Giovedì, 3 gennaio 2019, ore 18.00, presentazione del romanzo Nel mezzo del tempo alla Ubik di Vico Equense



Giovedì, 3 gennaio 2019, alle ore 18.00, alla libreria Ubik di Vico Equense ci sarà la presentazione dell’ultimo romanzo di Filomena Baratto Nel mezzo del tempo, Graus Edizioni. Con l’autrice ne parlerà la professoressa Alberta Maresca mentre le letture saranno affidate all’attore Antonio Novi. Il nuovo romanzo, uscito il mese scorso e alla sua seconda presentazione, ambientato a Vico Equense e Costiera, è la storia di un amore che ritorna in età matura riportando alla luce i nodi e le situazioni non risolti di un tempo. In seguito a questo evento ritornano alla luce dubbi e incertezze e la stessa protagonista, Margherita, deve confrontarsi col passato delle due donne più importanti della sua vita: la madre e la zia.



E’ un romanzo introspettivo che analizza gli animi dei personaggi davanti alle loro scelte e quanto queste dipendano dai loro sogni, dalle loro mancanze, ferite, delusioni.
Ogni vita si costruisce giorno per giorno, dove i passi precedenti sono le premesse per quelli futuri. Gli errori, inevitabili per crescere, diventano un passaggio indispensabile per costruire le difese necessarie per dare impulso alle scelte e ai cambiamenti che la vita arreca con sè. E in questa ruota si innestano le attese e le speranze di progetti futuri.

La storia procede in modo scorrevole, ironico, dove la trama è un supporto  a un discorso più profondo e incisivo che mette il lettore di fronte a se stesso senza possibilità di arretrare. I luoghi hanno un valore di primaria importanza, assolvendo a una funzione lenitiva e consolatoria quando curano le ferite, o di  rimprovero quando annunciano tempeste, e ancora di scoperta quando racchiudono parole, profumi e voci che rievocano momenti felici. E l’autrice non poteva esimersi dal ripercorrere i luoghi dell’anima della sua terra, che lei rincorre e loro si lasciano afferrare in un gioco di eterna riconoscenza. Un libro “da leggere e rileggere”, come affermava Franco Gallo, relatore della sua prima presentazione a Castellammare di Stabia, “per quello che dice tra le righe ma soprattutto per i ritorni di riflessioni che arrivano come echi continui pur avendolo finito. 

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Il puer



Gesù nacque sotto l’impero di Ottaviano Augusto, al potere dal 29 a.C. al 14 d.C., periodo tra i più felici della storia romana. Diede all’Impero un lungo periodo di pace  e serenità dopo le guerre di potere che avevano attanagliato Roma. Virgilio, cantore di questo periodo, racchiuse nelle sue opere la vita di quel tempo. Nelle sue Bucoliche, 10 componimenti, canta la distributio agrorum dopo la vittoria della battaglia di Filippi (42 a.C.), dove esprime riconoscenza soprattutto ai suoi amici, che lo avevano preservato dalla perdita del podere mentre le terre venivano distribuite ai veterani.



Ne parla poi con dolore ancora nella nona egloga per l’avvenuta espropriazione. La quarta è forse la più famosa per celare un messaggio messianico. L’egloga porta il nome di Pollione e parla di un “puer” che verrà alla luce, evento che interesserà  tutto il mondo. In un primo momento si interpretò il componimento come encomiastico, per la nascita del figlio di Pollione, ma in seguito i cristiani ci videro l’annuncio del Figlio di Dio. L’egloga fu scritta dopo l’accordo di Brindisi, (40 a.C.), quando tra Ottaviano e Antonio ci fu una nuova pace in seguito alle vicende di Filippi. Nei versi troviamo una suggestiva descrizione della natura che apprende della nascita del puer, dove stile e lingua sono perfettamente aderenti: “né la lana apprenderà a mentire i vari colori, ma di per sé nei prati l’ariete muterà il bianco della lana o il rosso della porpora o nella biondella giallo oro; spontaneamente lo scarlatto vestirà gli agnelli pascolanti. L’annuncio della nascita di Gesù aveva messo negli animi un sentimento di attesa e di speranza pur racchiudendo un concetto prettamente cristiano. Quel puer, atteso da Oriente a Occidente, in questi versi assume un riferimento importante. Sicuramente uno sconvolgimento nell’animo dell’imperatore che temeva questo fanciullo come un usurpatore della sua autorità terrena. Il principio monoteista fu introdotto con la traduzione greca del Pentateuco. Si fa riferimento al fatto che Dio è uno. La paura unita a un sentimento indefinito di sospirata attesa faceva presa negli animi dei governanti preoccupati per la nascita del puer.
Questo sconvolgimento, che si avverte nel periodo storico in cui nacque Gesù, può essere da noi solo avvertito come una leggera brezza. Oggi si cerca di vivere qualcosa del genere nel periodo dell’Avvento e dovrebbe essere così anche negli animi degli uomini di oggi, dei cristiani che rievocano quell’evento.
La magia è ancora viva, l’eco di quella nascita porta ancora i suoi strascichi. Speranza, attesa sono le stesse di allora, questo ci fa capire che gli uomini non sono cambiati, né li ha cambiati una nascita, ma il sentimento di qualcosa più grande dell’umanità, che ci sovrasta e non possiamo che accettare. Gesù è venuto a salvarci dalla nostra solitudine in questa moltitudine di esseri. Il dolore e la paura sono i sentimenti che ci mettono insieme nella nostra miseria e in questa intercapedine la nascita di Cristo è vista come una salvezza. L’intelligenza non basta a sottrarci alla morte e la salvezza è sapere che lassù qualcuno ci ama. Questa nascita serve  a capire che siamo legati, come fossimo una sola materia. Siamo un unico corpo fatto di tanti più piccoli e ci muoviamo tutti insieme. La salvezza è comprendere che oltre al nostro egoismo, la vita ci pone su un percorso comune: solo uniti possiamo stare bene.


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Itarella e le altre storie...La recita di Natale

Itarella è nel treno di ritorno da Torino dove è andata a una fiera di cosmetici dimagranti e rassodanti che fanno giusto il suo caso e si rivolge all’amica che la segue in ogni sua trasferta: “Annuccia mia a Natale forse farà l’angiulillo! E che me sta facenno passà. A maestra dice che la devo mettere solo sul palco, poi basta così”.
“Comm’ è non parla? Deve solo apparire?”
“Meno male che appare, quella l’aveva proprio scartata! Io, quando l’ho saputo, sono andata a scuola e gliel’ho detto” Comm’è, Annuccia mia nun fa niente? E io che dico al padre, al nonno, alla nonna, alle zie, alle cugine, che Annuccia mia nu' fa niente? E chella mi risponde:” Partecipa al coro, mica non fa niente. Non fa una parte da solista, ma è parte integrante dello spettacolo”.
“Ha ragione, tutte ‘ste mamme che corrono a scuola per vedere i figli sul palco, il vero palco è la vita!” “Embè, da un palco deve pure cominciare e noi cominciamo dalla scuola. Allora, prima voleva farle fare il pastore. Annuccia mia, così aggraziata, nu pastore! Allevo na cratura pe’ 'e pecore? Quando poi sarà sul palco vero, quello della vita, quella si troverà il lupo, altro che pecore! Allora ho detto: “Nunn è cosa! Così le cambia parte e le dà quella della pecorella. Di male in peggio! Me la voleva inibire! Quella che non parla, non riusciva a fare nemmeno beeeeeeeeeee!!!”
“Ma questa è violenza, andare a scuola a intimorire l’insegnante per un personaggio della recita. Itarè, ma che fai? Tu devi essere una mamma moderna”.
“Ma c’è qualcosa di più tenero della recita di Natale? Che Natale sarebbe senza la rappresentazione, i canti, le belle parole dei nostri bambini? Ogni mamma vo vedè o figlio sul palco. Li portiamo a scuola per vederli anche recitare. E se non ci fosse questo trampolino di lancio natalizio, sti creature non si lanciano mai nella vita?”
“Itarè, ma la scuola non è un teatro. E allora, Annuccia cosa interpreta? La pecorella?”
“A creatura mia a belare nun l’avrei mai permesso. Lei voleva fare la Marunnella anche per l’amico del cuore che fa San Giuseppe, e a me piacevano assaje tutti e due, là, dint’ a grotta, co’ bue e l’asinello, a lucella ra pila, o ppoc e paglia, e manine giunte, l’aureola in testa, ncopp o scannetiello… Io speravo tanto che Annuccia facess’ a Marunnella, ma chella ‘nzipeta ra maestra ha detto che era troppa piccerella per la parte di Maria, ci voleva una Madonna grossa, che se vedesse, accussì c’a mise na colossa e Rodi, 'na creatura che più che la Madonna me pare 'na valchiria. Lasciamm sta! E po’ vicino o presepe se spaventano tutti quanti.
“E quindi? Farà la pecora?”
“Ho preteso che le desse un’altra parte. La terza volta mi ha proposto l’asinello. U’Madonna mia, 'na creatura accungiulella comme Annuccia mia, sprecata pe n’asino, tu ce pienze??? Allora la maestra mi ha detto che il presepe chillo è, e parte chelle song, non c’era da scegliere. Che delusione! Avevo già informato a famiglia da recita e Annuccia, e la zia mi fa:” Sicuramente sarà na Marunnella aggraziata”. Mo chi c’ o va a dicere ch’ a maestra voleva che facesse l’asinello? Quann so turnata a casa aggio ditt’ ad Annuccia ca nun era cosa e Cosimuccio mio ha dato ordine che se nun fa a Marunnella nun se spendono soldi per il vestito. Si adda recità, adda essere na parta bbona, altrimenti resta a casa. E accussì song iuta a scola n’ata vota e chella povera maestra mi ha detto che se la creatura se poteva sta ferma pe nu paio d’ore, le faceva fare l’angiulillo. Ahhhh, aggio penzato, finalmente na parta bbona dopo a Marunnella che le andava a pennello! Chi poteva farla più di lei, che nun se move, nun parla, non si gira’. A casa erano tutti felici, a zia non ha detto ‘na parola e finalmente è andata a comprarsi il vestito nuovo per l’occasione, tutti hanno dato cenno di vita”.
“E invece? Non deve fare l’angiulillo?”
“Doveva”.
“Itarè, che pazienza sta maestra, ma a te nun te va bbuon niente, chest no, chell no, chist accussì, chill’ata accullì, se po sape’? Chesta è na recita o chèèè???”
“Tu nun capisci che tutto il Natale a casa nostra quest’anno ruota attorno alla recita. La bambina deve sostenere una parte dignitosa, che figura ci facciamo con i vicini, i parenti, se Annuccia nun fa 'na parta bbona?”
“Ti ricordo che è una recita, non un debutto in teatro!”
“E chi lo può dire, a figlia mia copp a ‘nu palco a vita!”
“Le figlie si rovinano per i sogni delle mamme, Itarè. E’ una bambina e deve partecipare alla recita come tutti gli altri, non è un’esibizione. Spero non avrai fatto storie per quanti minuti starà in scena, già mi immagino quello che avrai potuto dire”.
“Sient, mia figlia ha peso, misura e qualità, e deve stare in scena, e se la parte non lo permette, la allungano, così la possiamo ammirare. L’anno scorso, la maestra della mia amica Concetta ha scritto ʼnu papiello solo per il figlio per farlo stare in scena il più possibile”.
“Che vuoi dire, che devono allungare la parte pure ad Annuccia? Ma se quella si vergogna e non parla?”
“Ho detto all’insegnante che è un buon motivo per creare una parte adatta a lei che le dia la possibilità di scioglierle la lingua, anzi lo esigo, la scuola deve tener conto di questo”.
“E alla fine cosa farà Annuccia, l’angiulillo?”
“No, la lavandaia! L’angiulillo aveva sta appiso e Annuccia tene e vertigini, invece a lei piace sciacquare e tenere le mani dell’acqua. Nun dice ‘na parola, ma sta in scena tutto il tempo divertendosi anche a lavare col sapone vero. ‘A zia ha detto che le dà i panni da lavare, così tutti potranno ammirarla!”
“Ammirarla per cosa Itarè?”
“Quant’ è bella a ninnella mia!”
“Bastava metterla in una vetrina!”
“Domani ci saranno le prove, però Annuccia tiene un poco di febbre, se non si sente bene, le mani nell’acqua non gliele faccio mettere, allora farà solo l’acqua, s’adda mettere solo un vestito d’argento stesa per terra, ncoppo a nu materassino, sennò piglia freddo. Ma se starà troppo agitata per la medicina presa, può fare pure l’angiulillo, tengo pure o vestito adatto, semp ca nun vena a mancà a Marunnella, per la febbre anche lei, in quel caso a parte e a soja!”

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Se il Natale ci fa male


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Ogni anno di questi tempi, molti si lamentano dell’arrivo del Natale. E’ come vedere un pellegrino da lontano e perdersi nell’accoglienza.  Si comincia già ai primi di dicembre, quando l’ansia delle feste prende un po’ tutti e, invece di viverle, si sopportano.  Ci sono quelli che il Natale  lo attendono con trepidazione, di solito i più giovani,  e quelli che sperano passi in fretta. Questi ultimi conoscono i risvolti della festa per qualche momento teso vissuto precedentemente. Alla felicità della festa più importante dell’anno, che riunisce tutta la famiglia, si sostituisce la paura di dover restare delusi dagli incontri familiari per le discussioni spesso troppo infervorate. Il motivo è semplice: una volta all’anno che la famiglia si ricompone al completo non si possono affrontare e dirimere questioni e nodi di un tempo. Quando parlo di famiglia bisogna includere anche i parenti, quelli che non vediamo mai e incontriamo solo a Natale. C’è sempre la zia che viene a trovarci, il nonno riottoso ma si piega al volere degli altri, lo zio burlone che si accoda, il parente brontolone che inseriamo nel contesto. La famiglia è una grande palestra di pazienza ed educazione. Chi riesce a resistere ai suoi colpi è un politico eccezionale. E’ lì che si vede la stoffa del comunicatore e del diplomatico. Durante le feste, e non solo nel giorno di Natale, ci si incontra, ci si vede spesso, si decide dove stare, cosa preparare, chi andare a trovare, cosa regalare. Ma il tempo è sempre poco per accontentare tutti e portare a termine ogni cosa. E così arriviamo al giorno di Natale che mancano all’appello ancora degli auguri per qualcuno. Quando durante il pranzo ci troviamo uno di fronte all’altro e ci guardiamo negli occhi, soprattutto verso la fine (è questo il momento caldo), sembra che tutta la bellezza sfumi.  Le complicazioni arrivano con la nostra bontà, il dovere di essere sinceri, buoni, veri, di cuore. Si raccontano verità che fanno male, si accusa in modo chiaro, esce fuori la parola che non doveva, c’è chi dice sempre qualcosa fuori posto per poi pentirsene. Tanti giorni per poi scontrarsi davanti a una tavola imbandita. Fortunatamente ci sono anche riunioni più felici, ma  molti ricordano sempre un Natale  rimasto indelebile, un discorso finito male, una decisione presa in quel frangente. Sono i ricordi che fanno vivere male il presente e se anche ci sono stati Natali indimenticabili, ricorderemo sempre e solo quello che ci ha fatto male. A quel punto la festa volge al termine e, in concomitanza con la fine del pranzo, il buonumore scema rendendoci più fragili e indifesi. Non abbiamo la certezza del Natale come la famiglia del Mulino Bianco, e poi ogni volta è una festa diversa dall’anno precedente. A volte è proprio l’idea di conformarla a quella degli anni passati, senza cambiare una virgola, a rendercela estranea. Il ricordo la esige sempre uguale, come quando c’erano i nonni, eravamo bambini, tutti presenti, come quando la vivevamo con l’animo della trepidante attesa da ragazzi.  Non sarà che diamo a questo evento un’aspettativa esagerata, cercando di fare grandi cose, gesti eclatanti, inviti mai fatti primi, esuberanze mai prese in considerazione, per il Natale che viene una volta all’anno? E’ proprio questo bisogno di ritorno al passato che non ci fa vivere la bellezza del presente. E nella smania di rendere la festa sempre uguale a se stessa, il periodo natalizio diventa un contenitore troppo ampio dove non riusciamo ad infilare ogni cosa. Questa concentrazione e il fatto di volerla vivere come qualcosa di eccezionale, rovina la sua semplicità. Se la vivessimo con normalità, tante situazioni sarebbero più facili da coniugare. Il Natale è la rievocazione di un fatto storico importante per noi cristiani e la lunga tradizione ne amplifica la portata. Dovremmo ridare a tutte le feste religiose, e non solo al Natale, la loro importanza e  lo stesso trasporto, viverle con la semplicità della festa di famiglia. Solo vivendola con  serenità, le doniamo quell’importanza che merita.

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