Diego Velasquez è uno dei più rappresentativi e importanti artisti
dell’epoca barocca alla corte di Filippo IV. Tra le sue opere più celebri il
ritratto di papa Innocenzo X, definito da Joshua Reynolds “il più bel quadro di
Roma e uno dei più bei ritratti del mondo”.
Velasquez fu in Italia per ben due volte e durante il suo
secondo viaggio nel 1650 ritrasse il papa. Venne a contatto direttamente con la
pittura italiana, rivelandosi uno spirito parallelo a Caravaggio. Visitò diverse
città tra cui Genova, Napoli e Roma, in quest’ultima lo accolse il Bernini. Per
la sua fama di grande ritrattista, la corte convinse il papa a posare per il
pittore ma Innocenzo, diffidente, volle provarne l’abilità prima di
commissionargli l’opera. Velasquez gli portò allora il ritratto del mulatto
della sua bottega Jean de Pareja e, solo dopo aver visto il quadro di rara
bellezza, il papa si persuase a farsi ritrarre. Appartenente alla famiglia Pamphili, Innocenzo X era diretto discendente di papa
Alessandro VI Borgia.
L’artista pose il protagonista nella stessa posizione del
dipinto di Giulio II di Raffaello e di Paolo III di Tiziano. Il pittore
stravolge la posizione dei tre quarti, che è la posa del ritratto illustre e
maestoso, spostando l’asse verso destra, con particolari così realistici da
viverli da vicino e coinvolgendo lo spettatore direttamente sulla scena. Il
pittore, che aveva dato forma agli umili all’interno delle sue tele come nani,
vecchi e buffoni, dipinge con un tale realismo da bloccare sulla tela non solo
l’aspetto esteriore ma i pensieri, le preoccupazioni, l’insofferenza e la
diffidenza del papa come mai prima era accaduto. Chi osserva diventa diretto
interlocutore e testimone della scena ripresa. E mentre Raffaello pone il papa
in una “olimpica universalità”, Tiziano ritrae l’arcigno Paolo III in una scena
ricca di particolari e significati. Velasquez comprime le immagini dei due
artisti precedenti in qualcosa di più vero e reale, costruendo una scena ancora
più pregnante. Il papa ha nella mano sinistra la lettera con cui Velasquez si
presenta a lui e guardandolo si mostra ancora diffidente. Del protagonista
emergono bruttezza e solitudine con quegli occhi che penetrano chi lo guarda e
allo stesso tempo lo allontana. Le stoffe con pieghe e drappi che sembrano
defilarsi sulla poltrona, il colore sgargiante e acceso del rosso, protagonista
della scena in tutte le sue declinazioni, la posizione della mano destra
appoggiata alla poltrona che dà la sensazione dell’attesa così come della
possibilità che possa spostarsi di lì a poco, la mantellina con le sfumature
che ne annunciano piccoli movimenti, pur restando fermo danno all’opera il
taglio moderno rispetto ai precedenti. Il Velasquez resuscita il famoso rosso
di Tiziano, così come lascia trasparire dal viso del papa non quella santità
che ci si aspetta da lui ma l’espressione di un brutto ceffo che alla pazienza
oppone l’insofferenza della posizione assunta nella poltrona della scena
ritrattistica ma ancor di più in quella della vita curiale. Il pessimo carattere
del papa è reso marcato e predominante attraverso la barba rada, le labbra
serrate e quegli occhi arcigni che lo rendono scontroso. Realismo e modernità
sono perfettamente miscelati con un effetto strabiliante che rende l’opera unica.
Lo stesso papa, alla vista del ritratto, non credeva ai suoi occhi per quanto
si rivelasse vero. La celebrità di questo dipinto è data proprio dal fatto che
una volta guardata la tela, non la si può più dimenticare: l’indisposizione del
protagonista, il colore dominante della scena, il rosso, e il coinvolgimento
dello spettatore in esso sono effetti troppo penetranti per passare di mente.
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