Il gran Cancelliere Ferrer



Pedro, adelante con juiciodiceva Ferrer al cocchiere, mentre questi avanzava con la carrozza in mezzo alla folla. I rivoltosi si assiepavano intorno per salutare il gran Cancelliere che li avrebbe liberati dal Vicario di Provvisione, reo di non aver provveduto ad abbassare il prezzo del pane. “Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine […],dimenava adagio la frusta, a destra e a sinistra per chiedere che si restringessero e si ritirassero un poco”. Siamo nel XIII capitolo dei Promessi Sposi dove è in corso la rivolta del pane. Fa il suo ingresso Antonio Ferrer, politico a capo di Milano dal 1619 al 1635, in sostituzione del governatore Don Gonzalo de Cordoba impegnato in guerra. L’11 e 12 novembre del 1628 ci fu la rivolta del pane a Milano, detta anche la rivolta di San Martino, in quanto cadeva proprio l’11 novembre. Sono anni di carestia durante i quali aumenta il prezzo del grano e di conseguenza del pane. Il popolo attacca i fornai ritenuti responsabili dell’aumento, credendo che nascondano la farina per far lievitare il prezzo. Il gran Cancelliere Ferrer impone un prezzo troppo basso provocando il malcontento dei fornai. Di nuovo poi fu aumentato scatenando la rivolta. L’attacco al potere nei Promessi Sposi da parte dell’autore è ricorrente. Prima ancora di Ferrer altri personaggi sono stati presi di mira dal Manzoni, come il Conte zio nell’incontro col Padre Provinciale per allontanare Fra’ Cristoforo da Pescarenico. Il potere si serve di un linguaggio ambiguo che tende in inganno la folla. Qui il popolo è facilmente influenzabile e la scena diventa umoristica quando, acclamando Ferrer, giunto tra l’altro solo e senza scorta in mezzo a una calca pericolosa, questi viene accolto, da autore di sommossa, come il liberatore che solleverà dall’incarico il Vicario di Provvisione, ritenuto a torto artefice dell’aumento del pane. E la farsa continua quando giunge a casa del Vicario, a soccorrerlo e a portarlo via dalla folla inferocita che, già munita di scala, stava per penetrare nella sua casa. Il Cancelliere porta in salvo il Vicario nella carrozza facendolo nascondere in un angolo, mentre salutava la folla con parole in italiano. Egli assicurava ai rivoltosi la condanna del Vicario qualora fosse stato ritenuto colpevole, “Si es culpable”. Il potere parla una lingua ambigua come oggi, con o senza dominazione. Una frase, una parola ben pesata può aggiustare il tiro leggendo la realtà diversamente da come si presenta, buttando acqua sul fuoco fino a spegnere i fatti e farli risorgere diversamente, dargli altri connotati, controllarli prima ancora che nascano. Si fa presto a passar per galantuomo quando invece si è mascalzone. Il cancelliere sa che la calma è la virtù dei forti e dice a Pedro, il cocchiere, di procedere “adelante, si puedes”, “Vai avanti se puoi” dove la calma avrebbe dimostrato la sua azione liberatrice, di chi non ha niente da temere, giunto per difendere i diritti del popolo. Le parole, i gesti, il sorriso erano strumenti atti a placare gli animi. Il gran Cancelliere, uscendo dalla folla e dirigendosi verso il castello sforzesco, chiedeva al Vicario cosa avrebbe detto il Governatore di tutta quella rivolta, “che piglia ombra se una foglia fa più rumore del solito”. Furbizia e diplomazia, e due lingue per esprimersi: in italiano per rispondere al popolo e andargli incontro, in spagnolo per far emergere il suo vero pensiero. Un personaggio doppio che fa dell’abuso uno strumento di potere sottovalutando il diritto e sprovvisto di ogni umano atteggiamento. Il potere agisce per ragioni che il popolo non vede se non quando vengono bistrattati ed elusi i suoi bisogni. Oggi che la cultura avvicina di più le due parti, il contraddittorio diventa un po’ più difficile, ma ugualmente si trovano motivi per occultare le reali intenzioni della ragion di Stato.  E’ qui la classicità di un romanzo: una storia che aderisce perfettamente ai fatti di ogni tempo pur cambiando le epoche e le motivazioni. Allora gli Spagnoli, oggi i partiti e poi i gruppi, le fazioni portano avanti una politica che si oppone ai programmi. Non basta capire che il Vicario è innocente e il Cancelliere sta sostenendo solo un ruolo per difendersi. Bisogna opporre un simile gioco di parole per contrastare gli eventi. La lingua come inganno, soprattutto in politica, è un altro tema ricorrente nell’opera: lo stesso Azzeccagarbugli, quando non vuol che si capisca, si esprime in latino, dando a Renzo l’illusione che il sapere tragga d’impaccio un ignorante. Don Abbondio fa sfoggio della sua cultura per sfuggire a spiegazioni che non può dare. Il doppio gioco della lingua diventa discriminante nei confronti di chi non sa. Ma anche oggi che l’istruzione ha fatto i suoi progressi, le parole non riescono a dire ciò che devono, e ad assicurare la giustizia e la trasparenza, ma sono più adatte a nascondere quello che non verrà detto per portare a termine i fini prefissi dalla politica.


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