Abbracciami ancora



Oggi guardavo le foto dei miei figli da bambini. Dovevo riporre delle cose e sono finita nel cassettone dei ricordi. Con le immagini tra le mani, ho fatto delle amare considerazioni: il tempo passa e la vita capovolge le situazioni. E poi i fatti accaduti, alcune persone delle foto che non ci sono più, i momenti belli sfumati come aria al vento. Oggi fotografiamo la vita per fermarla e non ci rendiamo conto che così la perdiamo. Immortaliamo tutto per custodire un ricordo. Ma a cosa serve se proprio quel ricordo ci farà del male riportandoci cose che non ci sono più? Le foto mostrano i bambini  che mangiano, succhiano, giocano  e poi i compleanni, le comunioni, i compiti, il catechismo… Che fatica crescerli, stargli accanto in ogni momento, assistere alle loro esperienze:  la caduta del primo dente, il primo giorno di scuola, la prima volta lasciati da soli, il sonno sfumato, le bottiglie di latte preparate, le paste, le sogliole, i dolci, le torte, gli amici. Quante cose riportano le foto, e poi tensioni, paure, ma pure gioia. Sembra ieri ma sono passati decenni. Adesso sono cresciuti, ormai uomini e donne forti, non hanno bisogno  di guida e ne sanno più di noi. E a questo punto ho pensato alla mia amica con la madre in avanzato stato di demenza, che non la riconosce e non le parla più. Che ingiustizia anche per i figli che curano i genitori come fossero bambini sapere che non avranno più da loro quelle attenzioni di un tempo. La mia amica insiste nel cercarle, vorrebbe che la chiamasse ancora per nome, che la riconoscesse, che fosse la mamma di sempre, di quando era bambina. E’ diventata tutto un meccanismo. Sua madre ora è come una bambola con cui gioca: la lava, la pulisce, la imbocca, la pettina e si chiede che fine abbia fatto la donna di prima. Forse la vita stessa ci ripara da certe amarezze e dispiaceri mettendoci davanti realtà dure per prepararci al peggio. Quella stessa madre l’ha cresciuta, l’ha educata. Un tempo era bella e forte, ora è un involucro privo di reazioni. Sarebbe bello se sua figlia si sentisse dire ancora una parola dolce, ricevesse un abbraccio, una carezza. L’affettuosità ormai non c’è più. E’ lei che la abbraccia e la accarezza, la aiuta, le cucina, le fa compagnia. Le mamme non dovrebbero essere mai avare di baci e carezze coi loro bambini anche da adulti. Non sono solo i figli a dare preoccupazioni, anche i genitori lo diventano per i figli quando non sono più autonomi e perdono la capacità di relazionarsi come solo loro sanno fare, con tutte quelle stupide raccomandazioni, un modo infantile di manifestare l’affetto. Le mamme  si preoccupano solo se mangi, perché il cibo è una forma d’affetto. Chiedere se hai mangiato è come fare una dichiarazione d’amore. I figli ne sono infastiditi e pensano che ci si preoccupi di loro solo per il cibo, come se l’affetto lo dovessero far cadere nello stomaco e solo dopo un’indigestione, sentono di volergli bene. Poi quando diventano genitori li guardano con occhi diversi, comprensivi, riconoscenti. Ora sono diventati  i loro tutori e rendono quello che un tempo hanno ricevuto. La vita è una ruota che gira e riporta indietro quello che è stato dato. E  in questo ciclo a volte duro e inaccettabile, essa ci difende, rendendoci la verità un po’ per volta.  La  freddezza  della malattia li allontana  da noi, facendo scemare la sofferenza per il distacco. Ora vivono con la leggerezza dei bambini, bisognosi solo di cure e attenzioni. E ci troviamo a rifare esattamente quello che un tempo fecero a noi. E mentre ci hanno visto crescere, noi dobbiamo assistere alla loro fine. Sarebbe già una fortuna se vivessimo la loro età, e così accettiamo per amore di noi stessi, con la speranza che a nostra volta qualcuno si prenda cura di noi quando non saremo più capaci di vivere autonomamente. E guai a pensare che non ne avremo bisogno! La vita evolve e ci cambia senza chiederci il permesso!

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