta di passaggio tra i monti. Un sentiero a cui tutti ricorrono, come se fosse un padre
affettuoso che ogni volta consola: a chi una pacca a chi un bacio a chi un
sorriso, oltre a un’aria ricca di ossigeno e di vitalità. Un sentiero che
inizia con coloro che lo hanno già attraversato, lungo il Cimitero di San
Francesco, per continuare salendo i fianchi della collina affidandosi ai suoi
anfratti. Antica strada percorsa da lavoratori e gente che si spostava da una
parte all’altra della penisola. Tra gli ulivi si scoprono scorci unici e non è
raro che tra un ramo e l’altro appaia una nave lontana, o il Vesuvio con un
pennacchio fatto di cumuli e cirri, o una scia dietro una barca. Qui il tempo
non esiste, niente cambia, talvolta nemmeno lo stato d’animo, tutto resta
uguale a se stesso. Una volta che lo si
è percorso lascia dentro la chiave per aprirlo e per aprirsi. La ghiaia, i
muretti di contenimento, le strettoie, le poche case lungo il percorso, ci fanno
precipitare in antiche scoperte. La Sperlonga non è un luogo, è l’anima di
questa terra e in essa l’aria ricca di voci e di passi, come gli animali che
affollano i loro covili, i tanti ulivi che brillano lungo il percorso nelle
varietà di verde, le tante specie di erbe, di fiori, di pollini. E se quando ci
entri pensi al bosco più pericoloso, quando ne esci è come se avessi ritrovato
la tua dimensione vera e ti riproponi di ritornarci. Terra, cielo e mare in un
unico abbraccio dove non sei una parte esterna ma il protagonista della scena e
tutto quello che può accadere attraversandolo è avere un ritorno di fiamma con
la natura, con te stesso e con tutti i tuoi simili. E’ un percorso quasi
obbligatorio per chi vuole ritrovare la parte più vera di se stesso.
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