tag:blogger.com,1999:blog-41155051677316537022024-03-17T05:45:28.329-07:00Il blog di Filomena Barattofilomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.comBlogger497125tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-82660966181823348532024-03-17T05:44:00.000-07:002024-03-17T05:44:46.562-07:00Tra le nuvole<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 20pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: 20pt; line-height: 115%;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgHZi4uYCIYq_rsNdu6e2aIwjOifkIhDFnP0za6I4okOV6CQq0Zl21SyXO21aJ6JAS6nCE5Av480098wfgL-dMARIi_3eVYjsEMhJWEb4k38jVZSlT3lN9yzPjSqhjSEtvNf2nie4_xKnP9qS974a8shiLK9vS3agcjU5dnbV8cHrl49OA1PbmNksZzOdo" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="1000" data-original-width="564" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgHZi4uYCIYq_rsNdu6e2aIwjOifkIhDFnP0za6I4okOV6CQq0Zl21SyXO21aJ6JAS6nCE5Av480098wfgL-dMARIi_3eVYjsEMhJWEb4k38jVZSlT3lN9yzPjSqhjSEtvNf2nie4_xKnP9qS974a8shiLK9vS3agcjU5dnbV8cHrl49OA1PbmNksZzOdo=w477-h640" width="477" /></a></span></div><span style="font-size: 20pt; line-height: 115%;"><br /><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 20pt;">L'aereo mi mette ansia. L'ultima volta, anche se con apprensione, ho
cercato di scalzare la paura distraendomi con la lettura e guardando fuori
dall'oblò. Ero circondata da nuvole: soffici, ampie, l’una sull’altra.
Tutto sommato era un autobus che sfilava nell’aria o anche una nave in mezzo al
mare. Della terra non si aveva visione, se non di tanto in tanto, quando usciva
un pezzettino di verde in una nuvola più leggera, per poi perdersi tra gli
strati sovrapposti. Il pensiero di sorvolare sulle città, le abitazioni, le
persone, faceva una certa impressione. Il display di fronte riportava la rotta
seguita passando per Roma, Firenze, Milano... Immaginavo in quel momento la
vita a terra: ora di punta, uscita dal lavoro, il traffico cittadino, le corse
per la spesa, il rientro, la cena, gli incontri, gli amici, le passeggiate,
mentre noi seduti, con lo sguardo ai nostri telefonini, libri, aspettavamo di
arrivare a destinazione. Le ali del veicolo, spiegate alla mia destra così a
sinistra, mi ricordavano che l’aereo simulava il volo dell’uccello che
migra da una parte all’altra del mondo cercando gli <i>habitat</i> più
consoni. Anche noi migravamo da una parte all’altra dell’Europa. In un paio
d'ore si cambia fuso orario, giungendo in un luogo lontano dalle nostre abitudini
e stili di vita.</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 20pt;">E volando ho rivisto il mito di Scilla, che tradì il padre Niso strappandogli il capello purpureo per amore
di Minosse e causandogli la morte. Fu poi trasformato in avvoltoio mentre sua
figlia, rifiutata da Minosse, finì in mare diventando un airone. </span></p><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 20pt;">Dall’alto la vita è più leggera, senza affanni, libera. Volare implica
solitudine, strappati al resto, soli con le nostre rotte
mentali. La vita deve sempre avere una meta, un obiettivo, un punto cui tendere.
Vivere per vivere trasportati dagli eventi, secondo le correnti, ci predispone
a cadute e avversità. Dobbiamo procedere come il volo, verso un punto preciso
con idee chiare, concentrandoci sulla meta. </span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 20pt;">Le nuvole intorno si aggregavano e si
diradavano al nostro passaggio, creando un labirinto tra batuffoli e
grossi animali che cambiavano forma col procedere degli altistrati e i cumuli.
Avvicinandoci alla destinazione e cominciando a scendere di quota, le
nuvole avevano qualcosa dello zucchero filato, lasciando intravedere, tra
l'una e l’altra, qualche elemento del paesaggio sottostante. Continuando nella
discesa prendeva forma il suolo, la pista di atterraggio, col ritorno alla
vita, lasciando tra le nuvole il pensiero libero ispirato dall'altitudine e
da quell'ammasso avvolgente di spuma bianca. Le terre assumevano varie
sfumature, emergevano i campi a forma di rettangolo o di trapezio, le case tutte in fila, raggruppate nei parchi pieni di verde, poco distante
il fiume, il ponte, i palazzi più alti. Atterrando il tempo ha ripreso a
scorrere, con le ansie della partenza: ciò che bisognava fare usciti
dall’aeroporto, il clima cambiato, la stanchezza che saliva al viso, il bisogno
di alzarsi da quella posizione. Guardare dall’alto è facile, ci si erge a
maestri, ma è scendere tra gli altri più difficile, quando ci si pone al lato
degli uomini e si fanno le stesse cose. Dall’alto può avere i suoi vantaggi,
tutto è più chiaro da comprendere, ma è immettersi nella realtà che
crea fatica. La vita è porsi accanto.</span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p><span style="font-size: 20pt;">Commenta...</span></p></span></div>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-13684343303126035612024-03-15T08:55:00.000-07:002024-03-15T08:55:32.335-07:00Lo steccato<p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF85abeS7JdvranBwXsxz5pPZ4GstCdZplxR6sd0Jtv6KqZYFlTZylCeGkNvkbHhMqILGHhQ4Iy6fj8_XyRjEOuNNGdml5UEYMvBNer0fdyE3vQUjHLaaq-gUSltkB0PPgW-ieizkp0pNkhL8fS0icefNb24Md3Lh9NtDJKhjn8ko0xor0aO2RrGJi0RE/s603/552275c72eff94e2cc529247c591f27c.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="603" data-original-width="500" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF85abeS7JdvranBwXsxz5pPZ4GstCdZplxR6sd0Jtv6KqZYFlTZylCeGkNvkbHhMqILGHhQ4Iy6fj8_XyRjEOuNNGdml5UEYMvBNer0fdyE3vQUjHLaaq-gUSltkB0PPgW-ieizkp0pNkhL8fS0icefNb24Md3Lh9NtDJKhjn8ko0xor0aO2RrGJi0RE/w530-h640/552275c72eff94e2cc529247c591f27c.jpg" width="530" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 18pt;">Sul mio pianerottolo, a destra, gli operai
hanno posto uno steccato con tre assi e quattro chiodi per arginare un muro che
va rifatto.</span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 18pt;">Tanto è bastato per riportarmi ai miei
disegni di steccati di quando ero scolara. Chi di noi non si è trovato a
disegnare uno steccato alla fine della casa sul foglio, come un’appendice su
cui poggiarci fiori, rami, persone affacciate. Assi affossate nel terreno per
delimitare un solco, uno spazio, un confine. Ogni mia casetta ne aveva uno,
disegnato con cura. A volte erano approssimativi, altre solo accennati, ma
sempre presenti. Un dovere aggiungerlo là dove non sai cos’altro mettere.
Cambia in base al legno, alla forma, all'uso che se ne fa. Mi piacciono quelli
un po’ screpolati, abbattuti, divelti, hanno sembianze umane nelle nostre varie
condizioni. Dicono ciò che hanno subito, quando sono stati costruiti, che
cosa hanno attraversato. Un paesaggio, dal vivo o sul foglio, acquista valore
se contiene uno steccato. Si percepisce la presenza dell'uomo in quel
miscuglio di naturale e antropico.</span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 18pt;">Un mio dipinto ne mostra uno tra massi
laterali a dividere due parti di un prato. Mi è costato molto limare quei sassi
intorno, uno sull'altro e dare il colore giusto al legno. In un dipinto che ho
prodotto in Cornovaglia, invece, ho perso più tempo a dipingere lo steccato che
a rifinire i fiori. La difficoltà era dosare la giusta luce per proiettare la
reale ora del giorno. Ma il fascino dello steccato risale alla mia infanzia: ce
n’erano tanti nei campi e lungo i sentieri che portavano ai monti. Una volta
mio nonno ne costruì uno piccolo sul sentiero del bosco: serviva ad affacciarmi
e ammirare il mare dall’alto. A guardare giù avevo le vertigini al pensiero
che, se non avesse retto, mi sarei trovata giù. </span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 18pt;"> Altro ricordo indelebile le mie
passeggiate, da bambina, per i sentieri intorno alla casa dei nonni. Mi
intrattenevo spesso a giocare accanto agli steccati, avevo maggiori possibilità
di destreggiarmi. Altre volte rovistavo il legno scoprendo corridoi di
formiche, tane, file d’insetti, gocce di resina, buche in cui appoggiavo i
polpastrelli per capirne la profondità. Altre volte, con un punteruolo incidevo
nel legno rappresentando quello che vedevo nei campi. Raramente l'ho visto in
veste di divieto, come sul mio pianerottolo. Eppure molti hanno questa
funzione. In questo caso indica un pericolo da evitare, mentre altre volte un
confine da non varcare. Il mio steccato è un modo affettuoso di accogliere e
preservare. Ogni altra sua funzione non la sento mia.</span><span style="font-family: "Times New Roman", "serif"; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></p><p>
</p><p class="MsoNormal" style="tab-stops: 163.05pt; text-align: justify;"><span style="font-size: 18.0pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-size: 18pt;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-91521253021507381912024-02-29T03:41:00.000-08:002024-03-05T05:28:09.092-08:00I Promessi Sposi<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiAJMWyEE88g5-YkMhG7lFB8eenh-0pOPtXjgtWCO5EvdjgONVxCcYxyEUl1cvuLUNDALNT6rqjnuIszvco97Flq7YgpdCZJZYfQWmCLEGVms1SvgGF0R7I8HGzYiZ5z4eMGw0z5c4FdEN7Wxw0lgS_lGcRqLurSNGnjknXJnyRiadSXRPZ0VBXcMV5t88" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="400" data-original-width="600" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiAJMWyEE88g5-YkMhG7lFB8eenh-0pOPtXjgtWCO5EvdjgONVxCcYxyEUl1cvuLUNDALNT6rqjnuIszvco97Flq7YgpdCZJZYfQWmCLEGVms1SvgGF0R7I8HGzYiZ5z4eMGw0z5c4FdEN7Wxw0lgS_lGcRqLurSNGnjknXJnyRiadSXRPZ0VBXcMV5t88=w640-h426" width="640" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">I</span></i><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"> cari <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Promessi Sposi</i> di Alessandro Manzoni non
vanno mai in pensione. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Facciamo uso di frasi
e nomi dell’opera nel bel mezzo di un discorso o chiacchierata come se stessimo
parlando di parenti. Ritornano il famoso “vaso di terracotta costretto a
viaggiare in compagnia di altri di ferro” riferito a Don Abbondio, il “non fare
la monaca di Monza”, parlando di Gertrude, “sembri il Nibbio o il Griso”, o
l’abusato “Innominato” riferendoci a qualcuno che non vogliamo menzionare. Parliamo
dei personaggi come fossero antenati, zii da commemorare, così di episodi
precisi riportandoli al nostro tempo. Un indiscutibile grande romanzo storico
che caratterizza il nostro panorama letterario.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Ebbe quattro edizioni, dal
1827 al 1840. Comincia con un matrimonio che “non s’ha da fare né domani, né
mai!” per bocca dei bravi che si presentano a Don Abbondio che "tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628"</span><span style="background: white; color: #4d5156; font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">, per intimargli di non celebrare le nozze, il giorno dopo, tra Renzo e Lucia. Inconfondibile l'incipit, tra i più famosi e riconoscibili della storia della letteratura: </span><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra
due catene non interrotte…” </span><span style="background: white; color: #4d5156; font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">La prima redazione risale al
1823 col titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fermo e Lucia</i>, nel
1827 esce la seconda stesura dal titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I
Promessi Sposi,</i> detta la ventisettana, fino all’edizione definitiva nel
1840.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Il romanzo è ambientato nella
campagna lombarda tra il 1628 e il 1630, durante la dominazione spagnola in
Italia. L’autore trova l’espediente di un manoscritto risalente al </span><span style="font-family: "Garamond","serif";">XVII</span><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"> secolo da cui trae spunto per
la storia.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La società è ancora quella della
nobiltà feudale con un clero potente e invadente e una parte di società che
cerca di gabbare il popolo attraverso la cultura come mezzo di sottomissione. Trentotto
capitoli ricchi di avventure, azioni, storie nella storia. I personaggi sono
dipinti tracciandone vizi e virtù di ciascuno con toni chiaroscuri per lasciare
emergere quanto più possibile la verità. Si attraversano i grandi eventi del
periodo, con un realismo alla ricerca della verità e della storicità. Il
narratore è onnisciente e procede tra giudizi morali e ironia spesso aggressiva,
mettendo un certo distacco tra l'autore e la materia trattata. Una sorta di
equilibrio tra i fatti reali e la narrazione soggettiva dell’autore. Si
riconoscono, al suo interno, rapporti di forza, analisi di una realtà fatta di
azioni e reazioni, contrasti con punti di vista psicologico, materiale e
morale. Tutto trova una giustificazione nei piani della Provvidenza e tutto si
ricostruisce attraverso la conoscenza del bene e del male. I personaggi, poli
di forza del romanzo, sono immersi in uno scenario storico fatto di guerra,
peste e carestie. Realismo e tensione emergono per tutto il romanzo. <o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Sin dalle prime pagine abbiamo
una caratterizzazione ben precisa del personaggio di Don Abbondio, un
pusillanime, ignavo, incapace di prendere alcuna iniziativa, frenato dalla
paura e privo di ogni contributo da parte sua. Accanto al curato si erge
Perpetua, la donna che cura la canonica, abile a trovare soluzioni, impicciona,
sempre a confabulare. La protagonista è Lucia, la ragazza di paese che ama
Renzo in modo devoto e sincero. Il suo promesso è un ragazzo del popolo,
semplice, buono, gran lavoratore. E poi ancora Agnese, madre di Lucia, donna
concreta. Il personaggio prepotente è incarnato da Don Rodrigo, signorotto della
nobiltà feudale, e poi la figura lugubre e tragica dell’Innominato, atto alla
violenza, che supporta le malefatte di Don Rodrigo, per il quale farà rapire
Lucia. Tra le altre figure del mondo ecclesiastico, oltre a Don Abbondio,
abbiamo Padre Cristoforo, la monaca di Monza, il Cardinale Federigo Borromeo. <o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Della gerarchia ecclesiastica
Federigo Borromeo rappresenta il volto buono, che tende al bene con autentica
nobiltà d’animo. Accanto a questi personaggi principali ne ruotano altri
importanti e meno, tutti inconfondibili, diventati simboli ora del bene ora del
male: i bravi, Azzeccagarbugli, il Conte zio, il Griso, il Nibbio, l’oste,
Donna Prassede, Don ferrante, il gran cancelliere Ferrer…<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">La genesi del romanzo fu una
lunga gestazione nata negli ambienti culturali tra Milano e Parigi. L’autore fu
a contatto con l’illuminismo francese. Numerosi i romanzi confluiti poi nei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Promessi Sposi</i>, tra cui <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La nouvelle Eloise</i> di Rousseau,</span> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Religieuse</i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">
</span></i><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">di
Diderot, l<i style="mso-bidi-font-style: normal;">’Adolphe</i> di Constant. Al
Manzoni interessò il romanzo psicologico per gli aspetti genuini e demoniaci
come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Clarissa </i>di S. Richardson. Un
motivo ritornante nella letteratura settecentesca era quello satanico
valorizzando il ribellismo di Lucifero e l’eroismo malefico. Di questa lunga
tradizione fanno parte: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I masnadieri</i>
di Schiller, dove il personaggio Karl Moor incarna l’enigma del bene e del male
in una rivolta contro l’ingiustizia; <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Messiade </i>di Klopstock, una severa
condanna illuministica di società corrotta; <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il
corsaro</i> di Lord Byron, dove troviamo l’eroe demoniaco tra le ribalderie
presenti e il rimorso del passato; e ancora <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le
relazioni pericolose</i> di Choderlos di Laclos, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La filosofia del Boudoir</i> del Marchese De Sade…<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Accanto al motivo della
seduzione c’è poi anche quello della persecuzione con: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il castello d’Otranto</i> di Horance Walpole, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il monaco</i> di G.M. Lewis, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Melmoth
l’errante </i>di C.R.Maturin.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Il Manzoni s’immerse in queste
letture, desideroso di nuovi spunti. Tra gli altri predilesse il romanzo<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>di Tommaso Grossi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Marco Visconti</i>, dove il protagonista ama Bice e la perseguita ma
Bice, a sua volta, è innamorata di Ottorino. Si riscontra qui un’analogia tra
la cavalcata notturna del protagonista, folle di gelosia per Bice, e Don
Rodrigo di Fermo e Lucia trascinato a morte da un cavallo imbizzarrito.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Dopo la conversione, il
Manzoni non accettò tutta la letteratura francese e si faceva scrupolo di
liberarsi di alcune opere non consone alla sua nuova condizione di credente.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Per quanto riguarda la monaca
di Monza è lampante l’analogia con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La religieuse</i>
di Diderot. In entrambe le opere le novizie prendono i voti forzatamente, ma
mentre Diderot incolpa il monastero per le sevizie della suora, il Manzoni fa
ricadere la colpa su Gertrude. Entrambi usano “scomposta” riferito a bellezza, con
un uso prettamente estetico in Diderot, con un carattere psicologico che traccia
l’incoerenza dell’animo e l’incostanza del carattere in Manzoni. Alla fine le
due opere sono completamente antitetiche, in comune solo la monacazione
forzata, con una tragedia umana e morale in Manzoni che Diderot ignora del
tutto. Nella creazione del personaggio di Egidio, amante della Monaca di Monza,
hanno contribuito il personaggio di Lovelace della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Clarissa </i>di Richardson e il Dolmancè di De Sade. Mentre il Dolmancè
spiega a Eugenie che non vi è alcuna azione che sia veramente criminale e nessuna
che possa dirsi virtuosa, Egidio inculca a Gertrude che tutto ciò che lo aveva
portato alla violenza e alla perfidia era un’invenzione dell’astuzia, un’arte
per godere a spese altrui.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Padre Cristoforo, nello sfidare
Don Rodrigo, ricorda l’abate Clerville che affronta il signor Franval in De
Sade e ancora i rintocchi delle campane che scuotono Franval ricordano lo
scampanare che colpì l’Innominato nella terribile notte della sua conversione.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Nella letteratura francese le
monacazioni forzate, la corruzione del clero, la cupidigia dei preti rispondono
a un’esigenza denigratoria e scandalistica, mentre per il Manzoni a un’intima
esigenza di erudire la moltitudine, per avvicinarla al bello e all’utile. Il
Manzoni riconosceva all’uomo i valori di libertà della ragione ma ne moderava
l’azione con i precetti morali e le norme evangeliche. Pur partendo da un
concetto illuministico d’indipendenza del singolo, respingeva la totale
emancipazione. C’è nell’Innominato un processo di riscatto dalla prepotenza a
differenza del personaggio Karl Moor nei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Masnadieri</i>
di Schiller e del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Corsaro</i> di Byron, dove
non c’è alcuna possibilità di conversione. Il Manzoni procede a un’opera di
restauro sociale religioso concedendo la Provvidenza per cui la sventura è
provvida, come dirà nel coro dell’Ermengarda, come prova voluta da Dio. Il
romanzo non è una propaganda religiosa, come affermava Moravia, ma profondo
sentimento religioso che aiuta l’autore a compatire l’uomo, come certezza di
fede e volontà di redenzione cristiana.<o:p></o:p></span></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-18676571346395662412024-02-19T07:55:00.000-08:002024-02-21T02:14:08.133-08:00La terra fonte di cibo<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjwZrTvZB6mSj30faPnAH8fEjF5yIY-bg74cczTB7saeT1t2A2LDzLuAYOnQ49u1Yx_j1fP_skhV7EP5sIUaclBejfL-bgkKnXOjauHj-hugUZeNrVjDPfks397hnZmvQMKGbSSwYbB6OoulhSAJq9x7UgNU4slkJNteRRVKbx3kXba6hVYP8CHJBCCz0w" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="406" data-original-width="714" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjwZrTvZB6mSj30faPnAH8fEjF5yIY-bg74cczTB7saeT1t2A2LDzLuAYOnQ49u1Yx_j1fP_skhV7EP5sIUaclBejfL-bgkKnXOjauHj-hugUZeNrVjDPfks397hnZmvQMKGbSSwYbB6OoulhSAJq9x7UgNU4slkJNteRRVKbx3kXba6hVYP8CHJBCCz0w=w400-h228" width="400" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">L'agricoltura in Italia ha subito
notevoli cambiamenti rispetto al passato. Una volta si basava su metodi tradizionali
e su una gestione familiare. Negli ultimi decenni sono stati introdotti
macchinari agricoli moderni e nuove tecnologie, incrementando la produttività e
l'efficienza. L'agricoltura italiana si è integrata sempre di più nel mercato
globale, con un aumento dell'interesse per quella biologica e sostenibile.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Nonostante i cambiamenti,
l'agricoltura rimane un settore di grande importanza per l'economia italiana,
ponendosi al terzo posto in Europa dopo la Francia e la Germania.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Parallelamente allo sviluppo dell’agricoltura,
si sono assottigliati i terreni. Di questi, gran parte restano incolti, col
pericolo di diventare discariche quando non lasciano il posto al cemento. Le
nostre pianure risentono dei cambiamenti climatici con alluvioni e dissesti
idrogeologici. Sfide che hanno costretto i contadini a costruire terrazzamenti,
bonificare zone, rassodare e spianare. Anche la Pianura Padana, la più estesa d’Italia,
va incontro ad allagamenti e bonifiche ricorrenti. Molti i terreni espropriati,
da nord a sud, trasformati in abitazioni, strade e autostrade. Difatti, l’unico
modo per assicurare la vita a un appezzamento di terreno è coltivarlo,
altrimenti, prima o poi, sarà occupato dal cemento. Il futuro della Terra è
dato dalla quantità di cibo che riusciremo a garantirci già nei prossimi anni.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">I contadini vedono il loro lavoro
ridotto a spiccioli, perdendo anche quella piccola speranza di salvare
un’alimentazione naturale. Accanto ai finanziamenti ormai ristretti, dobbiamo
ricordare gli scempi che avvengono nelle coltivazioni con l’uso massiccio di
pesticidi e sostanze varie per accrescere la produzione o mantenere a lungo i
prodotti, oltre ai semi modificati. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">La concorrenza di mercato vede prodotti
provenienti da vari paesi, con il rincaro dei prezzi e l’abbattimento dei profitti,
altrimenti si assiste al macero di frutti e ortaggi. I consumatori mangiano
banane perfette, dopo che queste ultime hanno sostenuto lunghi viaggi, o mele farinose,
o arance che appena riposte nel cesto fanno la muffa, fragole che sanno di
niente, limoni che spremuti non danno succo e pere che, appena sul tavolo, si mostrano
marce. Un frutto non si riconosce più dal profumo. Se non fosse per la differenza
di polpa, sarebbero tutti uguali tanto da ingurgitare qualsiasi cosa senza
sapere se si tratta di mela o di pera o di altro. Quanti trattamenti ci
vogliono prima di mangiare un frutto? Venti giorni per liberarsi del veleno ricevuto
come quello riservato ai parassiti. E le erbacce? Ogni tre giorni bisogna
passare e ripassare nei solchi per tirarle, ma la mano d’opera costa e ci si
affida al diserbante che, una volta nel terreno, arriva anche alle piante. Nel
passato sapevi che le arance erano di Sorrento o di Sicilia, l’olio di Sapri,
parlando della Campania, ma oggi? Un’arancia può venire dal Portogallo o dal
Marocco o da Creta, tutto tranne che dal tuo paese e non c’entra il
nazionalismo, solo la freschezza del prodotto. Se arriva da paesi lontani, sarà
pessima e senz’altro finirà nella spazzatura. Avete idea del cibo che finisce
nell’umido? E di questo, gran parte sulla tavola non ci arriva poiché, prima di
essere cucinato o mangiato, deperisce. La legge di mercato impone di acquistare
i prodotti provenienti da altri paesi, perché se ti mangi le tue arance, non
fai commerciare quelle del Congo e intanto le tue, quelle a quattro passi da
casa, non sono più curate come una volta, tanto ci sono quelle del Portogallo,
della Turchia, e dove prima c’erano le nostre arance di casa, oggi ci sono le
strutture ricettive: si guadagna di più, ma intanto si mangia peggio. E se vado
in Svizzera, mangio kiwi italiani al modico costo di un euro e cinquanta l’uno,
circa venti centesimi a fettina, mentre in Italia ci sono quelli che arrivano
da paesi lontani. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Questo è il mercato. E ancora, dei
frutti esotici importati che passano più tempo nelle stive delle navi che sulle
nostre tavole e costano più dei nostri frutti, ne mangiamo la metà, l’altra marcisce
durante il viaggio o subito dopo. Ma c’è il rischio che arrivino anche in
perfetta forma, segno di aver subito trattamenti prima dell’imbarco. Qualcuno
crede che basti il piccolo orto di casa per stare tranquilli, finirà anche
quello, inglobato dal grande business, ma poi ci toccheranno le pillole di
cavoli o di carote magari fornite de grosse aziende farmaceutiche a caro prezzo
per renderci le nostre vitamine quotidiane senza passare per alcun terreno. La
preoccupazione di oggi non è l’atomica, come si pensava nel passato, il futuro
è già qui e ci dice che sarà la fame, per mancanza di terre da coltivare mentre
gli abitanti della Terra saranno appena dieci miliardi. I paesi del mondo
stanno già oggi andando a caccia di terre da coltivare, lo fanno già i cinesi,
che si sono spostati in Africa con la speranza di colonizzare nuove terre. Pescano
nel mare del Senegal assicurandosi parte della costa atlantica così come altri
paesi si stanno adoperando per trovare luoghi dove dirigersi. E si stanno
facendo ricerche per quando sulla Terra mancherà del tutto la possibilità di
sfamarci, studiando il cosiddetto piano B.<span style="background: white; color: #333333; font-family: "Rubik","serif";"> </span></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="color: #333333; font-family: Rubik, serif;"><span style="background-color: white;">Lester Russell </span></span>Brown sostiene che la più
grave minaccia agli equilibri geopolitici sta “nel mix esplosivo tra
competizione per le scarse risorse idriche e agricole, alti prezzi del cibo,
aumento degli affamati, effetti del cambiamento del clima e pressione
demografica. Ogni sera si siedono a tavola a cena 216.000 persone in più
rispetto al giorno prima, ed è una crescita destinata ad accelerare". Si
pensa, da più parti, a colonizzare Marte, il pianeta che più si adatta a
ospitare l’uomo, ma non è stato ancora sperimentato. Sembra fantascienza
ma ci siamo già dentro, quando assistiamo all’abbattimento di alcuni prodotti
solo per il gusto di non venderli, viste le condizioni di mercato, allo
sperpero di quello che facciamo a tavola, agli schizzinosi davanti a un frutto che
presenta una piccola parte marcia e lo buttiamo mentre altrove qualcuno cerca il
cibo tra i rifiuti. Dovremmo avere più cura del terreno come fonte di cibo per
la vita. E anche lo squilibrio tra paesi ricchi e poveri diventa uno schiaffo
alla miseria mondiale. Se a questo aggiungiamo una politica marcia, peggio di
una mela bacata senza possibilità di cavare dall’interno il verme, siamo oltre
la fantascienza.</span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-43444419529947264902024-01-24T03:16:00.000-08:002024-01-24T03:16:29.297-08:00Tra reale e virtuale<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjwSvAGVXB8lLCocKG4aKQr5oRBfaexPD-eqnRWy4vdlhxF46_-NOR8B1F3ors4SWspvXUSSgNdV2p7dPjJsvR2lP-0OY-WapBo2NrWiTPXI62jVWwWaMzlbHYLK3Z1My0zU2TBomDIL_H301ShOy5BWvLlniWYy8CqZVRdX0ls0hTp9pbVvBiQGYgWelA" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="380" data-original-width="563" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjwSvAGVXB8lLCocKG4aKQr5oRBfaexPD-eqnRWy4vdlhxF46_-NOR8B1F3ors4SWspvXUSSgNdV2p7dPjJsvR2lP-0OY-WapBo2NrWiTPXI62jVWwWaMzlbHYLK3Z1My0zU2TBomDIL_H301ShOy5BWvLlniWYy8CqZVRdX0ls0hTp9pbVvBiQGYgWelA=w400-h270" width="400" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">La generazione dei Baby Boomers
si è abituata alla vita virtuale lentamente con un approccio diverso dalla Generazione
Z. Pur usando i social i Boomers sono nostalgici e fanno il confronto con i
tempi andati. La Generazione Z e Alpha non hanno queste remore.
Sono nate con i bottoni in mano, col virtuale già nel loro DNA e non hanno
difficoltà a vivere i social. Lo fanno con disinvoltura, scegliendo di volta in
volta il canale più adatto per una determinata azione. Eppure è proprio la
generazione dei Baby Boomers, i nati tra il 1946 e il 1964, che vive sui social
molto più degli altri, leggendo quello che c’è di nuovo, postando, interagendo
con commenti e pubblicando contenuti personali. Scruta ogni meandro del web,
bazzica su ogni piattaforma, scopre ogni giorno nuovi territori da conquistare.
Sono pionieri appassionati e costanti, perdendo spesso la cognizione tra reale
e virtuale. Ricordo ancora i primi anni che ero su fb, quando un giorno una mia
amica fece un post dove diceva di stare male. La chiamai preoccupata e lei
candidamente mi disse che lo aveva scritto per “creare un contenuto”, ma non
era vero. Come quella volta che d’estate postai una foto che mi ritraeva in vacanza e scrissi che in quel momento tornavo dal mare. Tornavo
realmente dal mare ma non avevo la foto del momento per cui ne misi una dell’anno
prima. Altra volta posto una foto di qualche mese prima e nei commenti mi
scrivono che, sebbene la foto mi ritraesse da giovane, ero uguale a oggi. Mi
chiesi da quali elementi i contatti deducessero di trattarsi di una foto
vecchia se era solo di qualche mese prima. E come facessero a trovare elementi
differenti dalla realtà se mai, quelli che commentavano, mi avevano visto da
vicino. In quei casi mi sarei dovuta mettere a spiegare che la foto era stata
scattata appena un mese prima, e non anni addietro, che ero così come mi
riportava l’immagine, che non uso filtri, perché credo abbiano un effetto
peggiorativo e non mi va di apparire diversa dalla realtà. A voler precisare è
come giustificarsi ed evitai. Solo piccoli esempi per dire che tra la realtà e
la virtualità ce ne passa. Molti sui social cercano l’effetto straordinario,
qualcosa di diverso, come l’esagerazione, la goliardia, l’umorismo e vagano da
una parte all’altra lasciando commenti di ogni genere, dicendo la propria per
ogni piccola sciocchezza, partendo a<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>raffica come se non avessero mai avuto la possibilità in vita loro di
farlo. E in questo continuo sproloquio no stop gli errori non si contano, non
solo ortografici ma proprio di comprensione, incorrendo in ciò che non si
vorrebbe. Non si paga alcuna tassa a stare zitti e non siamo delegati in alcun
modo a dire la prima cazzata solo per fare colpo sui nostri amici. Si scrive se
abbiamo da dire qualcosa di valido senza ledere nessuno. Cosa difficile poiché
chi legge i post lo fa con lo stato d’animo di quel momento: per cui se si trova
in uno stato di grazia, non ci leggerà niente di male, ma se l’umore è sotto i
piedi, non si fa che peggiorare la situazione credendo sia un’antifona per lui.
La gente si offende per niente e s’incavola anche per meno, travisa spesso gli
scritti, ti prende in considerazione solo quando in quel momento ciò che dici
rispecchia il loro animo o sei riuscita a dire quello che avrebbero voluto in
quel momento. E poi ci sono quelli che come cecchini, sparano su tutti e per ogni
contenuto. Se ci confrontassimo nella vita reale così come in rete, sarebbe un
bel problema. Nella realtà non affrontiamo niente e nessuno, poiché dovremmo
misurarci con l’altra persona in modo serio e non attraverso scritti e
immagini. Quando scrivo un post mi chiedo a chi possa interessare un fatto mio,
forse a nessuno, e desisto. Se quell’idea mi rincorre, ci ritorno su e ne comincio
a scrivere. Strada facendo mi vengono in mente i miei contatti, chi potrebbe
dire cosa, chi forse prova la stessa cosa e non sopporta di leggere ciò che
pensa, chi leggendolo potrebbe pensare di avercela con lui. Certo sembra
assurdo fare queste riflessioni ma credo chiunque l’abbia pensato. Mi partono mentre inizio a scrivere tanto che spesso cancello tutto
mettendomi nei panni di chi legge. Il motto di oggi potrebbe essere: “Penso,
dunque scrivo”. Scrivere anche solo un post richiede empatia, capire le
circostanze, evitare di ferire qualcuno, anche se quel qualcuno ha ferito te.
Chi scrive deve preoccuparsi di dire cose utili, interessanti. Molti parlano e
scrivono a “schiovere”, vale a dire a vanvera, giusto per il gusto di colpire,
di lanciare frecciatine, di fare apologie, monologhi senza fine. E non è che se
sei giornalista, professore, politico sei abilitato a scrivere e dire di più
rispetto agli altri per requisire i fatidici like che ti abilitano a diventare
un leader. Con tanti like
diventi influencer, e questo è l’unico sogno di molti, per cui si parte con i
post a raffica sperando di acchiappare consensi anche con una semplice
stupidaggine. Ed è per questo che bisogna fare attenzione a ciò che si dice, perché
legge anche chi non metterà mai un like ai tuoi post, poiché gli sei antipatico,
si contrappone a te ma tutto sommato pensa ciò che scrivi. Le dinamiche che si
presentano sui social sono tante e il traffico è maggiore che nella realtà.
Abbiamo trasferito il reale nel virtuale tanto che nella realtà non siamo più
naturali, ricordiamo quello che l’altro ha scritto, che cosa ha postato, quali
commenti ha fatto e se ci incontriamo faccia a faccia non sappiamo che dire.
Restiamo degli sconosciuti. Una volta un sacerdote, passato ad altra vita, mi
mandò a dire che voleva conoscermi perché leggeva i miei post ed era contento,
ogni mattina, di trovarmi in bacheca mentre beveva il caffè. Al like preferisco
chi mi legge e scrivo quando ciò che dico non sia un editto o un’arringa e
nemmeno una filippica. Quelle le riservo al confronto reale e non virtuale.
Anche per scontrarsi con una persona, come si fa ad affidarsi a una tastiera?
Avete mai contrattato quella persona? Può darsi abbiate solo dei pregiudizi nei
suoi confronti, forse se la conosceste, diventereste veri amici. Le tempeste
non sono per il virtuale, qui sopra ci vogliono giornate leggere e ritrovi
piacevoli. Il virtuale non deve diventare la brutta copia della realtà. Scrivere
rispettando gli altri. Ma nel tempo i social si prediligono alla realtà poiché
mascherano, amplificano le parole, riducono di molto ciò che si dice e
soprattutto ci rende volubili: chiedere amicizie o cancellarle è diventata
un’operazione quotidiana come quella di mangiare. E quando i bambini hanno in
mano un giocattolo, prima o poi lo rompono. A volte il silenzio è terapeutico. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><o:p><span style="font-size: medium;"> Commenta...</span></o:p></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-55089299466783807002024-01-12T06:27:00.000-08:002024-01-12T06:27:29.852-08:00Don Carlos: Atto I<p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgCJjzfkzoSMXUTyzt3QkvDxPRrTemYJcuESWLsvuCCNgGjBHbnhZPt3a4L6rMC6KG8DyozDral3I5Hf3DWLLZS4R8Ko__KFCdU1VZSa584YRPl4-gtzs5og-sejhax_fFocO_7Mhw2nuyUxinL-ZKgHVNzpjYl7SjJTjQewh834yOVYaEBENYVG6-dLGk" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="933" data-original-width="1400" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgCJjzfkzoSMXUTyzt3QkvDxPRrTemYJcuESWLsvuCCNgGjBHbnhZPt3a4L6rMC6KG8DyozDral3I5Hf3DWLLZS4R8Ko__KFCdU1VZSa584YRPl4-gtzs5og-sejhax_fFocO_7Mhw2nuyUxinL-ZKgHVNzpjYl7SjJTjQewh834yOVYaEBENYVG6-dLGk=w400-h266" width="400" /></a></span></div><span style="font-size: medium;"><br /><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Carlos, solo sulla scena nella foresta di Fontainebleau, mentre è scesa la notte. Segue una romanza, un assolo, unico in tutta l'opera, un pezzo romantico.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Vi è un realismo e una dimensione onirica che si interrompe bruscamente dopo l'arrivo di Tebaldo con la notizia che annulla la felicità degli amanti. Lo stato d'animo dei due entra in conflitto con la nuda verità che si para dinanzi a loro. Lo stile di Verdi punta a una resa drammatica. Solo la natura sembra partecipe all'idillio che sboccia mentre gli esseri umani, a cominciare da Tebaldo, restano ignari alla condizione emotiva dei due giovani. Don Carlos ha un dialogo incalzante con Tebaldo e si rende garante della sicurezza di Elisabetta. Si accende il fuoco tra i due ma Elisabetta confessa la sua inquietudine. Poi ha luogo il riconoscimento attraverso il medaglione, che Carlos estrae dallo scrigno. Somiglianza qui con uno dei temi dell'Ouverture di Oberon. Vi è un' influenza dell'opera romantica tedesca sulla grande opera. Si riscontra un'affinità con Wagner a proposito dell'atto di Fontainebleau con Tristano e Isotta, anche se assoluta estraneità sul piano compositivo. Tra le analogie il riconoscimento e la scoperta dell'innamoramento attraverso un oggetto.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">Garante della felicità degli innamorati è la notte che è lunghissima in Wagner e brevissima in Verdi. Le storie si somigliano ma i soggetti hanno una diversa sensibilità in conformità allo spirito del tempo. Al centro della dinamica, che evolve, vi è in ambedue i casi un duetto d'amore. Ma questo stato di grazia è interrotto in Wagner e in Verdi da qualcosa proveniente dall'esterno: la vista della Cornovaglia in Tristano e Isotta e un colpo di cannone in Don Carlos. La ragion di stato si oppone alla felicità degli amanti. La folla, dopo che la principessa è salita in lettiga, si allontana e Don Carlos resta solo con la sua disperazione. Struttura del primo atto omogenea per essere costruito su una dinamica emotiva ascendente e discendente. Al centro dell'azione il duetto Carlos - Elisabetta su un unico fondale scenico, la foresta di Fontainebleau.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-46163478216292840002024-01-12T05:53:00.000-08:002024-01-12T06:02:26.851-08:00Il dodici gennaio<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjGGw5QAXMJ7BbOQMZdJvHBpK1vY0APFN2sGbrbBRYw1ztIbGZRrTt9YoFmToDp09-yxg2UioSs6hwe038TsUXDpUA1_6oVazJEQvwVW1fe6JLVrGwdoeTfztnt_KR64xOHjXnmhvc88jqkcL78kJpuNQCE4qVu544z2zW-Pxp4w4wGYzJSEiZ2Nyyxnls" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="775" data-original-width="564" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjGGw5QAXMJ7BbOQMZdJvHBpK1vY0APFN2sGbrbBRYw1ztIbGZRrTt9YoFmToDp09-yxg2UioSs6hwe038TsUXDpUA1_6oVazJEQvwVW1fe6JLVrGwdoeTfztnt_KR64xOHjXnmhvc88jqkcL78kJpuNQCE4qVu544z2zW-Pxp4w4wGYzJSEiZ2Nyyxnls=w292-h400" width="292" /></a></span></div><span style="font-size: medium;"><br /><br /></span><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">E oggi sono diciannove anni che non ci sei più.</span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span>Che cosa mi manca di te? I tuoi
ceffoni forti a cinque dita spiaccicati sul viso quando mi permettevo una
parola fuori posto, le tue rincorse all’ingresso con la tazza di latte bollente
che avrei dovuto trangugiare perché fuori faceva freddo, le tue orazioni,
meglio dire filippiche, in seguito a un fatto accaduto per farmi capire, quel trattarmi sin da
piccola come se fossi stata una vecchia. E poi la tua gentilezza, il tuo sorriso,
sbranare gli altri quando dicevano anche una sciocchezza sulle tue figlie,
quelle incursioni a scuola, per sorprendere il ragazzo di turno che voleva
proporsi e tu a ordinargli di starmi lontana, mettendomi a disagio. Mi mancano
gli spunti che mi davi nel creare un centrino, una sciarpa, un ricamo, quel
chiedermi aiuto quando non riuscivi con il lavoro ai ferri attorcigliando il filo del
gomitolo per poi abbandonare il lavoro, che puntualmente finivo io. E poi le tue
frasi al momento giusto, i tuoi proverbi, le tue canzoni quando eri allegra. Mi
manca la tua preoccupazione per la mia salute, il portarmi in giro per i
controlli, mai contenta dei responsi dei medici. Mi piaceva la tua sveltezza, l’ordine,
la precisione, la capacità di gestire ogni cosa, l’intelligenza pronta nell’afferrare
anche il non detto. Mi manca quando mi chiedevi di fare le imitazioni dei
nostri vicini e tu a sganasciarti dalle risa, vedere insieme la TV dei ragazzi
con <i>Gianni e il magico Alverman</i>, <i>Chi sa chi lo sa</i>, <i>Gioca con noi</i>, <i>Ciuffettino</i>,
ma anche i <i>Compagni di Baal,</i> <i>Cuore</i>. </span><span>Dopo aver visto un programma o un film, tu
spiegavi i passaggi, ritornavi sulle immagini e poi scappavi in cucina
a preparare qualcosa di buono per la merenda. Ricordo i tuoi insegnamenti dall’ordine
in casa, a come stare al cospetto degli altri, come preparare un piatto
semplice, le tue lezioni di pasta e fagioli con me sulla sedia che mi allungavo
nella pentola per vedere come la cipolla, il sedano, la patata, il pomodoro
galleggiavano nell’acqua finendo nei rigagnoli d’olio e tu che mi dicevi: “Guarda
e impara”. E io imparavo tanto da provare da sola, qualche giorno dopo, a tua
insaputa. E dello stirare, ne vogliamo parlare? Di come i lembi devono
combaciare perfettamente, come vanno stirate le camicie e quello che accadeva
quando si presentava una grinza a fine collo che pregiudicava quel sentirmi
dire: ”Brava!” E c’erano incursioni peggiori come quelle di tirare le cose dal
cassetto e rimettere in ordine capillare, o
quando annusando nell’aria, dicevi che non sapeva di pulito, che c’era da insistere. E ricominciavo di nuovo. Per me era
fondamentale accontentarti, aspettarmi la tua approvazione, cosa sempre
difficile da ottenere. Eri sempre pronta con i tuoi sopralluoghi, i tuoi interventi per
dire che le cose vanno fatte bene e in breve tempo. La mia cosiddetta “perdita
di tempo” era leggere, che tu non sopportavi, vedermi intenta per ore con un libro
in mano, mentre c’era da fare altro. E per continuare mi nascondevo in qualche
antro di casa a finire il mio libro. E che dire delle lenzuola del mio letto con
le macchie dei colori a olio simili a zampe di gatto sugli orli, quando appena
sveglia dipingevo la mia prima idea mattutina. Mi mancano anche le tue scorribande
nel bel mezzo di un servizio in atto quando irrompevi sulla scena per dire cosa non
andava. Mi mancano le tue risposte, la tua dolcezza in tanta forza, il tuo abbandonarti dopo una giornata pesante, le tue richieste quando
non stavi bene e noi a prenderci cura di te. E’ già bello poterlo ricordare,
averlo avuto: ricordi intensi, vissuti. Una mamma che non accontentava e si
vantava delle figlie, ma puntava all’educazione, a ciò che dovevamo imparare, a
gestirci, a saper far la spesa e fare i conti. E quelle affermazioni come
quando dicevi che solo tu potevi parlare e sfare di noi, e che l’unico
motivo</span><span> </span><span>del metterci sotto torchio era
per il nostro bene. Un’idea che fino a poco fa credevo inutile e insensata, l’ho
poi rivalutata. Le nostre figlie sanno
fare all’occorrenza ma non accettano consigli, non mi sognerei di dire: "Guarda
come si fa il soufflé", mi risponderebbe che magari non si mangia più, la dieta
non lo vuole. E come parlare della grinza sulla camicia? Oggi i panni vanno in
lavanderia, dopo quattro lavaggi sono rimpiazzati dai nuovi. E dell’ordine? Nemmeno
a pensarci. In camera non si entra a riordinare prima di un esame in corso,
passano giorni per poterci accedere. Ma forse sono più bravi di noi, apprendono
guardando e secondo i loro interessi.</span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ci hai insegnato che non bisogna
mai vantarsi, e mai accontentarsi, migliorarsi sempre, avere la maturità per
decidere, scegliere, conoscere ogni cosa a fondo, le “mezze mezze”, come dicevi,
non servono a nessuno. E mi piacevano le volte in cui abbassavi la guardia e da
mastino diventavi compagna per tirarci su in un momento di difficoltà. E quei baci
a sgretolarci il viso accompagnati dalle tue espressioni folkloristiche:” Sule
a mamma te vo bene accussi” continuando con sonorità fino a doverne dispensare
a tutte e tre. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Quelle azioni che allora mi
annoiavano, ora vorrei che si ripetessero ancora. E poi mi manca la tua calza della
Befana da diciannove anni. Ogni anno bussavi alla porta, il giorno della festa, con una calza graziosa e ricca che portavi come se ci avessi messo l’oro
e me la consegnavi con la fatidica frase: ”Finché ci sono io, non mancherà mai”.
Sarà stato anche un rito, ma così benefico che anche il ricordo mi riscalda
ancora. E’ bello aver avuto tutto questo, quelle cose che un tempo sembravano abitudinarie
e noiose. Ora mi tornano preziose.</span><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-37930492269752293382024-01-10T04:36:00.000-08:002024-01-10T04:36:03.399-08:00Capri<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTBnhzHiFx-HGF9KoWdvH_AmCS-Jp9Xa6dvTNGrSDc_2p6Rk3agn9J4rLCiylPwz-pbo9r8jI0Hhaqjdtm2fFK83WBdDJTMup2wX4rP7Oi9rRDvS1TqPEBM6sJay6voWTQxQYubS0VHeLcqCzRjLODOJrwvYfAZnw6fJxuJ_I-5hwnGMmvGeoYSbysabM/s1920/404275220_901483044897389_1942503311708423569_n.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="1920" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTBnhzHiFx-HGF9KoWdvH_AmCS-Jp9Xa6dvTNGrSDc_2p6Rk3agn9J4rLCiylPwz-pbo9r8jI0Hhaqjdtm2fFK83WBdDJTMup2wX4rP7Oi9rRDvS1TqPEBM6sJay6voWTQxQYubS0VHeLcqCzRjLODOJrwvYfAZnw6fJxuJ_I-5hwnGMmvGeoYSbysabM/w640-h320/404275220_901483044897389_1942503311708423569_n.jpg" width="640" /></a></div><br /><div><br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;">Capri, un’isola magica sin dai tempi antichi. Gli splendidi panorami sono ormai cosa nota. Basta guardare la forma della sua sagoma nell’acqua, per riconoscerla. E poi le abitazioni, bianche, incastonate nel verde, Capri da una parte e Anacapri dall’altra, due zone complementari di un unico luogo dalle mille sfaccettature. Nell’Epistolario di Simmaco (340- 402), lettere scritte in un arco di tempo di venticinque anni, dal 375 al 401, fino a poco tempo prima di morire, si evince, da una fitta corrispondenza col padre, al quale scriveva dalla Campania dei suoi possedimenti nella regione tra ville e terreni. Lunghe lettere in cui raccontava delle condizioni del terreno, dell’amenità dei luoghi e del <i>morbus fabricatoris</i>, quella smania di restaurare edifici nelle zone di villeggiature, spesso compromesse dai sismi, dalle intemperie e dall’esigenza di renderle più artistiche e di nuove fattezze. </div><div style="text-align: justify;">Già i Romani conoscevano l’isola cui avevano dato il compito di <i>buen retiro</i>, per riacquistare le forze prima di intraprendere nuovi impegni e, allo stesso tempo, luogo di ozi che avevano però il rischio di indebolire e ammorbidire anche un animo saldo. Erano consapevoli delle bellezze naturali che rendevano unica Capri, come la sua tranquillità, più salutare e necessaria di una medicina. Augusto, Antonino Pio, Tiberio, si concedevano gli ozi di vacanze in località tra le più belle della regione Campania, facendo di Capri il loro luogo scelto. A quel tempo la Campania era principalmente terra di ferie e di riposo, dove i Romani possedevano una seconda casa.</div><div style="text-align: justify;"> Capri, un gioiello incastonato nel Golfo di Napoli, affascina da sempre i visitatori con la sua straordinaria bellezza naturale e la sua posizione strategica nel Mar Tirreno. Situata al largo della penisola sorrentina, ad appena 10 Km da Punta Campanella, questa piccola isola italiana incanta per il suo aspetto fisico unico e la varietà dei suoi paesaggi. E’ caratterizzata da impervie scogliere calcaree che si fondono con il blu intenso del mare. Le sue coste sono frastagliate, creando calette nascoste e grotte marine spettacolari, tra cui la più famosa è la Grotta Azzurra. Questa caverna sottomarina, illuminata da una luce blu magica riflessa dall'acqua, incanta i visitatori.
Capri non è solo mare e scogliere. Al centro dell'isola si erge il Monte Solaro, il punto più alto, offrendo panorami mozzafiato. Con i suoi sentieri e la sua vegetazione rigogliosa, è il luogo ideale per gli amanti dell'escursionismo e della natura. Dai sentieri del Monte Solaro si possono ammirare viste panoramiche sulla Baia di Marina Piccola e sui Faraglioni, tre imponenti rocce che emergono dal mare. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> La posizione di Capri, nel cuore del Mar Tirreno, ha attirato artisti, intellettuali e viaggiatori per secoli. Da Goethe a Nietzsche, da Pablo Neruda a Rainer Maria Rilke, molti autori famosi hanno trovato ispirazione sull'isola. Le sue strade tortuose, i suoi giardini lussureggianti e la sua atmosfera romantica hanno fornito il contesto perfetto per la scrittura e la riflessione. Scendendo per le strette stradine dove l’apertura delle braccia tocca i muri, si ha la sensazione di essere abbracciati. Avanzando si scorge un albero caratteristico che scende proprio sulla testa, uno spiraglio di apertura verso il mare, una porticina che invita a bussare o uno scalino, una fioriera, un profumo, un piccolo uccello che spicca il volo intimorito al nostro passaggio. Il silenzio è il segreto dell’isola. Da qualsiasi punto dell’isola ammiri il panorama, ti chiedi chi abbia posto in quel punto preciso il guscio di noce galleggiante e come abbia saputo ovattarlo dal resto del mondo. Ecco, il mondo ne resta fuori ma lì hai tutto il mondo. C’è una forza innata su questa terra che si respira appena si mette piede al molo. Sarà l’andirivieni delle navi e traghetti che entrano ed escono dal porto, rendendolo vivo e attivo soprattutto d’estate, sarà la smania di volerla conoscere per intero appena si scende dal traghetto ma poi a ogni passo fermarsi ad ammirare un particolare, sarà che a Capri non sei su un’isola ma nel giardino per antonomasia, che quando la nave si allontana dal porto e te la lasci alle spalle diventando sempre più piccola, ti prometti di ritornarci. E non basta un’altra volta, ci saranno tante altre volte, e non ti stancherai mai di ritornarci. Allora ti prometti di andare ai giardini di Augusto sedendoti sulle panchine e pensando che lì c’è stato prima di te un grande imperatore che ha dato lunga pace a Roma, o che Tiberio, suo successore, abbia trascorso il suo tempo tra quelle bellezze, mentre dall’altra parte del mondo, sotto il suo impero, sia morto Gesù. E ancora che il potente ministro di Tiberio, Seiano, abbia cospirato alle sue spalle. Non è solo bellezza Capri, è storia, fatti accaduti, è vita di secoli che respiri nell’aria. Nei giardini di Augusto sembra che l’imperatore in quel momento sia a Roma per ritornare sull’isola alla fine della settimana, o che Neruda si sia nascosto da qualche parte per limare un’ultima poesia o dalla stradina sottostante di ascoltare le voci di una Jacky Kennedy o Agnelli o da qualche locale sentire la voce di Peppino di Capri con <i>Roberta</i> o <i>Champagne</i> o il twist con quei molleggi sulle gambe dei giovani di qualche generazione fa. Questo è il mistero di Capri: anche chi non c’è più vive ancora lì, arrivano gli echi, le frasi, le musiche, i ricordi, le immagini, la bella vita ma anche la storia di quei tempi e di oggi. Capri trattiene, non lascia andar via niente e nessuno e per questo strega, un’alchimia che non accade in nessun’altra parte del mondo. </div><div style="text-align: justify;">Capri ha ispirato anche la narrativa e la letteratura. Dai romanzi di Alberto Moravia alla poesia di Salvatore Quasimodo, l'isola è stata spesso descritta come un luogo magico ed enigmatico, in cui s’intrecciano eleganza, mistero e intrigo.
Come non visitare i giardini di San Michele, creati dallo svedese Axel Munthe, i giardini della Certosa di San Giacomo o via Camerelle o la famosa Piazzetta, Anacapri, Villa Jovis, residenza di Tiberio in cima a Monte Tiberio.
Capri, una meta turistica che non delude mai. La sua bellezza naturalistica, la sua posizione geografica e l'inaspettato fascino che ha esercitato su molti autori famosi sono solo alcune delle ragioni per cui questa piccola isola incanta i visitatori che vi si recano. Una tappa obbligata per chi desidera immergersi in un paradiso idilliaco che affascina da secoli. E il desiderio di andare sull’isola non è solo per chi viene da fuori, gli stessi abitanti della terra ferma si recano spesso a Capri, una tappa quasi obbligata per tutti. In ogni stagione ha qualcosa da offrire e cose da scoprire.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> Commenta...</div>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-52783935859002661142024-01-10T01:30:00.000-08:002024-01-10T01:30:39.301-08:00Un altro anno<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiAMeAj8pjQiYwqRXAVvFH56KWJFlL9MzFjqSNZrx3xTkeGn9YnXqjT116q397AkZPdnL8tfKgIp6ieSZOScvFIiCqG1i0_uKPGyBPXnHZY6_VGSHMQ6oKyuRWBWNJZ3DGW0yFM-V5NwePEpObeYNqHmYa36HNmC3HuVW8cHI-kh3y0tWJXJz8UIr3XL_E" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="707" data-original-width="563" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiAMeAj8pjQiYwqRXAVvFH56KWJFlL9MzFjqSNZrx3xTkeGn9YnXqjT116q397AkZPdnL8tfKgIp6ieSZOScvFIiCqG1i0_uKPGyBPXnHZY6_VGSHMQ6oKyuRWBWNJZ3DGW0yFM-V5NwePEpObeYNqHmYa36HNmC3HuVW8cHI-kh3y0tWJXJz8UIr3XL_E=w318-h400" width="318" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Un altro anno è andato e più che
eventi mi ha lasciato l’eco dei sentimenti maggiormente ravvisati nelle persone
che ho incontrato o che ho avuto modo di osservare. Da un certo punto in poi gli
anni volano inesorabilmente. Una volta ricordavo il fatto, il lavoro svolto, le
vacanze, ora ricordo le relazioni, i rapporti con gli altri, i loro comportamenti,
e come la vita trasforma cose e persone. Ricordo le espressioni, le parole dette,
le emozioni provate, come mi sono sentita dopo una situazione vissuta
intensamente, cosa avrei voluto esprimere e non ho detto o le parole di troppo
che si potevano evitare. Credo sia dovuto all’esperienza che sposta l’asse
della nostra vita in continuazione, illudendoci di conoscerla ormai bene. Ci
rende forti in alcune cose e ci fa soprassedere su altre cui forse un tempo
davamo molta importanza, mentre oggi leggiamo gli stessi eventi diversamente.
Ricordo le persone e i loro giudizi, le loro espressioni piacevoli o quelle di
mancata accoglienza, chi ha detto cosa e perché. Con la parola “esperienza”
racchiudiamo un bagaglio di vita che immaginiamo ci possa aiutare in futuro. Impariamo
a tollerare ciò che non ci piace o chi non la pensa come noi che non significa
accettare tutto incondizionatamente. Impariamo che le persone si avvicinano soprattutto
nel bisogno, i nostri pregi possono diventare difetti. E raramente ricordiamo un
rapporto scevro da interessi mentre abbondano i ricordi di chi fa il discorso
del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">do ut des</i>, anche da chi non ci
aspettavamo. Non lo esprimono solo a parole, spesso lo manifestano con i fatti.
E in questi malintesi, incomprensioni, divergenze di opinioni si perdono
amicizie, nascono equivoci, s’inficiano rapporti.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">L’orgoglio e subito dopo la
superbia sono gli aspetti negativi più spesso riscontrati quest’anno. Il primo
fa notevoli danni con la convinzione di non dover chiedere mai, di non aver
bisogno degli altri, di non palesare ciò che si prova, di non doversi spiegare:
sarebbe come manifestare le proprie debolezze. Un’armatura di cui ci bardiamo
alla prima difficoltà. La superbia, dall’altra parte, è sempre ben mascherata,
ma sotto una finta umiltà svetta come un trofeo, straborda in modo smisurato e chi
la mostra, crede di aver acquisito una tale meritata posizione od onore, da non
vedere più gli altri. Quanti rapporti stentano a procedere o sono burrascosi
solo per le convinzioni in cui ci trinceriamo. Quante volte pur pensandola come
gli altri ci mostriamo riottosi per il gusto di contraddire. La superbia ci fa
credere migliori e infallibili. Ma ho conosciuto, allo stesso tempo, anche se
in minoranza, persone che sanno riconoscere e apprezzare negli altri aspetti
positivi e valorizzarli. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">In giro vedo gente che ha solo
bisogno di sentirsi benvoluta, ma al cospetto degli altri presenta la parte peggiore
di se stessa. “Mai mostrare le nostre pene, gli altri prenderebbero il
sopravvento su di noi”, frase<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che
abbiamo appreso da chi può sembrare più saggio di noi. Ma se ci mostriamo per
quello che siamo, non sarebbe più facile? Come fai a spiegare a tutti i tuoi
stati d’animo, quello che soffri, quello che ti opprime, ciò che ti fa male?
Non capirebbero, questa è la risposta. Non capirebbero perché sono diversi da
noi o perché siamo noi che abbiamo paura dell’impegno di essere noi stessi fino
in fondo? O forse siamo scaramantici: lamentandoci non siamo presi di mira,
potrebbero metterci gli occhi addosso.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La vita è fatta così, costruiamo il nostro
mondo interiore contrapponendoci a quello esterno, una sorta di lotta che nel
tempo monta ancora di più, nonostante l’esperienza. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Altra risonanza dell’anno appena
passato è la mancanza di dialogo. Confrontarsi è l’unica cosa necessaria per
stare con gli altri. Milioni di rapporti saltano perché l’unico dialogo
preferito oggi è quello con se stesso, presumendo di avere tutte le risposte,
pure quelle degli altri.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">La presunzione è l’altro aspetto più
ricorrente così l’invidia e l’indifferenza. L’incontro con gli altri deve
avvenire su un terreno nuovo, dove mettendo forze insieme, si costruisce
qualcosa di unico e di cui c’era bisogno. Questo vale per ogni tipo di rapporto.
Dove non c’è il “noi” vive solo l’egoismo. L’esperienza è ciò che resta di
questo tempo rapido e ingordo, che non va mai bene per il futuro, ma
sicuramente ci fa stare in pace col passato. A volte una disamina di quello che
abbiamo vissuto l’anno precedente può essere l’unico buon proposito per l’anno
appena iniziato.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-53308118882228576462023-12-20T12:24:00.000-08:002023-12-21T11:06:38.899-08:00Caffè con l'anice<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU-R-wEJ5D4TELRiApfxHe3SGWx7PRU9fDQsvov9RHCV0ThyphenhyphensTbQgvFCHXs3t2__0dBYZPN0WJnttAt7tI1GEdj177jjs7ioZXg9w4_kLfbGFlujEc3mUS4_dmusdkRr1MXmTVwWio003qezG0ctK8sARvzmrYDm22BG7eLT1sd024Zh1hIPPu4WfxZbM/s448/411839394_1591334944938489_6919419352928993546_n.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="376" data-original-width="448" height="336" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU-R-wEJ5D4TELRiApfxHe3SGWx7PRU9fDQsvov9RHCV0ThyphenhyphensTbQgvFCHXs3t2__0dBYZPN0WJnttAt7tI1GEdj177jjs7ioZXg9w4_kLfbGFlujEc3mUS4_dmusdkRr1MXmTVwWio003qezG0ctK8sARvzmrYDm22BG7eLT1sd024Zh1hIPPu4WfxZbM/w400-h336/411839394_1591334944938489_6919419352928993546_n.png" width="400" /></a></div><br /><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: large; line-height: 115%;">Mia nonna di mattina, nelle
fredde giornate di dicembre, mentre io ero ancora assonnata con lei in cucina,
mi parlava come se accanto avesse avuto un’adulta. Beveva il suo caffè con
l’anice e mi preparava il latte caldo. Il freddo mi faceva chiudere le braccia
intorno alle gambe tirate sulla sedia, davanti al camino scoppiettante e, muta,
aspettavo di avere la mia tazza in mano. Il profumo di anice mi
svegliava dopo averne bevuto un po’. Il calore però era dato dalle sue parole,
dai suoi discorsi, lenti, sereni, continui, come musica per le orecchie. Quando
diceva cose interessanti, ascoltavo con più attenzione. Poi, vedendomi a lungo rannicchiata
su me stessa e silenziosa, diceva che, per scacciare il freddo, ci voleva
qualcosa di caldo così come il buono allontana ciò che è cattivo. “Perché il freddo non può scacciare il caldo, così
come il cattivo col buono?” le chiesi. Era un po’ un nostro gioco. Lei mi
parlava di tutto e sapeva che alla fine giungeva la mia domanda, cui non
mancava mai risposta da parte sua. Affermava che, avviato il processo, non
potevi tornare indietro. Nessuno, teneva a dire, in una giornata gelida, mentre
si sta scaldando, preferisce tornare al freddo, così come se si trova nella
condizione di bonomia, non può diventare cattivo. Poi passava a farmi degli
esempi dicendo che delle due condizioni, di una ne senti il peso, dell’altra
la leggerezza, per cui chi vuole stare sotto un macigno? Dopo questa risposta,
mi trovavo nella condizione di macigno, per dirla secondo il suo esempio,
provavo ancora freddo e aspettavo il latte caldo. Lei, nel frattempo,
continuava a parlare, facendo altri esempi. Io la ascoltavo volentieri. Forse
mi piaceva il suono della sua voce con quella modulazione di tono dolce e
convincente, di chi impartisce una lezione ma senza darlo a vedere. Ripensavo
alla parola “macigno”, non l’avevo mai sentita prima di allora, e ne analizzavo
le lettere, il significato, la stessa pronuncia. E me lo immaginavo addosso,
senza possibilità di alzarmi. Col viso simulavo una smorfia di sforzo. Allora
non conoscevo ancora il mito di Sisifo che trasportava il masso in cima alla
montagna. Il peso rotolava a valle e Sisifo con grande fatica lo riportava in cima. Il mio pensiero si fermò al macigno, come se
quella mattina mia nonna mi avesse caricato il masso di Sisifo sulle spalle.
Nel fuoco scoppiettante, con lo sguardo fisso e immobile, vedevo pesi di tutte
le forme. Solo quando mi arrivò il latte bollente tra le mani, in una tazza
fumante, cominciai a sciogliermi e guardai mia nonna in viso. Lei, vedendo che
avevo acquistato un po’ di colore sulle guance, mi disse che di lì a poco avrei
fatto anche bei pensieri. Sono ricordi nitidi, accompagnati da profumi,
sensazioni ed emozioni di allora. Da quel giorno mi chiedevo spesso se fossi
leggera o avessi un peso. Quando avevo un cattivo presagio, una paura,
un’ansia, un pensiero fisso, mi si presentava il macigno che mi rendeva tutto buio,
freddo e brutto. Se, al contrario, ero allegra, spensierata, con idee buone e
positive, ero leggera. Quella conversazione in cucina con mia nonna, in una
mattina di dicembre, all’avvicinarsi del Natale, diventò una lezione importante.
Il nonno mi ripresentò l’argomento un pomeriggio di alcuni giorni dopo, quando
diede mano a sfoltire dei rami di alberi un po’ malandati. Alla fine del lavoro
disse: “Ecco, abbiamo tolto tutto il peso”. E io gli chiesi se quelli fossero macigni. Mi
rispose che tutto ciò che all’albero non serve, lo deve perdere. Se fosse
rimasto con quel peso in più addosso, non avrebbe dato il meglio di sé</span><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: large; line-height: 115%;">. Solo molto tempo dopo, in età adolescenziale, capii
che i macigni stanno dentro e i pesi non sono le cose che trasportiamo con le
braccia ma ciò che ci opprime. L’anice mi ha riportato il ricordo e la saggezza
di mia nonna che era solita dire che dobbiamo fare pulizia continuamente, liberarci
da tutto ciò che ci fa stare male. Non sempre è facile ma spesso è necessario fare
ordine nelle nostre stanze interiori e nella nostra vita.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="line-height: 0%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="line-height: 0%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">Commenta...</p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: medium;"> </span></o:p></span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-69137623318357171922023-12-15T08:12:00.000-08:002023-12-15T08:12:59.652-08:00Giuda<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiQs5zgtefm-HjGMf6CFQ4pF0qlZb-TF96Clp0YVunhvHla39YD3ghp-H9N3B8ov65kHd3nhN-ZjWpygWC_Bp6spQVA0d3h8M1b1zuIFQdMK7c2xOSPzlR7drC5NGBe5itSoICcngMjXaFT7WrFYUXjgceqIhMbWRPxVAruWBGQiT2ir1kdSGGMhyu6wjQ" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="732" data-original-width="468" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiQs5zgtefm-HjGMf6CFQ4pF0qlZb-TF96Clp0YVunhvHla39YD3ghp-H9N3B8ov65kHd3nhN-ZjWpygWC_Bp6spQVA0d3h8M1b1zuIFQdMK7c2xOSPzlR7drC5NGBe5itSoICcngMjXaFT7WrFYUXjgceqIhMbWRPxVAruWBGQiT2ir1kdSGGMhyu6wjQ=w255-h400" width="255" /></a></div><br /><div style="text-align: left;"><br /></div></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;">“Giuda” di Amos Oz è un romanzo da non perdere, quanto mai attuale. Durante la lettura non c’è un solo momento di noia. È interessante sul piano narrativo, storico e psicologico.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;"> La storia è collocata tra il 1959 e il 1960 a Gerusalemme, con un giovane protagonista, Shemuel Asch, iscritto alla Facoltà di storia e scienze delle religioni. Ancora preso dai fatti</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;"> accaduti dieci anni prima nella sua città, sceglie come tesi di dottorato “Gesù visto dagli ebrei”. Ma a causa di un dissesto finanziario della famiglia è costretto a lasciare gli studi.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;"> Per giunta è stato appena lasciato dalla sua ragazza, andata in sposa al suo primo amore. E avrebbe lasciato Gerusalemme se non avesse letto nella bacheca dell’ateneo l’annuncio di un impiego presso un anziano uomo, bisognoso di compagnia ma soprattutto di conversazioni. Shemuel accetta e prende lavoro presso Gershom Wald. L’approccio con la casa e la famiglia è alquanto diffidente. Aleggia tra quelle quattro mura una sensazione di mistero alimentata non solo dall’anziano uomo, un professare settantenne, colto e logorroico, acceso conversatore che intrattiene discorsi a telefono con gli amici e con Shemuel, ma anche dalla presenza di Atalia, una giovane donna che vive lì, di cui il ragazzo non capisce il legame con l’uomo. Le sue mansioni sono di imboccare il paziente e conversare con lui per una parte del giorno. Shemuel approfondisce, con grande fatica, la conoscenza della donna, una quarantacinquenne da cui si sente attratto, scoprendo che è la nuora del vecchio, moglie del figlio morto. Atalia contrariamente al suocero è taciturna e solitaria.
Intanto Shemuel continua le sue ricerche per la tesi e s’infittiscono le conversazioni col vecchio proprio sugli argomenti da trattare. La storia procede con la trama e con i fatti storici del paese coniugando i due aspetti in una perfetta fusione. Il romanzo è un approfondimento della questione palestinese. Con lucida analisi Oz fa una disamina attenta e precisa partendo dal cristianesimo visto dagli ebrei, e dal traditore per antonomasia: Giuda. E’ la storia di questo tradimento e del tradimento in genere. Giuda Iscariota diventa così il primo vero cristiano, chi ha creduto fino alla fine in Gesù come figlio di Dio spingendolo alla crocifissione per manifestarsi agli altri. L’autore afferma che Giuda Iscariota non poteva vendersi per trenta denari, era ricco a differenza degli altri apostoli e non si sarebbe prestato a niente se non mosso da un sentimento vero verso Gesù. Giuda è quindi l’ideatore, l’organizzatore, il regista e il produttore del dramma della crocifissione. “Chi è pronto al cambiamento, chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno paura da morire del cambiamento”. Shaltiel Abrabanel, padre di Atalia, aveva un bel sogno e per questo sogno, dice l’autore, lo hanno chiamato traditore. L’aspetto più prettamente storico dei fatti è dato proprio dal personaggio di Abrabanel, un sognatore che vedeva il mondo senza confini con la convivenza tra ebrei e arabi in uno stesso territorio. Una concezione vista dall’autore come unica possibile, capace di attutire il male che devasta quei territori. Al contrario, chi vaneggia la costituzione di uno Stato all’interno di un altro, dettato da ideologie e fanatismo, non può che portare a un odio eterno spargendo sangue all’infinito. Lo stile affascina quanto la trama e la storia. L’autore ci conduce lentamente, tra il misterioso e lo spirituale, attraverso i personaggi, combinando con maestria i fatti su più piani, nell’attesa che qualcosa porti alla verità. E come sembra avere la risoluzione al problema, poi torna sui suoi passi e lascia il lettore in una serie di domande. La questione non è in un senso o nell’altro, è piuttosto una commistione di fatti e punti di vista ciascuno con effetti collaterali per cui è difficile trovare una risposta univoca. Alla fine lascia una sensazione di maggiore conoscenza sulla questione rispetto all’inizio della lettura ma anche uno stato di smarrimento, come se non ci potesse essere alcuna soluzione valida per tutti ma solo un compromesso cui attenersi. Ogni parte dovrebbe perdere un po’ delle proprie pretese e accogliere le richieste altrui. Lo stesso Shemuel alla fine non sa più quale strada intraprendere: “Shemuel conosce la caducità delle illusioni, ma stenta a trovare un cammino alternativo, un senso al suo vivere e al suo essere ebreo”. Non sa dove andare e alla fine la risposta non arriva da nessun altro se non da se stesso.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-size: large; text-align: justify;">Commenta...</span></div>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-42695861145659324172023-12-04T03:20:00.000-08:002023-12-04T03:26:46.448-08:00Violenza contro le donne<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEh_mlVQFdc6CjFzi3ctN_Ag9cIE7c4X4GGwEvR-SEdM_3VdSWCzZUVcKuf0g9SILW2fKhjpUcMdKE02mZ_WLcyb9y9pqWVkj--x0pHQo7Nt8yq4D4GznoCaYweQWkd1H1YnB5UUXLcTDGkEYifHCS2HCRD0-ze5TNN2PINt-EKkUimWEHw62tcksMOKZuM" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="960" data-original-width="1280" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEh_mlVQFdc6CjFzi3ctN_Ag9cIE7c4X4GGwEvR-SEdM_3VdSWCzZUVcKuf0g9SILW2fKhjpUcMdKE02mZ_WLcyb9y9pqWVkj--x0pHQo7Nt8yq4D4GznoCaYweQWkd1H1YnB5UUXLcTDGkEYifHCS2HCRD0-ze5TNN2PINt-EKkUimWEHw62tcksMOKZuM" width="320" /></a></div><br /><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Nell’ultimo bollettino di
guerra del femminicidio l’Italia con 106 omicidi dall’inizio dell’anno si colloca
in una posizione di poco migliore rispetto agli altri paesi europei. Se
contiamo gli omicidi negli ultimi quattro anni, 600 circa, la media è un
femminicidio ogni due giorni. E per paradosso si muore di più nei cosiddetti
paesi ad alto indice di felicità e vita comoda.
Una classifica che fa
rabbrividire, una guerra silenziosa, ma continua. In Inghilterra, dopo l’uccisione
di Sarah Everard, il 3 marzo del 2021, in un parco a sud di Londra, per mano di
un poliziotto fuori servizio, che alle 21.00 preleva la vittima e la porta in
un bosco fuori città, dove la violenta e poi la uccide, c’è un punto di non
ritorno. L’opinione pubblica inglese è rimasta scossa. Nel mondo la situazione
non è migliore. In Giappone e Oceania abbiamo parametri che si possono
sovrapporre a quelli europei, ma per tutta l’Asia, la Cina, gli omicidi sono
all’ordine del giorno. Così anche in Africa, America latina col Brasile e in
quella del nord col Messico</span><b><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">.</span></b></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">La violenza domestica è
aumentata durante la pandemia, mentre una donna su tre subiva violenze prima
della pandemia, dopo i casi sono aumentati del 20% durante il primo lockdown.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Per femminicidio s’intende,
secondo il vocabolario: Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico e psicologico, fino alla schiavitù o alla morte".</span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">In una
buona parte dei casi tra autore e vittima esiste una relazione sentimentale. Le
donne muoiono nell’ambito familiare, proprio in quell’ambiente che dovrebbe proteggerle
di più. L’arma prevalentemente utilizzata è un’arma da fuoco e subito dopo
un’arma da taglio. Ciò che colpisce è l’accanimento dell’uomo sul corpo della
vittima esanime, continuando a ferirla soprattutto al cranio, quando non decide
di darla alle fiamme o sfregiarla ulteriormente. In quasi la metà dei casi
presi in esame, è lo stesso autore del femminicidio a dare l’allarme. Le cause
scatenanti sono: il basso livello d’istruzione, l’aver subito violenza da
bambino, aver assistito a scene di violenza familiare, abuso di alcool, accettare
la violenza come fatto culturale. La gelosia tra i motivi scatenanti.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">L’autore del femminicidio teme
di perdere la propria autorità e il proprio dominio e pertanto esige il
controllo sugli altri. C’è poi chi è incapace di concepire l’autonomia altrui, vista
come una minaccia di abbandono e per questa ragione si trova in uno stato di
dipendenza. Chi necessita un continuo rinforzo di autostima dall’esterno e si
abbandona a reazioni d’ira in caso di critica. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Il femminicidio è punito, come
l’assassinio di un uomo, ai sensi dell’art. 575 del Codice Penale, con una pena
non inferiore a ventuno anni di reclusione. A questi possono aggiungersi le
aggravanti.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Con l’adozione del Codice rosso
sono state apportate delle modifiche: il provvedimento di allontanamento dalla
casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla
persona offesa. Si punisce l’induzione a contrarre matrimonio con violenza e la
diffusione illecita d’ immagini o video sessualmente espliciti senza il
consenso delle persone rappresentate, con la reclusione da uno a sei anni e con
la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La pena è aumentata se i fatti sono
commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata
legata da relazione affettiva alla persona offesa. È inoltre aumentata da un
terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione d’inferiorità
fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. È punito poi chiunque
cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo
sfregio permanente del viso con la reclusione da otto a quattordici anni. L’uomo,
più frequentemente della donna, non riesce a rassegnarsi alla perdita
dell’oggetto d’amore, lo vive come la perdita di una proprietà e non di un
affetto. Si pretende un dominio totale sull’oggetto d’amore. C’è poi chi avanza
l’ipotesi che dietro gli incidenti domestici si nascondano veri e propri
femminicidi, fatti passare per incidenti mortali domestici, rendendo ulteriormente
invisibile il problema della violenza contro le donne.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Nonostante i notevoli passi avanti,
da quel lontano anno 1960/61, quando vigeva l’articolo 587 del Codice penale,
dell’omicidio e lesione personale a causa d’onore”, soppiantato dalla sua
abrogazione nel 1981 così anche il matrimonio riparatore, la donna muore oggi più
di ieri, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-64646600682044354232023-11-18T03:16:00.000-08:002023-11-18T03:16:11.464-08:00Ieri come oggi<p> </p><p><br /></p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP5F1y_Zu8hmoV_XpaCpMK1-GgwcXj-kIN3AMFavAGde1fNVQ_6gaZ3YdlMw3Vr1sQFTFbauyit14QtRzvKKjFs23JTMqxpKzGTgt2z4nu-SIHNyTuyabQXZ7qIG1j9sXc99gQ3ZlhW4p-buNdSJ_ZDFwnBzG-Yy8pIJAewWenFBHGWFI_93Shgl5APU4/s2560/Emanuela20e20Cortellesi%2520@LUISACARCAVALE_DSC1189.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="2560" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP5F1y_Zu8hmoV_XpaCpMK1-GgwcXj-kIN3AMFavAGde1fNVQ_6gaZ3YdlMw3Vr1sQFTFbauyit14QtRzvKKjFs23JTMqxpKzGTgt2z4nu-SIHNyTuyabQXZ7qIG1j9sXc99gQ3ZlhW4p-buNdSJ_ZDFwnBzG-Yy8pIJAewWenFBHGWFI_93Shgl5APU4/w400-h225/Emanuela20e20Cortellesi%2520@LUISACARCAVALE_DSC1189.webp" width="400" /></a></div><br /><p><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;">Il film </span><b style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;"><i>C’è ancora domani</i></b><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;"> di Paola
Cortellesi,</span><b style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;"><i> </i></b><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;">ambientato nel dopoguerra</span><i style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;">,</i><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 18pt; text-align: justify;">
non aggiunge niente di più allo stato attuale delle cose per quanto riguarda la
condizione delle donne nella società.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">La protagonista, Delia, è una
donna moderna, che manda avanti la famiglia, la casa, i figli, lavorando più
del marito, senza mai perdere la speranza che qualcosa cambi. E la speranza la
intravede proprio in quel 2 giugno 1946 quando le donne, per la prima volta
nella storia, ebbero la possibilità di esprimersi con il voto. Alla situazione
descritta nel film, si aggiunge oggi l’ipocrisia. Ci sono uomini,
apparentemente gentili, (ma non onesti) nei confronti delle donne, che nascondono
gli artigli della manipolazione, da ricondurre a un mondo che li vede
protagonisti. Ci sono ancora consuetudini che riportano al medioevo come quando
una donna si sente dire: “Ma lei è la moglie di… la sorella di… la figlia di…” Per
dire che da sola non vali niente e hai bisogno di un supporto, di un nome, di
una famiglia, senza la quale non conti. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’emancipazione
non è solo quando la donna fuma o guadagna, ma se può esprimere ciò che pensa liberamente,
quando è ascoltata, capita, non giudicata, quando un suo errore è visto con
umanità e non una violenza fatta al mondo intero. Nella maggior parte dei casi
l’uomo è il direttore d’orchestra silenzioso che la costringe, con coercizione,
a fare ciò che vuole. Delia, sopporta una serie di soprusi da cui ogni giorno
deve difendersi. La figlia le chiede il motivo per cui non si ribella a quella
vita e lei risponde: “E dove vado?” che non è la paura di non avere un luogo dove
andare o come mantenersi economicamente, ma quella di lasciare una vita
costruita insieme a un’altra persona, perdere la propria casa, ruolo, affetti, quel
mondo che le gira intorno, all’interno di una famiglia per la quale ha speso tutte
le sue forze, rinunciando a tante altre cose. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">Pur subendo violenza, in lei c’è
una forza rigeneratrice, materna, fatta di generosità e speranza. Delia è la
donna di ieri e di oggi. E’ cambiato poco rispetto al passato e il periodo
storico è solo un pretesto, all’interno del film, per ancorare il discorso da
qualche parte, facendo emergere che se quella era la condizione della donna
prima del voto, oggi non è cambiata nonostante il diritto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al voto. Una sottigliezza che ci dice che i
diritti acquisiti non ci difendono dalla violenza o a dall’usurpazione, dalla
sopraffazione, dalla prevaricazione, dalla prepotenza, dall’indifferenza dell’uomo.
Concetti astratti fatti di sfumature che facilmente si possono eludere in sede
legale, quando i paroloni poc’anzi menzionati, possono assumere tutt’altra
considerazione, se non l’opposto di quello che significano. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Delia vive col suocero in casa che le dice di
avere la lingua troppo lunga, con un marito che non conosce altro che la
violenza e legge la realtà come qualcosa da domare e non da comprendere. Oggi
c’è ancora l’uomo che crede che la donna abbia un’intelligenza minore, fatta
per essere solo bella e servizievole, senza sogni, interessi, passioni, con
l’unica vocazione di arruolarsi in casa dietro ai fornelli, in giro a ordinare
e preparare nell’attesa dei pranzi e cene, con potere decisionale minimo, inceppata
nella risoluzione di un problema. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">Delia è una mamma attenta, una
donna che sopporta tutto pur di andare avanti e guardare al futuro. A volte c’è
bisogno di un atto rivoluzionario per cambiare le cose e lei s’inventa un modo
per dare alla figlia l’opportunità di scegliere il suo domani ed evitargli un marito
come il suo. Storicamente parlando tutte le donne hanno vissuto quello che
Delia mostra nel film, ciascuna si è vista in quelle azioni, anche quelle mancate,
in quelle situazioni, umiliazioni, circostanze. Delia è la condizione della donna
nonostante l’emancipazione, i diritti, la cultura, il potere, il denaro. Si
vive meglio con poco ma riconosciuto che con troppo e che toglie il dovuto. Delia
ogni giorno prende la sua dose di mazzate dal marito, per futili motivi, come
bruciare le patate, inciampare e rompere il piatto con i dolci o fare tardi per
il pranzo. Qualcuno dice che oggi l’uomo non picchia più. Ne siamo sicuri?
L’uomo non picchia la donna quotidianamente ma la uccide in modo continuato, non
solo ammazzandola ma ferendola costantemente, ed è questa la differenza. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">Nel tempo la donna è
cresciuta, dimostrando di saper fare sempre di più. E proprio questa sua
espansione propositiva e resilienza spaventano l’uomo, rimasto a guardare, tutt’al
più suo ammiratore, che davanti ai suoi successi si sente sopraffatto e
fragile, fino ad avversarla.</span><span style="font-size: 18.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-83764111003609128042023-11-04T09:16:00.000-07:002023-11-04T09:16:53.786-07:00Al largo di Santa Cruz presentato a Piano di Sorrento<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnOrTrQ0ISLVuO-1c8Hk6z52arJl3HYfAkqXYBbPggXlGteTzzTNyuktTtKVeB2gXGvzOH9qlo6e7ZSINdy7xaDFRl_hcFq98bR-niSsvQY8BUHJIU97nUAZnMJP5JqamZM8MCCxTtIHzsI7-74dmIGBp0HUyN3iSUko8RdWzNn67qn74AT69HOG1tacw/s2048/387566085_870428837882037_8427623429203471100_n%20(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnOrTrQ0ISLVuO-1c8Hk6z52arJl3HYfAkqXYBbPggXlGteTzzTNyuktTtKVeB2gXGvzOH9qlo6e7ZSINdy7xaDFRl_hcFq98bR-niSsvQY8BUHJIU97nUAZnMJP5JqamZM8MCCxTtIHzsI7-74dmIGBp0HUyN3iSUko8RdWzNn67qn74AT69HOG1tacw/w480-h640/387566085_870428837882037_8427623429203471100_n%20(1).jpg" width="480" /></a></div><span style="font-size: medium;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Ieri sera, nella Sala Consiliare Comunale di Piano di Sorrento, è partita la rassegna letteraria "I venerdì...in Comune". Un programma di appuntamenti che si terranno tra novembre 2023 e febbraio 2024. Ad aprire la rassegna il mio romanzo "Al largo di Santa Cruz", Hanta Edizioni, una storia di mare in un luogo di grande tradizione marinara. </span>A presiedere l'incontro il Vicesindaco e Assessore alla Cultura Giovanni Iaccarino. Relatrice della serata la scrittrice Annamaria Farricelli, mentre i brani scelti sono stati letti dall'attore Gigi Ferraris, con intermezzi musicali della ballerina Erika Aiello.</div><div style="text-align: justify;">La relatrice si è inoltrata nei meandri della storia presentando i protagonisti, le tematiche e i fatti rilevanti. Gli approfondimenti sono stati fatti in relazione ai brani letti. Tra i discorsi affrontati quelli della vita di un uomo di mare lontano da casa, le sue assenze, i ritorni, i mutamenti che il tempo porta quando, al ritorno trova realtà diverse da quelle lasciate. Molto si è detto anche delle donne di queste famiglie, a cui gli uomini lasciano la gestione della famiglia. Esse mostrano una forza d'animo nel governare la casa e allevare i figli da sole, rivelandosi instancabili. Nel complesso la gente di mare è portata ad abbracciare la via del mare per lavoro e passione mista a tradizione, attirata da quell'orizzonte su cui poggiano i sogni e da quella profondità di acqua che assomiglia tanto alla complessità dell'animo umano.</div><div style="text-align: justify;">In sala presenti alcuni naviganti, qualcuno si è avvicinato chiedendomi come si possa scrivere un testo sul mare se non lo si attraversa. Alla base forse il pregiudizio che una donna non possa affrontare argomenti da uomini ma attenersi solo al sentimentalismo, per quanto un uomo, invece, possa scrivere di ogni tipo di realtà.</div><div style="text-align: justify;">Li ho rassicurati con la letteratura che fornisce mezzi molto potenti con libri di autori quali Joseph Conrad, Herman Melville, Ernest Hemingway, Robert Louis Stevenson, Patrick O'Brien, veri maestri di mare, capaci di alimentare conoscenza e passione. Un argomento lo si apprende anche in altri modi: con i racconti e le confidenze di persone del mestiere, con storie ascoltate o lette di vita vera, con la realtà che abbiamo sotto gli occhi e analizziamo. E ci si dimentica della principale capacità di chi scrive: l'empatia, che significa comprendere o sentire ciò che un'altra persona sta vivendo, cioè la capacità di mettersi nei panni di un altro. Ai discorsi si sono alternati i balletti di Erika Aiello, giovane insegnante di danza che ha incantato il pubblico. <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;">Commenta...</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br />filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-24307471281568741412023-11-02T10:54:00.002-07:002023-11-02T10:54:36.687-07:00 A Piano di Sorrento con "Al largo di Santa Cruz"<p><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-size: large;">Domani, <b>venerdì 3 novembre 2023, alle ore 17.00</b>, sarò a <b>Piano di Sorrento</b>, nella Sala Consiliare del Comune, per presentare il mio ultimo romanzo" <b>Al largo di Santa Cruz"</b>.</span></p><p><span style="font-size: large;">Con me ci saranno <b>Annamaria Farricelli, </b></span><b><span style="font-size: x-large;">Gigi Ferraris, </span><span style="font-size: x-large;">Erika Aiello</span></b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf2WWb4nxUJ8oiXEKs_lHs-IQLtfpgODwywzRyscr5qAg0UFPMyf64Qlp65KEmajSS-K7JNQKNVlCvj7StLqArmmEJN4wiKTeAPQHFrvPFmYO9S20WaGxpjgiuUTd0dBIrONcDvIZVnze8NxcpTuDRV6WAKn64ArB2k6dCHp6KP7Lv5nXt6NE6OXrR9tY/s1920/387566088_716949446529236_5532359998285301701_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="1920" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf2WWb4nxUJ8oiXEKs_lHs-IQLtfpgODwywzRyscr5qAg0UFPMyf64Qlp65KEmajSS-K7JNQKNVlCvj7StLqArmmEJN4wiKTeAPQHFrvPFmYO9S20WaGxpjgiuUTd0dBIrONcDvIZVnze8NxcpTuDRV6WAKn64ArB2k6dCHp6KP7Lv5nXt6NE6OXrR9tY/w662-h267/387566088_716949446529236_5532359998285301701_n.jpg" width="662" /></a></div><br /><span style="font-size: medium;"><br /></span><p></p><p><span style="font-size: medium;"><br /></span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-84125612783306854012023-10-09T04:19:00.005-07:002023-10-09T04:19:38.314-07:00I colori e le storie del Senegal di Umberto Astarita<p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgp5ppp4WDYrYu-TD8sdXIpJhS3lXAYPS7Sy-zxL43kgu6XCoDUghyC96yCiybLCPL9H9MBbXFCAHun7Llk2EOeH8MQGQgQRo7k2nxv1I5LnwpqAaO5ZCdjs5QxkMhL-MjTcK1Sqg7RBajv4uAJjrlFJwc4srGdGXmmLiInGpB7MvEq_hCiccePrNALIsM" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="2016" data-original-width="1512" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgp5ppp4WDYrYu-TD8sdXIpJhS3lXAYPS7Sy-zxL43kgu6XCoDUghyC96yCiybLCPL9H9MBbXFCAHun7Llk2EOeH8MQGQgQRo7k2nxv1I5LnwpqAaO5ZCdjs5QxkMhL-MjTcK1Sqg7RBajv4uAJjrlFJwc4srGdGXmmLiInGpB7MvEq_hCiccePrNALIsM=w300-h400" width="300" /></a></div><br /><br /><p></p><p><br /></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Fresco di stampa <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">I
colori e le storie del Senegal</i></b>, opera prima di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Umberto Astarita</b> per <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Hanta Edizioni</b>.<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">E’ un prezioso testo in cui si
coniugano immagini e scrittura per raccontare le esperienze dei viaggi che
l’autore ha compiuto in Senegal, in diversi anni, per l’Associazione “Energia
per i Diritti Umani”.<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Un’indagine introspettiva
attraverso l’obiettivo dove i protagonisti sono i bambini, le donne, gli
animali, i luoghi, i bisogni, i giochi, in una giostra di colori, sorrisi,
sguardi, orizzonti, vita in riva al mare. E le immagini non bastano, l’autore
ha necessità di raccontare cosa si cela dietro ad ogni foto. Si percepisce il
tempo che precede lo scatto, gli accadimenti prima dell’immagine, la realtà
nascosta dietro ai fatti. Dalla foto al racconto tutto diventa più chiaro. Emerge
la bellezza dei bambini col loro sorriso, cui basta poco per dare forma ai giochi,
la semplicità della loro vita, la lentezza dello scorrere del tempo, il mare
col suo orizzonte, richiamo continuo verso luoghi lontani. Si raccontano storie
di uomini e donne, di speranze e di amicizia, di solidarietà e condivisione. Le
immagini sono solo una prima lettura che cattura l’occhio, la seconda avviene
entrando nelle storie, in un contatto diretto con la vita del paese. Il
Senegal, sulla costa occidentale dell’Africa, diventa il protagonista del libro
mostrandosi nella sua viva espressione con le descrizioni di mare, luoghi,
abitudini, usi e costumi, e le difficoltà che si vivono quotidianamente anche
per le azioni più semplici. E’ inevitabile il confronto con i paesi più ricchi,
con le nostre vite, con le nostre convinzioni. Un’esplorazione geografica e
umana, dove s’incontrano personaggi raccontati con brio, ogni immagine, un fatto
accaduto, in cui il lettore entra in un percorso a volte umoristico, altre
malinconico, e poi allegro o anche triste. I bambini e le donne hanno un posto
di rilievo all’interno del libro, con le loro storie che coinvolgono lo stesso
autore. Si racconta soprattutto di fatti per portare a compimento le iniziative
per migliorare le condizioni del paese.<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Un testo piacevole senza età,
dove ogni immagine pone il lettore davanti alle domande della vita. <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Umberto Astarita nasce a Sorrento
e sin da giovanissimo manifesta interesse per le materie artistiche. La
fotografia è la sua vera passione unita alla pittura, arti respirate già all’interno
della sua famiglia. La sua attività di fotografo, nasce in seguito al dono di
una macchina fotografica che lo porta a intraprendere, in seguito, la
professione di fotografo dopo gli studi. Ha esposto i suoi scatti in importanti
mostre a cominciare dal 2012 a Sorrento dal titolo “Portami in Africa”; nel
2014 a Castel dell’Ovo a Napoli, dal titolo “Sensi e azioni”; nel 2015 al Museo
Pan di Napoli dal titolo “Sorsi di vita” e nel 2019 a Piano di Sorrento “Luci e
colori dall’America latina”.<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-13541897939909528172023-10-02T05:02:00.001-07:002023-10-02T05:02:38.734-07:00Giancarlo Siani e la deontologia della professione<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHb83VkWZaVUZfq_EaMfR3QkaMkiE-uKvJsrDjEs-Zu6WJIuwix4xAS-HsQJkZbW25ljNEM5dhEihRt9R9N__kvfl5NlMzFA8ibGA616HlUslBaWsRKPzzvetoXsf0oN9J1zrKUsdFRk_Rnl4oHXgd4TkO-sk0a-6qth8udZKKhsemqmv4TsqCRSa87Tc/s1992/379653395_334198932305232_1095832670139723019_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1319" data-original-width="1992" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHb83VkWZaVUZfq_EaMfR3QkaMkiE-uKvJsrDjEs-Zu6WJIuwix4xAS-HsQJkZbW25ljNEM5dhEihRt9R9N__kvfl5NlMzFA8ibGA616HlUslBaWsRKPzzvetoXsf0oN9J1zrKUsdFRk_Rnl4oHXgd4TkO-sk0a-6qth8udZKKhsemqmv4TsqCRSa87Tc/w400-h265/379653395_334198932305232_1095832670139723019_n.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Venerdì scorso, al Liceo Pitagora-Croce
di Torre Annunziata, si è tenuto il corso di formazione giornalisti dal titolo “Giancarlo
Siani e la deontologia della professione” con la presenza della Commissione Legalità
dell’Ordine. La deontologia è l’insieme delle regole morali che disciplinano
l’esercizio di una determinata professione, e Giancarlo ha assolto pienamente il
suo dovere con la ricerca della verità. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Quel 23 settembre del 1985 è
diventato un simbolo per la professione giornalista e la sua definizione. Di Siani,
se ne parla sempre in modo doloroso, non si accetta la sua morte sul campo, da
professionista onesto, alla ricerca della verità. Sarà stato tutelato, sarà stato
ingenuo, avrà capito di trovarsi in un vicolo cieco? Era solo con tutto il suo
fervore giovanile e la sua ingenuità. Nessuno che l’abbia messo in guardia sui
pericoli a scrivere di certe realtà. Un giovane alle prime armi con la voglia
di approfondire quello che di solito è eluso. Altro dubbio che qualcuno abbia
speculato su di lui, magari lasciandolo fare come un trapezista senza rete. Elucubrazioni
ormai senza valore. La sua morte dovrebbe servire a non ripetere certi errori,
ma dopo trentotto anni per un giornalista non è cambiato nulla, può trovarsi ancora
nella stessa situazione di Giancarlo. Scrivere la verità dei fatti è complicato
e anche oggi si resta soli. Si può asserire la verità su argomenti che non
ledono interessi o menzionare persone che non possano querelarti. Che cos’è la
querela d’altronde? L’intimazione a non proseguire su quello cui indaghi, a
dirti che ciò che hai scritto è troppo, e devi fermarti. La verità ha una sua
profondità: puoi attenerti solo alla sommità, affondare al suo centro o andare
anche oltre il fondo. La maggior parte si attiene alla superficie. Se affondi
nella notizia, cominciano a prenderti di mira, se vai oltre, affondano te. Un
giornalista è veramente libero di scrivere? Se metti mano in alcuni meandri
della politica, edilizia, sanità, per esempio, sembra si vada a profanare dei
templi, si può facilmente cadere in un abuso, per una parola, una sentenza,
un’insinuazione, un travisamento. I criteri da rispettare sono: la verità,
l’austerità e l’interesse pubblico e mantenere separati i fatti dalle opinioni.
L’informazione deve anche rispondere alle domande del lettore. Oggi il
giornalista ha mezzi che Giancarlo non aveva. Con lo smartphone può scrivere, correggere,
costruire un articolo e pubblicarlo. Il successo della notizia la decreta il
lettore, dal fatto di non ledere i diritti di nessuno, conforme a quanto si
dice in giro. Se aggiungi qualcosa a quello che dicono tutti, sarà pure verità,
ma come voce unica non conta, poiché può essere presa per opinione del cronista.
E l’esclusività della notizia dà la certezza di avere maggiori lettori. La
legge del web è spietata, ma anche quella della carta stampata. Il giornalista è
una talpa: gira, controlla, verifica, scarta, appura, annusa e solo dopo un controllo
capillare di quello che va scrivendo, pubblica. Una volta non c’era la
possibilità di confrontarsi con tutte le altre notizie simili, poiché uscivano
in contemporanea. Oggi la stessa notizia si trova in versione breve, lunga, graziosa<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, </i>cioè ce n’è per tutti i gusti. Dimmi
quanto tempo hai e ti darò la tua rassegna stampa, sembra un motto ma è così.
La più affidabile è quella breve, sicuro non dice sciocchezze, la meno quella
romanzata, cioè trovi delle aggiunte che non dicono nulla. Da qui alla fake il
passo è breve. E proliferano non solo per incanalare il lettore a ciò che si
vuol far credere ma anche per specularci. L’attività di giornalista prevede non
la manipolazione del fatto ma la confutazione della verità, del fatto oggettivo
senza declinarlo in base alle prospettive personali. La verità costa, il
cronista, per spostarsi, deve gestirsi con mezzi propri, per fornirsi di una
notizia tempestiva, esclusiva e vera. Quella stessa notizia dovrà vedersela con
tutte le altre che fioccano in rete, pertanto sarà utilizzata alla stessa
stregua di quella nata in web. E poiché dopo due ore è già vecchia, il
giornalista non vede il motivo di spostarsi sul posto, metter mano alla tasca, se
con buoni mezzi, ragionamenti e fiuto raggiunge la stesso obiettivo. Le fake
news sono il paradosso di oggi: più che approfondire, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>manipolano la notizia. E con le tante verità su
cui indagare, si perde il tempo con le notizie scialbe che non servono a
nessuno. L’intrattenimento migliore è dato dall’oroscopo, il tempo, i fornelli,
la moda, il pettegolezzo. E’ diventato un impiegato bruciando le sue capacità,
idee, intuito, bravura, gavetta, voglia di fare.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La linea editoriale non è altro che un attenersi
a determinati parametri, un modo per avere un percorso univoco e far fede a dei
principi. Va da sé che la notizia diventa sempre più stupida e sensazionale a
scapito di quella necessaria e utile. Un buon cronista è chi affronta novità,
capacità di scrivere con la propria sensibilità. Ma c’è anche il cattivo
giornalista, che per il direttore Joseph Lelyveld del New York Times “è privo
di umiltà, si distingue per l’egocentrismo, la superficialità, l’eccessiva
partecipazione nella propria prosa, la mancanza di rispetto nei confronti di
cui scrive. I veri grandi giornalisti si vergognano dell’arroganza”. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">E ancora quando l’obiettività
non è possibile che almeno resti l’onestà nel verificare, controllare oltre a essere
preciso. Tra i ragazzi presenti al corso con i giornalisti, nessuno era
propenso a svolgere l’attività. Per fare il giornalista ci vuole coraggio e
deontologia, una deontologia che rispetti lo stesso professionista, preoccupato
solo di rendere un servizio alla collettività, evitando che il suo non diventi
un mero esercizio di scrittura.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-70772089705501273012023-09-28T05:16:00.004-07:002023-09-28T05:36:50.103-07:00Un'affacciata al balcone<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmjx01M6aMJAIJme1WssuQTdOxcTb7bzdnVaD737ZhMy16az-uj6Ds7isMwGd-ggtvrOplf_yESf06BajDg5J8BTY-ibKeQv2V15BbVX9ASiyvvWks8f7loERBh1L_lv8PAF3QylU1wk85EDRZOummoSi1d6QjHSfGNe_OPTgFi5_Vu9qgb3RRpDjrl0c/s1080/040312.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="732" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmjx01M6aMJAIJme1WssuQTdOxcTb7bzdnVaD737ZhMy16az-uj6Ds7isMwGd-ggtvrOplf_yESf06BajDg5J8BTY-ibKeQv2V15BbVX9ASiyvvWks8f7loERBh1L_lv8PAF3QylU1wk85EDRZOummoSi1d6QjHSfGNe_OPTgFi5_Vu9qgb3RRpDjrl0c/w271-h400/040312.jpg" width="271" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><span style="font-size: 16pt; text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt;">Da ragazza ritenevo che affacciarsi al balcone fosse una perdita di tempo. Tutti, nel palazzo in cui abitavo, avevano però quest’abitudine. Dalla strada, a vederli, sembravano tanti monoliti al centro del terrazzo, con la testa mobile, simili a quelle lucertole che girano il capo a scatto appena avvistano la preda. Quelli che avevano l’abitudine a orari fissi, erano le vedette, che non si perdevano niente di quel lato di casa: dal passaggio delle auto ai pedoni, tenevano d’occhio chi attraversava la strada, chi arrivava nella traversa a parcheggiare, chi bussava al citofono, ma soprattutto chi entrava e usciva dal portone d’ingresso. Non perdevano di vista nemmeno chi andava a far la spesa. La vedetta attendeva con pazienza l’uscita della persona dal negozio, con gli occhi controllava le buste della spesa fino all’ingresso del palazzo. Sapeva tutto di quelle buste. E non solo, anche di tutti quelli che entravano e uscivano a tutte le ore. La vedetta si adagiava mollemente sul parapetto di cemento rifinito con base di travertino, sostenendo il peso del corpo sui due gomiti e quando non reggeva più, un braccio passava a mantenere la testa. Non solo il capo girava continuamente da una parte all’altra, ma anche gli occhi facevano uno sforzo immane, finendo arrossati alla fine della giornata. Aveva giusto il tempo di un caffè, una telefonata, controllare le pentole sui fornelli, ma poi subito usciva per non perdersi i rientri. Spesso l’attenzione maggiore era per gli estranei che arrivavano nel palazzo. Ne scrutava l’auto, la direzione da cui provenivano, il condomino presso il quale andavano, il tempo della visita. Se in quel momento si capitava a casa della vedetta, questi, del nuovo arrivato, raccontava una storia minuziosa e precisa.</span></div></span></div><p></p><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">Allora odiavo affacciarmi al balcone come quelli che passavano il tempo a indagare la vita degli altri. </span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">Quando uscivo sul mio terrazzo, era per guardarmi intorno. La mia attenzione andava all’edificio scolastico. Aveva grandi finestre gialle, un’enorme scala centrale e un cancello esterno. A quell’ora di pomeriggio era chiusa, le aiuole piene d’erba, gli alberi nel cortile scandivano le stagioni, l’orto del custode ben curato. Osservando, immaginavo quando di mattina eravamo lì. Vedevo l’auto della mia insegnante Adriana sempre puntuale, una Fiat 128 bianca, parcheggiata accanto al cancello d’ingresso, mentre avanzava come una soldata, con le sue scarpe basse, la postura dritta come se fosse appesa a un quadro svedese. Con lei, le colleghe, la maestra Teresa, la maestra soprannominata: la bambolina, gli scolari in ordine già in posizione di muoversi. Arrivavano sul terrazzo le voci dei bambini e a volte il profumo di pasta al sugo della mensa. Guardavo dall’alto il cortile giù al palazzo, dove giocavamo, con due alberi di agrumi piccoli, che subivano i colpi di pallone durante il pomeriggio, quando tutta la gioventù del palazzo si riversava lì.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E ancora mi piacevano i giochi di luce del sole sulle case, lo scorrere delle auto sull’autostrada in lontananza. </span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">La signora che abitava al piano superiore si affacciava per chiamare i suoi ragazzi e spesso scambiavamo qualche parola. Era una donna educata e dolce. Quando alzavo lo sguardo per parlarle, lei mi raccontava del pranzo, quanto avesse stirato, quello che aveva ancora da fare. Era difficile vederla affacciata, aveva sempre un lavoro da finire. </span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">Oggi, quando mi trovo a controllare i gerani sulla mia terrazza e vedo gente di passaggio per la strada e le auto scorrermi davanti, ripenso allora. Noto gli alberi di fronte, le persone che scendono sui marciapiedi, chi porta il cane fuori, chi fa jogging, chi corre, chi è affannato nel salire, chi osserva e cammina lentamente. A volte con lo sguardo, mentre l’innaffiatoio versa acqua, va su qualcuno in bicicletta o in moto. Noto i volti, le espressioni, il colorito del viso, le smorfie, e poi l’indifferenza e mi chiedo chissà che prima non ci si riconoscesse meglio di oggi. Abbiamo perso di vista il volto degli altri. A volte vedo qualcuno che dalla strada alza lo sguardo, mentre sto con la testa tra i gerani, e mi sorride, senza motivo e senza conoscermi. Quel sorriso non richiesto è un segno di vedersi, di guardarsi, di sentire che c’è un altro essere e non passa inosservato. Non sempre accade. La massa corre e siamo soli proprio in mezzo alla folla, dove di tanti volti, non ne vediamo nessuno. E così affacciarsi al balcone, che tanto odiavo da ragazza, per trovarla una perdita di tempo, forse era includere nella propria vita anche gli altri. Tutti nel palazzo conoscevano le date di onomastico e compleanno degli altri, ci si fermava per le scale a parlare, si bussava il vicino per sapere se avesse bisogno di qualcosa, si portava una pietanza ad assaggiare solo per aver sentito il profumo. Era un continuo imparare dagli altri, anche quando ci scappava un litigio, c’era la volontà di rimediare subito.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">Interessarsi agli altri, quando non è per pettegolare, ci fa sentire meno soli. L’indifferenza della vita odierna ferisce più dell’invadenza di una volta. Le nostre nonne lo sanno bene quando affermano che la vita non è altro che “un’affacciata al balcone” in questo viaggio insieme, oltre a ricordare che siamo qui per un tempo breve.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;"><br /></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16pt; line-height: 24.5333px;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-35212247068982371212023-09-22T09:22:00.002-07:002023-09-22T09:22:41.500-07:00Le parole servono<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKX6t3rDhkVGJLVaj7T-HWcgFov-kI1jgekqdY1cASTgtQIjL4sNnYab6Ek5bpNuLQC9Ky6Wk00W3cunIny3pDwIsY3ybJemFk9LeYs8wcY0xczt8XuVk7Z-2DdK3cppcmW-kttltDKYf8dL239p8bSnfT2HzKnEtCrl25MrmkQ_rn1J23ryUawRLQOtg/s1600/379413243_988163345845177_785564568863062746_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="348" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKX6t3rDhkVGJLVaj7T-HWcgFov-kI1jgekqdY1cASTgtQIjL4sNnYab6Ek5bpNuLQC9Ky6Wk00W3cunIny3pDwIsY3ybJemFk9LeYs8wcY0xczt8XuVk7Z-2DdK3cppcmW-kttltDKYf8dL239p8bSnfT2HzKnEtCrl25MrmkQ_rn1J23ryUawRLQOtg/w364-h348/379413243_988163345845177_785564568863062746_n.jpg" width="364" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Relazionarsi è un’impresa ardua. Spesso viviamo
solo nella nostra testa. Lì restano i discorsi, un parlamento di voci in lotta. Ogni giorno partoriamo
idee, giuste o sbagliate che siano, su cui costruiamo la nostra vita. Molti
hanno la presunzione di credersi infallibili, affidandosi alla ragione, ai
calcoli, ai fatti. Ma proprio la ragione produce fallimenti, delusioni,
avversioni, negligenze. Tutto si basa sul dialogo: parlo io, parli tu, ci comprendiamo, prendiamo decisioni. A
volte ci comportiamo sull’onda delle emozioni o delle avversioni, delle paure,
escludendo il confronto, lasciando spazio alle varie possibili interpretazioni dei fatti e deduzioni sbagliate. Le parole sono uno strumento
formidabile ma le usiamo più per ferire che per spiegarci. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Il nostro orgoglio preclude alla parola il suo vero uso:
svelare le angustie del nostro animo, alleggerire le pressioni interiori, manifestarci
agli altri. Ragioniamo pressappoco così: “E’ inutile dire questa cosa, perchè
la sa già!” Oppure: “Glielo devo dire io che le cose stanno in questi termini?”
O anche: “E’ un suo dovere sapere, perchè devo spiegarglielo io?” Queste sono
le frasi orgogliose, che impediscono qualsiasi tipo di confronto. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Noi non siamo il centro del mondo. Siamo anche il risultato delle parole non dette, evitate, siamo per metà quello che abbiamo creduto,
quello che non abbiamo voluto vedere o sentire. Le relazioni, i rapporti soprattutto
con le persone della nostra sfera, funzionano così. Quanti schemi mentali su
cosa, come e perchè dirlo, e forse alla fine non dirlo. A volte, mentre
possiamo sembrare sensibili, evitando di provocare la suscettibilità, le incomprensioni,
i dispiaceri, le infelicità nell’altro non parlando, offendiamo proprio col nostro
mutismo. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ma alla base c’è anche altro: spesso siamo proprio noi a non
comprenderci e la confusione dentro si traduce in silenzi. Proprio in questo caso servono parole. Non si parla solo quando abbiamo le idee chiare. L’indecisione assume contorni migliori esprimendosi, la paura può
passare parlando, la preoccupazione può scemare condividendola. C’è chi ha sempre risolto i problemi da solo, evitando perdite di tempo nel raccontarli ad altri.
La vita è fatta di momenti e lasciarsi dietro una serie di incomprensioni,
credendo che il tempo risolva tutto, è un modo infantile di agire. Non
spiegarsi è la forma per alimentare illazioni e interpretazioni errate, che non
fanno altro che remarci contro. Se si sceglie di vivere tacendo, preferendo di vivere al buio, non si può esigere dagli altri quello che noi evitiamo. La vita va sempre condivisa, un dovere verso se stessi e verso gli altri.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-56438738675253101112023-09-21T08:29:00.000-07:002023-09-21T08:29:21.530-07:00La prima presentazione di Al largo di Santa Cruz a Marina di Seiano<p style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiM0JlWJnAo8HCOFJb5nvVWnqpZRfTWxfw8jLPFrUIOSISVh82k1XqduPb9kb-A6YnCLad4MsH8CMdLKew6KuSlegHVdPpDOatsqPAwvWACgW8r_qZTldf_nlVP8E9YWyDpriozqK4q-L1K04SUT43RiIG-m0L9eOpj1Zdv9bPcu09Q4MyxNwplhnhSzrI" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"></a></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiTgk__AHZWc254RqStF-PerX5OLXGPaGXHaHjHzB8Zo6g_6XNGoA8bdfupZJ4Js8vwu3qvDJkcB7vYxgcS3Fku2ShCrddbpwvShfFjX0LVtRKD6r-ioGbowhML6D1zW7VLr0jWojsZ_JXnwFNLwUsSpSPzTJTz-CytqHes7NkK1ODzsQZwjJuQgnA0HQQ" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="225" data-original-width="160" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiTgk__AHZWc254RqStF-PerX5OLXGPaGXHaHjHzB8Zo6g_6XNGoA8bdfupZJ4Js8vwu3qvDJkcB7vYxgcS3Fku2ShCrddbpwvShfFjX0LVtRKD6r-ioGbowhML6D1zW7VLr0jWojsZ_JXnwFNLwUsSpSPzTJTz-CytqHes7NkK1ODzsQZwjJuQgnA0HQQ" width="171" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjD6jbhI6L5e3K1-wbgdPTkZh0jGrjrC5iqYj7K5d8B4hSNle2PuriekHh69s_vYdfJrQfHCFBlRZSuiiVMyqsm4TiYAEjJ5S5iFRB5jgr-aIKFuIo2J8pgZ-ruQfiOc4SW0Ps61myhbS2M8-0kxYmLx6LYzflNMiPgrJD8wq79nKWoc6LllB-rUfKIzz0" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="206" data-original-width="155" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjD6jbhI6L5e3K1-wbgdPTkZh0jGrjrC5iqYj7K5d8B4hSNle2PuriekHh69s_vYdfJrQfHCFBlRZSuiiVMyqsm4TiYAEjJ5S5iFRB5jgr-aIKFuIo2J8pgZ-ruQfiOc4SW0Ps61myhbS2M8-0kxYmLx6LYzflNMiPgrJD8wq79nKWoc6LllB-rUfKIzz0" width="181" /></a><img alt="" data-original-height="206" data-original-width="155" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiM0JlWJnAo8HCOFJb5nvVWnqpZRfTWxfw8jLPFrUIOSISVh82k1XqduPb9kb-A6YnCLad4MsH8CMdLKew6KuSlegHVdPpDOatsqPAwvWACgW8r_qZTldf_nlVP8E9YWyDpriozqK4q-L1K04SUT43RiIG-m0L9eOpj1Zdv9bPcu09Q4MyxNwplhnhSzrI" width="181" /> </div> </div> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEj15vOqFHBvebZpjHz-rUoIJMrEWyl-6JUWvoSBSp9N6Sm4cUh66i3XjAtoi-Y-yX-wNiO4eLDsdGKnib067RqdNRue6oLPtOedThLxyyMOLX0PQl-NRjGvwj5V2HX8yvrZ6gWFEg0AZeviRQ5qbI-ns5kwLN-maF_7KK0oAWpSl-cvAoU16LcEO5Mq7yg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img alt="" data-original-height="206" data-original-width="275" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEj15vOqFHBvebZpjHz-rUoIJMrEWyl-6JUWvoSBSp9N6Sm4cUh66i3XjAtoi-Y-yX-wNiO4eLDsdGKnib067RqdNRue6oLPtOedThLxyyMOLX0PQl-NRjGvwj5V2HX8yvrZ6gWFEg0AZeviRQ5qbI-ns5kwLN-maF_7KK0oAWpSl-cvAoU16LcEO5Mq7yg" width="320" /></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><span style="font-size: medium;">Ieri sera, sulla terrazza di Murrano Mare, a Marina di Seiano, si è svolta la presentazione del mio romanzo <b>Al largo di Santa Cruz</b>.
Con me la dottoressa <b>Maria Grazia Imperato</b> a evidenziare le tematiche e i personaggi della storia. Il luogo, a dir poco incantevole, in posizione centrale sul mare, tra barche che rientravano nel porto, le ultime corse dei traghetti, rendendo viva le scene tratte dalle pagine del libro. Un diario di bordo è stato posto su un tavolino per lasciare la possibilità di scrivere le prime impressioni di approccio al libro, sia tra coloro che lo hanno già letto sia tra chi si apprestava a farlo. La storia è quella di Jacopo, marinaio che vive una delusione d'amore e cerca la solitudine dell'oceano per ritrovare se stesso. Storie parallele tra protagonisti e personaggi secondari vivono amori diversi: quello di Jacopo per Rose ma anche di Moreno per Sara, Filippo per Rosina. Amori che durano una vita ma anche non corrisposti, altri di transito. E l'amore che cambia anche all'interno di uno stesso rapporto. Il capitano Jacopo intraprende la via del mare non solo perchè gli ha portato via Rose, ma diventa il suo rifugio, la motivazione che lo mantiene in vita. Il lavoro di mare lo porta a credere che un giorno possa avere una piccola flotta tutta sua. Riuscirà a realizzare il suo sogno? Rivedrà mai la sua Rose che i genitori hanno mandato in America e allontanato per sempre da lui? Ai lettori le risposte.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Il pubblico ha ascoltato con interesse, calandosi nei personaggi con storie simili a tanta gente della penisola che vive andando per mare. Tematiche sociali sviluppate dalla psicoterapeuta e neuropsichiatra Maria Grazia Imperato. Molti presenti hanno raccontato la loro vita di mare o di familiari che navigano. Fratelli, figli, mariti, fidanzati stanno lontano da casa per mesi e al ritorno hanno bisogno di essere integrati in una realtà che non sembra appartenergli. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Il mare fa parte di me e nelle mie storie il mare c'entra sempre. Sono fortunata a vivere in un luogo stupendo, bagnato dal mare, lì dove sono nata. Ho presentato nello stesso punto in cui da bambina facevo i bagni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Una bella emozione me l'ha data un'amica di lunga data che, pur nell'impossibilità di muoversi, è venuta alla presentazione al braccio del marito. L'ho vista spuntare dalle scale con un sorriso solare. A vederla, il pensiero è andato a chi invece può muoversi ma accampa scuse. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> Onorata di aver presentato poi nella casa che prende il nome dal guerriero Murrano, che combattè contro i Troiani sbarcati in Lazio, eroe della battaglia del lago Trasimeno del 217 a. C. e originario di questa terra.
</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-86577644945053942023-09-16T02:14:00.001-07:002023-09-16T02:14:07.118-07:00Presentazione "Al largo di Santa Cruz"<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">PRESENTAZIONE</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK0is2aDN8xN2rJBkQvsYAgKSuvXGtTx3nBdxWEzwdR5OsyIiq6I67lNQI5co4DUOS7Dr90OjV-bsJDJU1jzLcHdh4G9uex2XL7Ad2fZUmPvplP9KRAoxYtHPgMvzKr_cExZebsxFoJW5RRuVK4g9-KC8YHwAoN25I88wzY_w4lzu4hs_8qdlykvy9kRE/s1600/378067854_6800121053341481_9218180692034972331_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1137" height="682" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK0is2aDN8xN2rJBkQvsYAgKSuvXGtTx3nBdxWEzwdR5OsyIiq6I67lNQI5co4DUOS7Dr90OjV-bsJDJU1jzLcHdh4G9uex2XL7Ad2fZUmPvplP9KRAoxYtHPgMvzKr_cExZebsxFoJW5RRuVK4g9-KC8YHwAoN25I88wzY_w4lzu4hs_8qdlykvy9kRE/w528-h682/378067854_6800121053341481_9218180692034972331_n.jpg" width="528" /></a></div><p><br /></p><p><br /></p><span style="font-size: medium;">Commenta...<br /> </span><p></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-8233503449239283102023-09-16T02:01:00.000-07:002023-09-16T02:01:45.567-07:00Diario di un viaggio - 4 -<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhKSMPAfpWNpoIht2hr5xeJPZSDwlMI7Eyw71q7wf6m9XmUfIbIdP2DDJlyJBdhDX34Fogt_OFV8yp578oNySDJfnEx1CnSrlFBH8P7nt4RWa2v4rJyYGKjCxkfUtazTprJmKl-McExpX0UNOkR3wwBqixTNGt1JKIbYTGRDSmTO2OXTVrhOmQRDWZexmU" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="768" data-original-width="1003" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhKSMPAfpWNpoIht2hr5xeJPZSDwlMI7Eyw71q7wf6m9XmUfIbIdP2DDJlyJBdhDX34Fogt_OFV8yp578oNySDJfnEx1CnSrlFBH8P7nt4RWa2v4rJyYGKjCxkfUtazTprJmKl-McExpX0UNOkR3wwBqixTNGt1JKIbYTGRDSmTO2OXTVrhOmQRDWZexmU=w518-h358" width="518" /></a></div><br /><br /><span style="font-size: 18pt;">Il giorno dopo partimmo in mattinata</span><span style="font-size: 18pt;"> da Valencia per </span><span style="font-size: 18pt;"> </span><span style="font-size: 18pt;">Malaga.</span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">La strada presentava un paesaggio desolato, fatto di colline
e massi, come se le montagne si fossero sbriciolate. La terra arida, di un colore
rossiccio e arancione, si alternava a distese di viti, alberi da frutta e ulivi.
Il caldo era soffocante, ma noi ci tiravamo su con il caffè, le barzellette, le
osservazioni di ciascuno sulle visite effettuate nelle precedenti località e
ammirando il paesaggio che ci veniva incontro. Alle due ci fermammo per il pranzo
in un’area di servizio. Una serie di alberi intorno alle aiuole ci regalava
l’agognata frescura dopo tanto sole. Le bambine giocavano all’aria aperta, i
più grandi si divertivano col pallone. A fine pasto eravamo tutti seduti davanti
ai <i>camper.</i> Sembravamo il circolo degli sfollati. Il punto in cui ci trovavamo era
un ottimo osservatorio. Da lì non ci sfuggiva nulla. Mio padre teneva le sue
“suasorie” spaziando dalla guida ai <i>camper</i>, dalle colture al vino, ai monumenti.
Altro argomento forte i furti, diventati una sorta di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">leitmotiv</i> delle nostre chiacchierate per quello che avevamo subito.
Si aggiungeva la nostra terra di cui si parlava con orgoglio, forse per i continui confronti che ne scaturivano da tutto ciò che
vedevamo. E mentre il nostro amico smussava i campanilismi di mio padre, ne apprezzava
i contenuti che metteva in campo. I nostri “simposi” finivano sempre con:
“Che cosa mangiamo stasera?” Ma al pensiero di andare alla ricerca di una
pizzeria, finendo come a Valencia, senza cena, preferivo immolarmi per la causa
e mettermi ai fornelli, almeno si stava tranquilli. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Ripreso il viaggio, abbiamo cercato un
supermercato, dove rifornirci. Era il nostro primo pensiero appena si arrivava
in una città. Sempre alla ricerca di mozzarella, bocconcini, fior di latte. In
loro mancanza si ripiegava su formaggi conosciuti o locali. La carne in Spagna
era buona, con tagli a volte molto migliori dei nostri. Carni di tutti i tipi. Appena
capivano che eravamo italiani, si ricordavano dei nostri spaghetti e, se al
momento mancavano, ci portavano al banco degli alimenti nostrani. Al supermercato di Adra ci fecero i
complimenti per i prodotti del nostro paese. Conoscevano addirittura i luoghi
di provenienza, come la pasta di Gragnano, le mozzarelle di Paestum, le
sfogliatelle di Napoli, il pesto di Genova, le orecchiette della Puglia… <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Il nostro amico, alla partenza dall'Italia, mise in bella
mostra la grattugia e il parmigiano, dicendo che era buona cosa portarli, non
avrebbe potuto farne a meno. Cercavo di far capire che potevamo scegliere altro
in viaggio, ma niente da fare. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Nel pomeriggio arrivammo a Adra, poco
prima di Malaga. Nel camping dove ci sistemammo c’era un silenzio benefico,
di fronte un mare calmissimo, sembrava un lago, una spiaggia deserta e gli
ultimi raggi rossi sparsi sui<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>muri e le
case.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Intorno ai <i>camper</i>, rampicanti e fiori. In ogni postazione un lavatoio, secchi, sgabelli, stuoie,
contenitori vari coloratissimi. Era tutto così pittoresco. In alto, tra il muro
di cinta e la tettoia, delle finestre rettangolari da cui entravano rametti di rampicanti impertinenti e <i>bouganvillea</i>. Dopo una ricca cena italiana con
pasta, parmigiana, formaggio, ultima scorta, e verdure grigliate, col
buon vino della cantina di mio padre, riprendemmo il secondo giro di
consultazioni su dove andare, cosa comprare, quali visite effettuare. Il nostro
amico un po’ screditava gli italiani per non venir mai meno alle loro abitudini,
gusti, usi e costumi, e un po’ si beava con quei profumi unici della nostra
tavola. Gli ricordai che parlava bene e razzolava male se per primo non aveva
rinunciato al suo caro parmigiano. Mentre io, pur apprezzando quello che di
buono trovavo negli altri paesi, non lasciavo i piatti nostrani. Poi passavamo
al nostro argomento preferito, la storia, con accese discussioni su popoli e periodi:
i nostri Romani, il Medioevo… Mai avremmo affrontato una discussione simile nel
salotto di casa. Lì, intorno, tra un acquedotto romano, un reperto, un paesaggio
che ci riportava a pagine lette, era normale affrontare argomenti simili. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Nel silenzio della sera, mentre quasi tutti, stanchi,
andarono a dormire, io e mio padre andammo in riva al mare per un bagno
notturno. Non c’era anima viva. Mi guardavo intorno con la sensazione di qualcuno
che mi seguisse. Camminavamo sulla battigia ascoltando i grilli e le cicale
provenienti dalla pineta. Un silenzio benefico, solo lo sciabordio
piacevole all’orecchio accompagnava i nostri passi. Mio padre mi chiese: “Ma
questo bagno lo vuoi fare o no?”<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Arrivavano delle brezze che lasciavano i brividi sulla pelle,
ma quando avrei potuto fare un bagno a mezzanotte in prossimità di Malaga? <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">Così stesi il telo a terra, appoggiai su la borsa e gli
abiti. Mio padre invece aveva solo i pantaloncini. Con un bel coraggio, ci
tuffammo. L’acqua era ghiacciata. Intanto arrivarono dei
ragazzi che sedettero accanto al nostro telo. Io avevo lasciato la borsa con dentro i documenti. Osservavo e cercavo di capire che intenzioni avessero. Mio padre,
vedendomi preoccupata, mi disse che quella borsa non stava bene lì. Poi
candidamente: “Vedi, tra i pantaloncini e la borsa, se proprio devono andare in
azione, prelevano la borsa e scappano. Chi vuoi che prenda un paio di pantaloncini
scoloriti con tremila euro arrotolati in una carta di giornale nella tasca
laterale? <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoQuote" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 18pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">“Eh?” Saltai dall’acqua pensando che fosse
un pazzo e lui a ridere mentre io correvo sulla spiaggia. Presi i suoi pantaloncini,
dove c’era realmente la somma menzionata, e li misi in borsa. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Quando uscì dall’acqua, li cercava. In quel momento i ragazzi scesero in acqua. Lui, senza scomporsi, com’è suo stile, mi
disse di fare attenzione alla bottiglina d’acqua che avevo in borsa, altrimenti
perdevamo “Filippo e il panaro”. Ridemmo per tutto il tratto di ritorno, soprattutto per aver scampato il pericolo di perdere il malloppo dei soldi.</span></p><p class="MsoQuote"><span style="font-size: large;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-45263313583202731602023-09-04T04:18:00.001-07:002023-09-04T04:22:28.682-07:00Diario di un viaggio - 3 <p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAAFHu2S9i94bfh6i2JKNVsZkne6wE6nvs9lEdPcX-n60s6R7FEKPUpkqohK-y5mKQIp8JP3CCNHME4b0nWZ4ZW8gIlCkSgbxS2mw6ahp4wzdLAxbARiz-yqQC6BHsZpBK73QdOENr4CHx_hNSwHB8D0_XO1wnrd5AhMmHCW4j9avqTAT-0j06VABhiao/s1920/d232d28a-2ab2-4869-b206-5c8ee1689193.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAAFHu2S9i94bfh6i2JKNVsZkne6wE6nvs9lEdPcX-n60s6R7FEKPUpkqohK-y5mKQIp8JP3CCNHME4b0nWZ4ZW8gIlCkSgbxS2mw6ahp4wzdLAxbARiz-yqQC6BHsZpBK73QdOENr4CHx_hNSwHB8D0_XO1wnrd5AhMmHCW4j9avqTAT-0j06VABhiao/w640-h360/d232d28a-2ab2-4869-b206-5c8ee1689193.jpg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">Dopo lo choc della visita dei
ladri, controllammo se mancavano altre cose e discutemmo a lungo su quanto accaduto intorno a una ricca colazione.</span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;"> Alle ore 10.00 partimmo da </span><b style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">Barcellona </b><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">per
</span><b style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">Valencia, </b><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">una città
graziosa e accogliente. Arrivammo nel tardo pomeriggio. Per strada
vidi un’arena e diverse rappresentazioni di tori su grandi cartelloni. Ero
ossessionata dalla corrida. Per un verso mi sarebbe piaciuto vederne una, per
l’altro mi faceva orrore. Nei mesi precedenti ne avevo parlato con alcune colleghe
e ne nacque una discussione: da una parte quelle che mai ne avrebbero vista una
per come riducevano i tori, dall’altra quelle che almeno una volta avrebbero
fatto un’eccezione, tra cui io. Ma alla vista di quei tori, sebbene fossero solo delle
rappresentazioni, ogni pensiero finì lì.
La mia attenzione, mentre il camper procedeva, era tutta per il torero, il
mantello rosso, il toro che incornava. Ovunque mi girassi, enormi spot
pubblicitari si ergevano lungo i bordi della strada, dando l'impressione che quegli animali mi guardassero e mi invitassero all'arena, sovrastandomi con quei colori tetri, lugubri come la morte. Fortunatamente il paesaggio si fece più tranquillo. </span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">Prima di entrare in città, andammo ad </span><b style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">Albufera</b><span style="font-family: Garamond, "serif"; font-size: 16pt;">, un parco
naturale protetto che si estende fino al mare. Arrivati in spiaggia, facemmo subito il bagno. Si camminava
nell’acqua a lungo prima di immergersi completamente. Era una sensazione strana, nemmeno a Paestum, a basso fondale, si cammina tanto per bagnarsi completamente. Alle ore 20,30 siamo ritornati al
camper per andare al centro di <b>Valencia</b> a mangiare la pizza. </span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Arrivammo nella strada centrale e parcheggiammo sul lato sinistro. C’era già un camper, noi ci
sistemammo subito dopo e davanti il nostro amico. Eravamo posti al centro.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Io, dopo l’avventura dei ladri, non volli lasciare
il camper, così con me rimasero mio padre e mio figlio, mentre gli altri si
avviarono alla ricerca di una pizzeria. Dopo pochi minuti suonò l’allarme del camper prima del nostro. Dall’altra parte della strada si affacciò la proprietaria <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dal ristorante di fronte, che azionando il
telecomando, tolse e poi inserì di nuovo l’allarme. Dalla sua postazione non poteva
vedere il ragazzo di colore che scendeva dal suo caravan scappando.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Anche a <b>Valencia</b> c’era la
banda dei camper. Mio figlio cominciò ad agitarsi. Mio padre lo esortava a
mantenere la calma. Intanto si stava sulla scaletta della porta posteriore. Passarono due ragazzi, di cui uno di colore, che diceva a telefono: “No, non poi”, presumo volesse
dire: "No, non puoi.”<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Mio padre e mio figlio fremevano, poiché questi due erano in attesa di derubare il camper
dietro di noi, ma avevano tutta la faccia di fare lo stesso col nostro, qualora ci fossimo allontanati. Vedendoci sulle scale, mandarono il
messaggio che era meglio evitare. Mio padre scese e andò a
comprare una mazza da baseball nel negozio di articoli sportivi proprio di
fronte. Appena rientrò, ci rassicurò che era solo un deterrente. Gli
amici che passeggiavano, vedendo la mazza, avrebbero cambiato idea. Questa volta ci guardarono con sospetto e si allontanarono. </span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Mio padre tenne a precisare che, per il solo fatto di averla in mano, quei due non si sarebbero
avvicinati. In caso di pericolo bisognava picchiare dal ginocchio in giù, nel senso contrario aveva lo stesso valore di un’arma. Così, dopo, mio figlio
scese dal camper e giocando con la mazza di baseball diceva anche lui rivolto al ragazzo: “No, non
poi” guardando i due che ritornarono dalle nostre parti. Mio padre sorvegliava ogni azione. Non solo si
preoccupava per il nostro camper ma stava tenendo d’occhio anche quello dietro. Al suono dell’allarme, per la seconda volta, i ladri si allontanarono. I tre avevano cercato di nascondersi per sottrarsi al nostro
sguardo, ma non ci riuscirono e questo li innervosì. Però, la situazione
divenne insostenibile, era un andirivieni di gente preposta a provarci comunque che
non ci lasciava tranquilli e non ci restò che chiamare gli altri per andare via.
Quando la padrona del camper fece ritorno, mio figlio, in una sorta di
sfottò, la ringraziò, per averle guardato il
camper. La signora non si rese conto di quello che era accaduto, salì e andò via. Intanto aveva mangiato tranquillamente al ristorante mentre noi fuori custodivamo i camper. I nostri arrivarono nervosi e arrabbiati per aver preso solo sei pizze al prezzo di quaranta euro, ma non bastavano per tutti. Mettemmo in moto e partimmo. Arrivati alla fine della strada, fatta ad angolo, scorgemmo tutta la banda con i telefonini in mano, in attesa di poter operare. E mentre si andava all’assalto delle pizze, cercammo anche di fare spesa e
tornare al camping. E nonostante fosse tardi, preparai una cena completa, dimenticando l'epilogo della serata. Una vacanza davvero avventurosa per i gusti dei miei, ma non per me! Ogni giorno c'era una situazione da capire, un problema da risolvere e mentre io e mio padre ci divertivamo, gli altri mal accettavano il fatto che li avessi tirati in quel viaggio per niente comodo. I loro gusti prevedevano hotel e piscine, sonnellini e pennichelle, aperitivi e dolce far niente. Ora avevano più l'aria di tanti Indiana Jones, sempre alle prese con le incombenze del camper. E nel tempo libero, senza alcun avviso, se andavano in giro lasciandomi alle faccende. Una sorta di vendetta per la vacanza che facevano, reputandomi la responsabile di tutto ciò che accadeva. Noi, invece, i pro avventura in camper, cioè io e mio padre, ci divertimmo moltissimo.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Commenta...</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-61129340369525333062023-09-03T13:31:00.000-07:002023-09-03T13:31:15.664-07:00Ghosting<p> </p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif";"></span></p><div class="separator" style="clear: both; font-size: large; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /></div><div class="separator" style="clear: both; font-size: large; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5J2PJfIodP_aq42XEDmLbBAsdTrsDPJnxHhO3vEf9iIfXqpECLayDQhEv0aMYkBcrzNIeAj9bdKHW0yyNUX7Kpj8WRsbqdvLVmYaQDD-DoZVJkEcrCumGrkg9bChanjPpnbLD_VTVSOf2foVL8Z6o_UiWIzbl_YIc7G3ohGYyvko6ssphCWKACOwvo9E/s2000/patryk-sobczak-339-unsplash.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1333" data-original-width="2000" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5J2PJfIodP_aq42XEDmLbBAsdTrsDPJnxHhO3vEf9iIfXqpECLayDQhEv0aMYkBcrzNIeAj9bdKHW0yyNUX7Kpj8WRsbqdvLVmYaQDD-DoZVJkEcrCumGrkg9bChanjPpnbLD_VTVSOf2foVL8Z6o_UiWIzbl_YIc7G3ohGYyvko6ssphCWKACOwvo9E/w400-h266/patryk-sobczak-339-unsplash.jpg" width="400" /></a></div><br /><br /><span style="font-family: Garamond, "serif";"> </span><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Tutti abbiamo conosciuto
qualcuno, entrato nella nostra orbita e subito dopo scomparso.</span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Non sono casi sporadici, avvengono con una
certa frequenza, un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">modus vivendi</i> di
molti. Fidanzati, amici, conoscenti entrano ed escono dalla nostra vita come
meteore. Sono i famosi fantasmi, molti preferiscono dire “ghosting”. Fenomeni brevi,
nati per semplice curiosità, gioco, tutto reso possibile anche dalla tecnologia,
che supporta ogni tipo di contatto. In genere non durano più di un anno, ma
possono esaurirsi anche in pochi mesi.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Se provate a mandare loro dei messaggi, non vi
rispondono, se lo fanno, raccontano bugie. Si negano in ogni caso, per poi
scivolare nell’oblio totale. All’inizio si danno un gran da fare, si mostrano
affettuosi, senza dare alcuna spiegazione plausibile per il loro interesse nei
vostri confronti. Mostrano un’eccessiva euforia nell’avvicinarvi, con
comportamenti che sarebbe troppo definirli normali. Offrono amicizia, aiuto,
solidarietà, con progetti accattivanti, facendovi sentire la persona più
importante al mondo.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Vi coinvolgono, vi stravolgono
e poi spariscono. Altra caratteristica è che vi lasciano in panne nel bel mezzo
di una situazione. Hanno una personalità fragile, le loro convinzioni, un disegno
mentale da portare a termine. Sono supponenti, irriverenti, scaramantici e volubili,
con una negatività in ogni loro discorso. In qualsiasi tipo di rapporto
diffidare di un eccessivo entusiasmo iniziale, tra l’altro immotivato se non ci
si conosce. Poi, con un pretesto o un malinteso, trovano il modo di
allontanarsi. E a quel punto nasce spontanea la domanda se soffrano di qualche
patologia. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Altrimenti perché dileguarsi senza
alcuna spiegazione? L’unica coerenza è data dal modo in cui si presentano, plateale,
e sulla stessa riga quando si allontanano, scomparendo dal nostro orizzonte. Hanno
ben chiaro ciò che vogliono senza palesarlo, per non dare troppe spiegazioni. Intanto
affilano il pregiudizio nei nostri confronti. Instaurano rapporti superficiali,
limitandosi a pensare di noi quello che presuppongano. A quel punto non
chiediamo spiegazioni perché già abbiamo capito che il rapporto è un aborto e,
se anche insistessimo, potrebbero sempre rispondere che ci stiamo sbagliando, facendoci
passare anche per malpensanti. Chiarirsi non è una perdita di tempo ma un
dovere. Significa rispettare l’altro. Invece è vista come una debolezza,
credendo che dare spiegazioni, valga a giustificarsi per qualcosa. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Molti vogliono solo avvicinare
le persone, non conoscerle. I rapporti con gli altri vanno curati, approfonditi
e per farlo ci si deve presentare per primi e manifestarsi. Si possono evitare
quelle spiegazioni che non servono a nessuno, ma non quelle fondamentali che,
se omesse, ledono in qualche modo l’altra persona, facendole perdere la fiducia.
La relazione si basa sempre su un dialogo supportato da emozioni e sentimenti
che, messi in moto, possono rendere forte o debole una persona. Chi entra senza
chiederlo nella nostra vita lo fa poggiandosi sulle nostre debolezze. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">I fantasmi non percorrono
molta strada. Alcuni di questi non danno chiarificazioni perché credono che non
ne debbano dare, sentendosi irreprensibili. D’altro canto ne chiedono eccome
agli altri, mettono sottosopra, si servono di contributi psicologici e
motivazionali dell’altro, invadono il mondo altrui e se ne appropriano, mentre
vi chiedete da dove giunga questa confidenza, per poi sparire. Meno male, dico
io, a questo punto, che vanno via così come sono arrivati. Agiscono sull’onda
del momento, fluttuando ora qui, ora lì. Ci sovvengono, solo in seguito, piccoli
flash al loro riguardo, magari per una foto, ricordando un atteggiamento, una
parola o un fatto. Non lasciano né vuoti né dolore, solo sconcerto. E
fortunatamente non ci s’incontra più, per scelta a questo punto. Si cancella
ogni loro ricordo e, se accadesse di incontrarsi, sarebbe come non essersi mai conosciuti.
Sono inaffidabili, insensibili e privi di qualsiasi buona intenzione. Chi non
si avvicina più di tanto dopo aver fatto “un’ammuina" del diavolo per corrervi
dietro, è perché vi avverte come possibile pericolo o non ha capito niente di
voi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Molto più spesso percepiscono il
prossimo come un’invadenza, un pericolo, un intralcio che oscura la loro
personalità o interferisce con i loro desideri, le loro idee. A volte
semplicemente si rendono conto di aver sbagliato persona, poco malleabile per i
loro intenti. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">A volte si resta con l’idea in
mente che ci si fa di una persona e non si cambia nemmeno quando, conoscendola,
si rivela diversa dal nostro giudizio. Le persone, più che affrontare la vita, la
interpretano nella loro mente e scappano quando la realtà non collima col loro
mondo interiore. Da qui i tanti rapporti
superficiali in cui navighiamo che non servono a niente. Bisogna dedicare il
tempo a chi ci rispetta, chi vede realmente chi siamo, chi ha voglia di
conoscerci. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond, "serif"; line-height: 115%;">Commenta...</span></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4115505167731653702.post-44251762893696979112023-08-17T13:11:00.001-07:002023-08-17T13:16:29.838-07:00 Diario di un viaggio - 2<p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHaKEJ42h9nKxIbAbqd8iBR0VvoXVVkMKDU1HmDJ_03FlQLmD67flrG1ePXlqnIKuxpqNhZm9MrTmKndv3hMV37DzwNXMxfqcUbG5LIEY2BOtN7EKNY7fmXHkSIg0KGac0iRUZU5g1Viasf7AhNXZmH6JkO9IOMUgx9pRXqOgxgoVo0fsJM_0rLZqEVJ0/s640/4144e64bca71f9d6c5237e04034fc10f.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="427" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHaKEJ42h9nKxIbAbqd8iBR0VvoXVVkMKDU1HmDJ_03FlQLmD67flrG1ePXlqnIKuxpqNhZm9MrTmKndv3hMV37DzwNXMxfqcUbG5LIEY2BOtN7EKNY7fmXHkSIg0KGac0iRUZU5g1Viasf7AhNXZmH6JkO9IOMUgx9pRXqOgxgoVo0fsJM_0rLZqEVJ0/w359-h400/4144e64bca71f9d6c5237e04034fc10f.jpg" width="359" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>Palamos<br /><br /><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Percorremmo
l'autostrada francese per buona parte della giornata, procedendo lentamente, tra
chiacchiere, caffè, risate e battute. <o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Mio padre, alla guida, osservava le distese di viti ai nostri lati: basse, ben ordinate, in lunghi
filari a ridosso delle colline. Faceva le differenze con le
nostre e, a vederle così rigogliose, osò dire che di sicuro da quelle parti le
trattavano con sostanze chimiche per averle tutte uguali e piene di vita. Finì
per mortificare lo champagne a vantaggio dello spumante. <o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Ma subito
dopo osannò i francesi per la cura e l’ordine di quei terreni. Gli piacque l’altezza
delle piante, la metà delle nostre, e tante
altre osservazioni che gli tornarono utili una volta a casa.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Questa volta la fretta di raggiungere la
Spagna ci tolse il gusto del pranzo, che rimandammo alla successiva fermata.
Al passaggio del confine, il paesaggio si fece brullo e arso. Il sole picchiava
in una maniera incredibile. Si guidava da parecchio e tutti chiedevano una
sosta. Guardavo le colline bruciate intorno, la strada quasi deserta e
immaginavo Orlando, il paladino caduto a Roncisvalle. Di
tanto in tanto apparivano pale eoliche ai cui piedi vedevo Don Chisciotte
seguito da Sancho Panza per quelle campagne, immaginando i loro discorsi. Poi riportavo agli altri le storie che sovrapponevo ai luoghi. Finalmente quel paesaggio desolato lasciò il
posto alla Costa Brava. Assomiglia un po’ alla nostra costiera. In un punto
riuscimmo a fermarci per scattare delle foto. La strada da lì cominciava a scendere verso le spiagge.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Ci trovammo a <b>Palamos</b>. Parcheggiammo di fronte al mare e, sebbene
dovessimo mangiare, non resistemmo alla voglia di fare un bagno, non prima di
aver fatto la spesa in un vicino supermercato. La spiaggia era immensa e
libera. In lontananza si vedevano i palazzi alti della città, davanti a noi una
distesa di sabbia. Dalla posizione in cui ci trovavamo, c'era da fare un
bel tratto per raggiungere la riva. Accanto a noi gruppi di turisti di varie nazionalità. Mio padre
cominciò con le sue battute trascinando gli altri. Saremmo rimasti lì fino a sera, ma lo stomaco brontolava e ritornammo. Pernottammo lì. Non era il posto ideale ma non ci fu il tempo di cercare altrove.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Giungemmo
a <b>Barcellona</b> verso le ore dodici del giorno dopo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">È</span> <span style="font-size: 16pt;">una città molto grande, con strade enormi. Vista dall'alto è uno spettacolo. Si presentò a noi come
un labirinto. Giravamo intorno alla ricerca di un parcheggio senza trovarne. Parcheggiamo nella Rambla per qualche minuto e scendemmo a chiedere, ma sulle strisce
pedonali un camion quasi mi investì. Strillai contro l’autista, spaventata e incredula di essermela cavata. L’uomo fermò il camion e scese a
redarguirmi. Non ci potevo credere. Gliene dissi quattro in modo così violento che quasi ebbe paura.</span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Ci
dirigemmo al lato opposto della città sempre alla ricerca del parcheggio. Giungemmo
in un’area simile a una discarica. Un tizio si presentò dicendo che
dovevamo andare via di lì. Gli chiesi dove trovare un posto adatto, ma si rivolse con un fare maleducato e io lo trattai anche peggio. Barcellona fu un
disastro da un punto di vista dell’accoglienza. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Poco dopo, sempre da quelle
parti, trovammo l’area che faceva per noi e finalmente parcheggiammo. Dapprima andammo al Museo. Potemmo ammirare il panorama della città dall'alto. Fu poi la volta della Sagrada Familia. Eravamo stanchi ma così
presi dalla curiosità di visitare. Io camminavo
con la testa alzata ad ammirare le guglie della Sagrada che non finivano mai.
Gli altri mi chiamavano ma io ero appiccicata alle pareti osservandone ogni
centimetro. I palazzi di Gaudì erano per me grandiosi e mi dispiacque non poterli più vedere quando andammo via. Usciti da lì, abbiamo riportato il camper al campeggio poco distante
dalla Rambla. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Stanchi della giornata ci mettemmo alla ricerca di un’area per
la notte. Per un verso si voleva procedere per arrivare a <b>Valencia</b> quanto
prima, dall’altro ci si voleva riposare. Nell’indecisione siamo finiti in un’area
di servizio per la sosta dei camion.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Mio
padre, memore di Marsiglia, organizzò un sistema d’allarme
complicato ma sicuro. Si affidò a massicce funi, con cui legò la
portiera dal lato guida, passando per il clacson e tirandola fino a legarla a quella di destra. La lezione di Marsiglia ci aveva resi sospettosi di
tutto e lì stavamo in mezzo ai bestioni. Così, nell'aprire la porta, scattava il suono del clacson svegliando tutti e intimorendo i ladri. Non
bastò il sistema d’allarme escogitato, si decisero turni di guardia. In
tutto questo il nostro amico se la rideva, non dovendo affidarsi ad alcun marchingegno, per aver accanto un camper superaccessoriato come il nostro, e quindi pensò: “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ubi maior, minor cessat</i>”.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Dalla
mia postazione osservavo il buio pesto dell’area di servizio, in cui solo un
lampione, dalla luce fioca e intermittente, non riusciva nemmeno a illuminare da lì a qualche passo. Un po’ dormivo, un po’ guardavo fuori. Un rombo di motore, un’accelerazione, una sfrecciata di auto, ogni piccolo fruscio catturava
la mia attenzione. Fu così fino alle cinque, quando crollammo vinti dalla stanchezza, e consapevoli che, con i primi raggi di sole, di lì a poco, nessuno si sarebbe più avvicinato.<o:p></o:p></span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Ma alle
sei di mattina il clacson suonò. Mio padre che dormiva con i miei
figli nel letto sulla cabina di guida, si fiondò a terra con i ragazzi. Scivolarono
fuori dall’abitacolo rincorrendo tre ragazzi che cercavano di raggiungere una
vecchia Panda parcheggiata ai bordi dell’area. Riuscirono a scappare seguiti dai nostri che li avevano quasi raggiunti. Erano muniti di bomboletta spray da spruzzare sui volti
per indurre il sonno. La scena cui assistemmo fu così divertente che, rievocandola,
cominciammo a ridere. Da quel momento mio padre divenne una sorta di santone. Non
si faceva niente senza il suo consenso. La fune divenne il nostro collaudato
sistema d’allarme. Molti, dopo quella sera, ci raccontarono degli episodi cui
avevano assistito nelle aree di servizio. C’erano bande specializzate per
assaltare i camper. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Il nostro sistema nervoso intanto fu messo a dura prova, ma mio
padre forniva consigli e dava dritte senza sbagliare un colpo. <o:p></o:p></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: black; font-size: 16.0pt;">Commenta...</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><o:p> </o:p></p>filomena barattohttp://www.blogger.com/profile/10698341587524995698noreply@blogger.com0