Avete mai provato a mettervi nei panni degli altri? Avete mai
cercato di capire un altro punto di vista? Avete mai abbandonato le vostre
certezze? Se la risposta è no, siete misantropi: chi vive nella sua routine, nel suo piccolo mondo, pieno
solo del suo lavoro, delle sue idee. E gli altri? Gli altri sono lontani mille
miglia, non capiscono, non sono alla stessa altezza. Provate fastidio a unirvi
alle persone, a cambiare ritmi e orari, che facciano saltare le vostre
abitudini, perdere il vostro equilibrio. I misantropi vivono di se stessi ma
hanno bisogno di abbattere gli altri per stare tranquilli. Spesso invadono, insistono,
chiedono aiuto, attenzione, ma subito dopo disconoscono ciò che è stato fatto
per loro. Se la vita va bene così, non hanno bisogno di niente. Se qualcosa li
preme, sanno diventare perfino invadenti, inopportuni, seccatori.
Il misantropo vorrebbe condurre gli altri ai suoi pensieri, come
se fosse possibile leggergli ciò che ha in testa, dove fa conti e processi più
di un tribunale. In lui tesi e antitesi, domanda e risposta, malattia e cura.
E’ incapace di intrattenere un rapporto con un altro essere per il piacere di
condividere idee, opinioni, fatti. Si presta a stare in mezzo agli altri solo
per convenienza, per certi versi gli facilita la vita. Ciò che lo tiene alla
larga dai suoi simili è il sentimento di superiorità, così alto da poter fare a
meno di tutti. Pur annoiandosi, non è capace di smuovere la situazione, manca
di empatia, non ha alcun senso di gratitudine e convive con un sentimento di
rabbia perenne. Il mancato confronto col prossimo, porta a esasperare questi
sentimenti. Finisce per vivere in una morsa se gli altri non gli mostrano gli
effetti negativi del suo comportamento. Prendere atto del suo atteggiamento
negativo, è già un punto di forza per uscire dalla condizione patologica, ma
non basta. Molto spesso sono quelli che vivono accanto al misantropo ad
accorgersene e non sempre ammettere di esserlo porta a voler cambiare. Ci si
abitua alla condizione e si finisce per credere che quella sia la giusta
visione di vita.
In letteratura ce n’è uno, famoso: Alceste, protagonista
della commedia di Moliere, Il misantropo.
La parola, dal greco, significa odio verso il genere umano. Moliere la scrisse
nel 1666, in cinque atti, rispettando le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione.
Il protagonista è onesto e sincero, malinconico e depresso, s’isola dagli altri
per trovarli corrotti e offensivi, rifiutando il comune modo di sentire.
Proprio per essere onesto e sincero distanzia gli altri, che appartengono a una
società marcia, ma poi cade in contraddizione nel frequentare ambienti frivoli
e pettegoli.
Ha un’ottima opinione di se stesso credendo di avere sempre
ragione proprio per la sua integerrima coscienza. Vive in una sorta di delirio,
si arrabbia facilmente, noncurante dei sentimenti altrui.
“In Moliere”, secondo Harold Bloom, il più grande critico
letterario americano, “la verità è sempre elusiva, relativa, sempre contesa da
scuole, individui o schieramenti contrapposti.”
Alceste è un uomo privo di umorismo, molto duro con se
stesso, vittima della mollezza del suo tempo. E’ irriverente e indignato, un
contrasto dal quale emerge la sua comicità. Si rintana nella sua solitudine,
finendo per isolarsi. In questa condizione assiste anche al fallimento del suo
amore per Celimene. Alceste ama solo se stesso.
E come diceva Montaigne: “Se vuoi metterti fuori di te stesso
e sfuggire all’uomo, cadi nella follia. Non t’innalzi ad angelo, ma ti abbassi
a bruto”.
Una commedia quanto
mai attuale, per gli argomenti che tocca, soprattutto per trattare i rapporti
all’interno della società, ancora oggi gli stessi di allora. Come ad esempio
questo passo in cui si parla di amicizia:
FILINTO - Be’, ma, insomma, che
avrei dovuto fare secondo voi? ALCESTE -
Per me, un uomo ha da essere schietto. Un uomo d’onore non deve dire una parola
che non gli esca dal cuore. FILINTO - Già; ma quando uno vi viene incontro e
v’abbraccia raggiante di gioia, che fate? Gli voltate le spalle? Dovete bene in
qualche modo corrispondergli! ALCESTE - Niente affatto! Ed è proprio questa
ipocrisia, così di moda oggi, che più di tutto detesto. Le detesto queste
smorfie e smancerie; non li posso vedere questi ciancioni a vuoto, che con
tutti scambiano abbracci e a tutti prodigano attestati di stima e d’amicizia,
senza distinguere chi vale da chi non vale. Che farsi della stima e
dell’amicizia, degli sperticati elogi d’uno, pronto a ripetere la stessa
commedia col primo che passa? No, no: per poco che un uomo sia sensibile, d’una
stima così a buon prezzo, non sa che farsi. Come può lusingare vedersi portato
alle stelle e poi confuso con chiunque altro? Una persona si stima in quanto si
sceglie, si distingue dagli altri; altrimenti, che significa stimare? Chi stima
tutti, non stima nessuno. È l’uso, oggi; l’andazzo. E poiché voi siete del
vostro tempo e di questa pece anche voi siete intinto, non siete fatto per
essermi amico. L’amicizia di uno che la sua amicizia la concede a tutti, senza
guardare se la meritino o no, io non la posso accettare. L’amicizia la gradisco
se nasce da una scelta; voglio, insomma, che mi si distingua; e, per parlar
chiaro, d’un amico che è amico di tutto il mondo non sento alcun bisogno.
Il pronome preferito dal misantropo è Io, la più grande
mancanza, l’ascolto. Chiudersi nel proprio recinto senza lasciar filtrare la
vita per esserne sfiduciato è il motivo della sua chiusura.
La cura è data dall’includere l’altro e tralasciare il sé.
Nessuno può agire se resta sulla propria riva, per immergersi bisogna andare,
attraversare.
Immagine: "Il misantropo" di Bruegel
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