C’era una volta il balcone…sì,
quello dove ci affacciavamo a parlare con la vicina, di sopra, di sotto, di
lato. Il mio balcone dava su una terrazza come fosse stata un’altra stanza. Lì
leggevo, ricamavo, stendevo il bucato, pulivo i fiori nei vasi, studiavo,
coccolavo Susina, una volpina e, immancabilmente, scambiavo chiacchiere con l’amica
accanto, le vicine, in virtù del bucato steso, del tempo, di quattro chiacchiere
cosiddette ricreative, che rappresentavano un break a quello che si stava
facendo.
Ora non c’è più, fuori ai balconi
non esce più nessuno ed è già tanto se lo faccio per i miei gerani, un
bellissimo terrazzo assolato, ma solo, non esce mai nessuno lì fuori. Il motivo
è questo trabiccolo di pc che ha assorbito il nostro tempo e le nostre chiacchiere.
Adesso è peggio che stare a parlare sul terrazzo di casa nostra. Tutti intenti
a leggere, scrivere, rispondere, pubblicare, taggare… E’ diventato, questo
luogo, un’agenzia o un tribunale, ma anche un giornale o una bacheca casalinga,
oppure un vademecum, un contenitore da imbottire.
E quelli che dicono che non stanno su fb, non dicono il vero, basta una pagina
vuota da cui accedi e vedi il mondo.
La nostra giornata la sgraniamo
qui sopra, nel salutarci, nel leggerci, nel controllarci, magari diciamo
qualcosa di interessante, nel mostrarci con foto, comunicati e mentre prima si
passava a fare una visita di cortesia, un caffè, un giro, ora ci vediamo qui. Ma è pur
sempre un luogo pubblico e talvolta ce ne dimentichiamo o non tutti se ne rendono conto. Essere
visibile non significa incrementare la nostra comunicazione, anche a
vuoto aggiungerei, è solo uno dei modi, ma il preferito dalla maggior parte e di conseguenza ci si deve attenere a un bel po' di regole della comunicazione tra le parti. Molti acquistano qui sopra una
maggiore capacità di interloquire, magari spinti dal fatto di stare dietro a
uno schermo e sentirsi protetti. Ma non è così. E’ esattamente la stessa cosa
che avere di fronte le persone. Forse Umberto Eco voleva dire proprio questo
quando disse che si è data la “parola agli imbecilli”, un parlare inconsulto
che porta ad atteggiamenti che non avremmo se avessimo di fronte la persona o
se non avessimo questa possibilità di comunicare al mondo. Comunicare quando si
ha qualcosa da dire, così come una foto ha un valore storico per noi e col
tempo si sommano e possono farci sentire vecchi, o non d’accordo con quanto
pubblicato e detto. Lo riscontriamo già nel visionare vecchie foto, vecchi
scritti, ci sembrano quasi obsoleti, non più adatti o che forse non diremmo
più. E’ questo uno strumento che va a sottrarre e non ad aggiungere. Tutto va
messo non sull’onda dell’emozione ma sull’onda della ragione. Ci rappresenta, vale
come un documento, è un luogo fisico anche se virtuale, quindi se sto a lavoro
non posto, non scrivo, non contatto. Se scrivo mi assumo le mie responsabilità
e se mi manca il balcone di casa di mammà, qualche frase la scambio, così come
dico qualche mia idea. Prima non sbandieravamo le nostre idee a nessuno, le
tenevamo per noi ed eravamo conosciuti per quello che svolgevamo. Gioie,
dolori, emozioni, passano attraverso questo balcone, non solo. Compleanni,
onomastici, incontri, tutto viene qui registrato. Sta diventando questo luogo,
la nostra memoria collettiva, qui nascere e morire non fa differenza e mentre
scriviamo uno stato gioioso ce ne sono altri che ne scrivono di tristi. La
piazza si è spostata qui e forse nemmeno il Foro Romano poteva gestire questo
traffico di gente che in tempo reale, vive, respira, si immortala, decide con
gli altri, critica.
Sul terrazzo fuori al nostro
balcone succedeva pressappoco la stessa cosa: c’era la signora del bucato che
scrosciava acqua, quella che chiedeva la ricetta, l’altra che ammirava la bella
giornata e manifestava i suoi desideri. Era un modo di volersi bene e
coccolarsi. Ma poi se entravi per un servizio, se non uscivi per essere
impegnata, se non rispondevi per non esserci, ci si impuntava, si facevano
illazioni, si davano conclusioni affrettate. Scrivere i nostri stati d’animo gioiosi o tristi può
aiutare, ma certe forme di dolore e di gioia restano personali e sicuramente,
quanto più sentiti, più non si condividono ma restano in noi.
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