I politici di oggi hanno un serio problema: quello di non
relazionarsi con i loro elettori e di conseguenza col territorio. Una volta
eletti si sottraggono ai loro doveri. Il che non significa voler ricevere da
costoro privilegi o favoritismi, ma che si impegnino in virtù della referenza
ricevuta per una politica attiva.
La democrazia comincia qui a mostrare le sue
falle e forse non esiste nemmeno più nel senso vero del suo significato: forma
di governo il cui potere è esercitato dal popolo, la sua accezione più antica.
Essa ha perso il valore per cui era nata. Il nostro tempo, di globalizzazione,
di immigrati, di economie sempre troppo esigenti, vede la fine di una società
che non si ritrova più. Il concetto di
democrazia è quello di governo del popolo, e si ritrova sempre più ad essere il
governo di pochi, quello che per gli antichi era l’oligarchia. Chi va al potere
trova grosse difficoltà a mantenere gli impegni promessi, deve sostenere uno
sforzo immane tra interferenze varie, strategie di partito, demagogia,
corruttela, compromessi, il che rallenta, quando non impedisce, il suo operato.
Siamo in un mondo senza più confini e il governo non finisce più con le porte
di casa, oggi deve gestire anche l’imprevedibile. Nello stato attuale non si
possono fare gli interessi di tutti, ma si discrimina ogni volta che si
legifera, ogni volta che si attua un provvedimento. Le leggi, pur fatte per
tutti, rispondono a esigenze di pochi. La gestione principale finisce per essere
quella degli interessi e dell’economia di una stretta cerchia venendo meno
all’impegno preso e alle promesse fatte all’elettorato. Spesso il politico
esercita un potere che raramente coincide
con i problemi di cui dovrebbe occuparsi seriamente. La Democrazia è diventata un’utopia e molte
volte in suo nome si governa come in una
dittatura. Non siamo più in democrazia se
siamo nel periodo della sfiducia, del populismo e dell’incapacità di
stabilire ordini e definire valori per
tutti. Oggi si permette tutto a tutti e lo avvertiamo in rete, dove la
possibilità di esternare può diventare nemica della stessa democrazia. Questo fa capire quanto sia difficile
accontentare tutti. La democrazia stenta a riconoscere anche i sui principi
ispiratori come la libertà nel suo aspetto civile, politica e sociale,
nell’uguaglianza, nella solidarietà che sono poi i capisaldi di un illuminismo
ormai in declino. La globalizzazione ha presentato il conto: allargando i
confini si è trovati in territori talvolta ingovernabili. Nella odierna società
liquida, come afferma Bauman, le problematiche non finiscono mai, gli interessi
si allargano a macchia d’olio e voler esaurire ogni situazione in ogni campo è
pura utopia. Bauman afferma che al caos moderno preferiamo rifugiarci in un
passato quando era tutto più limitato e dove il limite dava la possibilità di
operare e svolgere realmente l’attività politica, calati in una “retrotopia”. La
politica è credibile se coerente, se ha rapporti col territorio, se si impegna
e attua strategie di risoluzione, se gli interessi non si limitano solo a
quelli di tipo economico. Il voto, quello che a noi sembra la più democratica
espressione, è stato spogliato di ogni valore e non stabilisce più alcun legame
tra rappresentanti e popolo se poi il mondo va in direzione completamente
opposta alle richieste di tutti. La politica è diventata un mero esercizio di
Palazzo credendo che lì si concentrino
gli interessi, quasi fossero affari per pochi, e il popolo non c’entri,
allungando la distanza tra le parti. Quando i Romani affermavano che la
democrazia poteva sfociare in oligarchia, dicevano questo, e oggi siamo giunti
al capovolgimento della stessa. Qual è il modo di arginare questo pericolo, di
tenere sotto controllo questo fenomeno, visto che manca un contrappeso a tutto
questo? Secondo Michel Foucault abbiamo come antidoto solo il poter dire quello
che si sta sbagliando, il sorvegliare e il ribattere, il dire la verità ogni
volta che viene offuscata. Questa “parresia”, di farci dire quello che pensiamo
a riguardo, è l’unica forma di opposizione alla perdita di libertà e
capovolgimento della democrazia. Una democrazia che opera senza confini non è
più tale, sfocia esattamente nel non
governo. La tecnologia l’ha resa anche lenta, inadeguata. Mentre a Palazzo
discutono, per i vari gruppi, nelle chat, su twitter si scatenano inferni
peggiori delle arene romane. Prevale la legge del più forte visto che in questo
caso è difficile discernere la verità che trabocca da tutte le parti e nessuno
si cura di confutarla. La libertà sfocia nel permissivismo, la fratellanza
nella diffidenza per il prossimo, l’uguaglianza in discriminazioni continue.
Tutto questo esula dai concetti democratici o possiamo dire sono situazioni
nuove e moderne non contemplate dalla politica attuale. Quella di oggi è una democrazia ad horas,
quella dell’ultimo minuto, quello che si è detto in ultima battuta che vale
fino a prova contraria. C’è la voglia di tornare indietro, quando tutto era più
limitato e gestibile, scappando da una
realtà attanagliata anche dalla paura che resta il metodo di governo del
dispotismo. Un passato che porta La Gran Bretagna alla Brexit, gli Americani a
eleggere Trump, solo illusori cambiamenti che, invece di far migliorare,
apportano sempre nuovi rischi. La politica
nell’era tecnologica ha esaurito il suo vero ruolo. Resta quella di
Palazzo, formale, fredda e distaccata dal resto e questa distanza affievolisce
l’interesse politico, azzera l’impegno, fa aumentare i vuoti che si colmano con
altro. Accentrando il potere nelle mani di pochi, la res pubblica diventa
privata creando il caos.
Nella post-democrazia la
soluzione è una visone nuova del mondo che deve migliorare includendo tutte le variabili
che sono avvenute nel tempo. La vera politica è relazione e rete tra tutti, che
bisogna tessere con intelligenza che non sia opportunismo sempre ai fini di un
benessere di pochi. Fino a quando non capiremo che i pochi non possono
sopravvivere senza i molti, la politica non sarà mai vera né attiva, ma una
palude dove tutto viene coperto da melma.
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