Giotto

La mia passione per la pittura affonda le radici nella mia infanzia, quando avevo a portata di mano una valigetta completa di 32 matite colorate, fogli e carboncini e me ne andavo in giro a ritrarre tutto ciò che ai miei occhi dava emozioni. La prima immagine rappresentata sui miei fogli è stato il disegno che ancora oggi viene riprodotto sulla scatola dei pastelli Giotto: il pittore che disegna la sua pecorella su di un masso davanti a un gregge  e dietro di lui Cimabue. Ero talmente innamorata di questo disegno che l'ho riprodotto non so quante volte. Crescendo ho sempre associato la parola disegno a  Giotto, il pittore pastore, geniale tanto da superare il suo maestro Cimabue. Io stessa a scuola raccontavo la storiella di Giotto, della sua bravura e di  Cimabue che lo volle nella sua bottega. Quando l'ho studiato per l'esame di  storia dell'arte all'università, mi sono resa conto di quale grandezza fosse quest'uomo.           

Compianto sul Cristo morto, 1303-05
Cappella degli Scrovegni, Padova.
La pittura del duecento risentiva degli influssi bizantini giunti in Toscana attraverso gli scambi che Pisa intratteneva con Bisanzio. E' appunto con Giotto, alla fine del secolo, che la pittura si stacca lentamente dal bizantinismo per acquisire fondamentali innovazioni e avere una propria autonomia del tutto italiana. Il primo dipinto del giovane Giotto fu probabilmente "Esaù respinto da Isacco", straordinario nelle sue novità, dove emerge per la prima volta una leggera prospettiva, uno spaccato d'interni dove i corpi sono plastici e sembra emergano verso l'esterno. Ci sono espressioni e atteggiamenti mai presi in considerazione prima e  pur essendoci delle contraddizioni, questo affresco è il punto iniziale di una nuova pittura. E' una delle tante opere, assieme alle  Storie di Francesco, che fanno parte di quel gran lavoro 

commissionato a Cimabue e le sue maestranze, nella basilica superiore d'Assisi, da papa Niccolò IV, e  dove si distinse l'allievo. 
Giotto rifiuta, dunque, il retaggio bizantino e tutto ciò che di esuberante vi era nel suo maestro Cimabue, da cui prende solo la componente naturalistica. Egli si appoggia a riferimenti classici emergenti dallo stile gotico così come alle figurazioni paleocristiane, riprende effetti di spazialità e di plasticità dimenticate ormai da secoli. Nel 1303 è a Padova per affrescare la cappella di Enrico Scrovegni, il più ricco cittadino di Padova. Questi viene menzionato da Dante nell'Inferno, nel girone degli usurai. Nella Cappella Giotto rappresenta le Storie della Vergine, le Storie di Cristo, i Vizi e le Virtù e il Giudizio Universale. La Cappella è superba nei suoi colori  vivaci e intensi dove prevale il blu  ultramarino, ma anche il bianco e il rosso delle cornici e degli intarsi. Giotto muove qui con maggiore efficacia i suoi personaggi, tra cui spicca il celeberrimo "Compianto di Cristo morto". E' uno straordinario repertorio di pose a cominciare da San Giovanni che, con le braccia aperte, si protrae verso Cristo in posizione china, la madre con le braccia allacciate al collo sospende il figlio da terra con atteggiamento materno e commossa; e poi le figure sedute di schiena in primo piano, anche qui per la prima volta con le spalle al chi osserva risultando morbido nei drappeggi che lasciano intravedere le forme del corpo; l'azione di tutta la rappresentazione è concentrata in basso sul lato sinistro e ogni cosa converge in quel punto. E' un affresco dove prevale la realtà delle emozioni umane, da cui emerge lo svolgersi intenso della vita contrariamente agli affreschi della Basilica di San Francesco dove, invece, c'è un'attenta analisi dei particolari. Egli non si abbandona alla commozione ma riesce a a ricostruire tutto in modo razionale e fedele alla storia dei fatti. E che dire della "Presentazione della Vergine al tempio" o della "Strage degli innocenti", dell'affresco della "Giustizia" e dell'"Ingiustizia", della "Cattura di Cristo" o di "Anna e Gioacchino alla porta aurea". Giotto è il pittore che conduce alla forza espressiva, che fa uscire dalle forme rigide e fisse del periodo precedente per dare alla pittura un'impronta tutta italiana e che continuerà, da questo momento in poi, a caratterizzarsi sempre più.

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