Giuda

 



“Giuda” di Amos Oz è un romanzo da non perdere, quanto mai attuale. Durante la lettura non c’è un solo momento di noia. È interessante sul piano narrativo, storico e psicologico.
 La storia è collocata tra il 1959 e il 1960 a Gerusalemme, con un giovane protagonista, Shemuel Asch, iscritto alla Facoltà di storia e scienze delle religioni. Ancora preso dai fatti
 accaduti dieci anni prima nella sua città, sceglie come tesi di dottorato “Gesù visto dagli ebrei”. Ma a causa di un dissesto finanziario della famiglia è costretto a lasciare gli studi.

 Per giunta è stato appena lasciato dalla sua ragazza, andata in sposa al suo primo amore. E avrebbe lasciato Gerusalemme se non avesse letto nella bacheca dell’ateneo l’annuncio di un impiego presso un anziano uomo, bisognoso di compagnia ma soprattutto di conversazioni. Shemuel accetta e prende lavoro presso Gershom Wald. L’approccio con la casa e la famiglia è alquanto diffidente. Aleggia tra quelle quattro mura una sensazione di mistero alimentata non solo dall’anziano uomo, un professare settantenne, colto e logorroico, acceso conversatore che intrattiene discorsi a telefono con gli amici e con Shemuel, ma anche dalla presenza di Atalia, una giovane donna che vive lì, di cui il ragazzo non capisce il legame con l’uomo. Le sue mansioni sono di imboccare il paziente e conversare con lui per una parte del giorno. Shemuel approfondisce, con grande fatica, la conoscenza della donna, una quarantacinquenne da cui si sente attratto, scoprendo che è la nuora del vecchio, moglie del figlio morto. Atalia contrariamente al suocero è taciturna e solitaria. Intanto Shemuel continua le sue ricerche per la tesi e s’infittiscono le conversazioni col vecchio proprio sugli argomenti da trattare. La storia procede con la trama e con i fatti storici del paese coniugando i due aspetti in una perfetta fusione. Il romanzo è un approfondimento della questione palestinese. Con lucida analisi Oz fa una disamina attenta e precisa partendo dal cristianesimo visto dagli ebrei, e dal traditore per antonomasia: Giuda. E’ la storia di questo tradimento e del tradimento in genere. Giuda Iscariota diventa così il primo vero cristiano, chi ha creduto fino alla fine in Gesù come figlio di Dio spingendolo alla crocifissione per manifestarsi agli altri. L’autore afferma che Giuda Iscariota non poteva vendersi per trenta denari, era ricco a differenza degli altri apostoli e non si sarebbe prestato a niente se non mosso da un sentimento vero verso Gesù. Giuda è quindi l’ideatore, l’organizzatore, il regista e il produttore del dramma della crocifissione. “Chi è pronto al cambiamento, chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno paura da morire del cambiamento”. Shaltiel Abrabanel, padre di Atalia, aveva un bel sogno e per questo sogno, dice l’autore, lo hanno chiamato traditore. L’aspetto più prettamente storico dei fatti è dato proprio dal personaggio di Abrabanel, un sognatore che vedeva il mondo senza confini con la convivenza tra ebrei e arabi in uno stesso territorio. Una concezione vista dall’autore come unica possibile, capace di attutire il male che devasta quei territori. Al contrario, chi vaneggia la costituzione di uno Stato all’interno di un altro, dettato da ideologie e fanatismo, non può che portare a un odio eterno spargendo sangue all’infinito. Lo stile affascina quanto la trama e la storia. L’autore ci conduce lentamente, tra il misterioso e lo spirituale, attraverso i personaggi, combinando con maestria i fatti su più piani, nell’attesa che qualcosa porti alla verità. E come sembra avere la risoluzione al problema, poi torna sui suoi passi e lascia il lettore in una serie di domande. La questione non è in un senso o nell’altro, è piuttosto una commistione di fatti e punti di vista ciascuno con effetti collaterali per cui è difficile trovare una risposta univoca. Alla fine lascia una sensazione di maggiore conoscenza sulla questione rispetto all’inizio della lettura ma anche uno stato di smarrimento, come se non ci potesse essere alcuna soluzione valida per tutti ma solo un compromesso cui attenersi. Ogni parte dovrebbe perdere un po’ delle proprie pretese e accogliere le richieste altrui. Lo stesso Shemuel alla fine non sa più quale strada intraprendere: “Shemuel conosce la caducità delle illusioni, ma stenta a trovare un cammino alternativo, un senso al suo vivere e al suo essere ebreo”. Non sa dove andare e alla fine la risposta non arriva da nessun altro se non da se stesso.

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