La clinica delle piante

 

Sul mio terrazzo ho diversi vasi con gerani parigini e dipladenie. Prendermi cura delle piante è un ricongiungermi alla natura. In quel terreno c'è vita: foglie nuove, insetti, rami che si appoggiano dove trovano sostegno, fiori che vorresti non appassissero mai ma il giorno dopo sono già senza vita.  Mentre le annaffio, tiro le erbacce dai vasi, strappo qualche ramo con foglie secche, pulisco il terreno. 

Ogni settimana le concimo, mentre ogni mattina, dopo aver controllato l'umidità del terreno, mi rendo conto se necessitano di acqua. 

 Nonostante le cure, spesso si ammalano. Ora per i parassiti, ora per l'acqua che scarseggia o è abbondante, ora per le erbacce che non lasciano respirare la base. Osservandole ho capito che non a tutte piace il posto che occupano, altrimenti, con lo stesso trattamento, dovrebbero rispondere allo stesso modo.

Alcune sono troppo esposte al vento, altre troppo al sole, altre crescono in direzione opposta a come sono state predisposte. Una parte di terrazzo è molto ventilata e, per capire se sia il clima a renderle fragili o qualche errore da parte mia, ho predisposto un tavolo in un angolo soleggiato per metà mattinata e senza vento. Porto lì le piante da curare.

 Il primo vaso portato al tavolo clinica, come l'ho nominato, è stato un rametto secco di un parigino bianco che lentamente si è assottigliato sempre più. La tentazione era di buttarlo ma volevo anche provare a riprenderlo. Ho scelto di accudirlo. Le mie sensazioni erano giuste: aveva bisogno di cure. Ben presto quell'unico rametto, ridicolo in un vaso grande, secco e perduto nel terreno dove anche l'unica fogliolina aveva reclinato il capo, è diventato verde, un verde scuro, così intenso da rendere tutte le altre scialbe. Poi è comparso un fiorellino, minuscolo. Dopo quindici giorni ha prodotto altri due rametti e poi un altro ancora. Ora è una pianta folta e con fiori. E pensare che stavo per buttarlo. Spesso abbiamo questa tentazione, di buttare le cose quando non si presentano come desideriamo. Bisogna affinare la pazienza, e non solo in questi casi.  

Quando le cure sono efficaci, allora la ripongo di nuovo al suo posto e sposto l'attenzione su un'altra. Tra di loro credo ci sia una po' di gelosia per chi prende il posto di osservazione al tavolo, anche se prima o poi capita anche alle altre di passare di là. Quando ritornano sulla ringhiera, cominciano a fare i capricci: perdono di nuovo qualche foglia, o i fiori, alcune foglie ingialliscono come in autunno. In questo caso, mentre le annaffio, chiedo loro cosa sia successo per ridursi di nuovo così. 

Mia figlia mi osserva dalla sua camera e ride nel vedermi parlare alle piante chiedendomi: "Mamma, ma sei seria?"

"Fin troppo" le rispondo e lei si sganascia dalle risa.

I parigini hanno bisogno di molte cure, mentre le dipladenie sono più forti. Per curarle tutte devo fissare il giorno in cui occuparmi di loro. 

Le piante portano vita, con loro arrivano gli insetti, e ce ne sono di strani, mai visti prima. Le formiche camminano a schiere sui corrimani. Puntualmente faccio pulizia spazzandole via, anche se mi dispiace. A volte le riprendo poichè invadono il terreno e fanno strage di fiori e foglie. Le interminabili file attraversano tutto il terreno, salendo fin sulle cime dei fiori. È come se prendessero possesso del vaso facendo di tutto per abbattere la pianta. Altre volte, quando vedo le coccinelle appoggiate come spille sulle foglie, mi viene in mente che sono il simbolo della fortuna, ma intanto sono insetti e fanno danni come tutti. Per non parlare dei ragni che imbrigliano nelle loro ragnatele intere sezioni di foglie e fiori. Con una stecca di legno le arrotolo facendo attenzione a non strappare altro. 

Osservando la vita nei vasi noto che accade lì ciò che avviene nella nostra. Queste osservazioni continue sono un ottimo allenamento del pensiero. 

E poi dicono che ho il pollice verde. 

"E' il tempo che hai perduto con la rosa che ha fatto la tua rosa così importante" diceva Antoine de Saint Exupery. 

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