Non abbiamo più la passione di aggiustare le cose, ce lo
vieta il consumismo, la voglia di
cambiare e la convinzione di buttare via le cose vecchie. Il discorso finisce
di solito così: il tempo che spreco ad aggiustarlo, lo guadagno comprandolo
nuovo. O anche “la spesa non vale l’impresa”. Una volta non era così: non c’era
il benessere di oggi e prevaleva il
gusto del fare. Mio nonno, da bambina, mi portava per i campi nei suoi giri di
perlustrazione, con i suoi “tortanelli”, piccoli rami elastici con cui legava tutto
ciò che pendeva e non stava al suo posto. Era come un sarto: aggiustava la
vite, tirava su una ciocca di albicocche, innestava, legava i cespugli per dare
loro una forma.
Aveva sempre al seguito le cesoie e i rametti per cucire,
suturare, otturare, innalzare. L’arte che aveva nelle mani era inverosimile. Una volta gli ho chiesto
dove prendeva quei laccetti e corde di rami
di cui si serviva per lavorare e così
mi elencò tutti gli alberi da cui si ricavano. Mi parlò delle ginestre,
del salice, dell’ulivo, dell’olmo, del ciliegio, del castagno, alberi che
forniscono ramoscelli sottili per legare o intrecciare. L’uso che ne faceva era
notevole e non gli bastavano mai quelli ricavati dai suoi alberi. Quando la scorta
finiva andava al mercato di Piano per procurarseli e usciva esclusivamente per
questo. Non se ne serviva solo per aggiustare le posizioni di rami e ciocche
cadenti, anche per creare ceste di vimini su misura, in quei formati difficili
da trovare e che lui confezionava con grande perizia, un’arte che oggi quasi
non esiste più. Eppure in diverse parti d’Italia ancora si intrecciano ceste,
ma anche qui ci sono cestai di lunga tradizione. Mio nonno di solito li
aggiustava, soprattutto quelli che perdevano i ramoscelli dalle loro postazioni
e restavano in aria creando fastidio o facendo assottigliare la capienza del
contenitore. I rami di salice erano adatti ad ogni lavoro, soprattutto per l’intreccio.
Quando il nonno intrecciava una cesta, si sedeva comodo sulla scanno, sedile
ricavato da un ceppo e con ramoscelli alla mano cominciava a lavorare. Prendeva
un bel po’ di bastoncini rigidi e li fissava al centro formando una croce creando così la base per lavorarci intorno.
Poi cominciava il lavoro in altezza, tessendo tutto intorno la trama con i suoi
“tortanelli”, come li chiamava. Mi colpiva la passione che ci metteva: non
alzava lo sguardo dal lavoro e a volte non aveva cognizione di quello che gli accadeva
a due passi. Tutto sommato erano piccole ceste
per sistemarci la frutta o utensili, piccoli lavori. A me ne dava una piccola dove sistemavo fiori
o frutti caduti dagli alberi. In fase di lavorazione, il nonno appoggiava
l’intreccio avviato sulle ginocchia e faceva in modo che stesse frenato anche
se a tratti lo girava tra le mani per agevolare i vari passaggi. Si fermava
quando ne usciva un lavoro ben rifinito. L’arte di intrecciare i rami dovrebbe
essere ripresa da chi la conosce bene per fare in modo che i giovani imparino
vecchie tecniche sempre utili. In questo modo si conoscono gli alberi e la loro fioritura, il tipo di legno,
l’elasticità dei rami e per quali lavori. L’arte del fare andrebbe intrapresa
in ogni caso, sia che si scelga un mestiere che una professione e il costruire
insegna tante cose, persino a pensare. L’arte
del costruire è rilassante, il fare riposa la mente così come il pensare riposa
il fisico. Per l’intreccio non servono rami veri e propri ma polloni, quei
ramoscelli che crescono alla radice della pianta o da nodi di alberi e si
mostrano più flessibili e teneri degli altri.
La voglia di fare e di creare può essere contagiosa. Ci sono
in giro piccoli capolavori che vanno a ruba e sono un richiamo non solo per i
turisti. E poi c’è un ritorno alla
natura che si avverte anche in casa preferendo il legno alla plastica con ceste
e oggetti ricavati dai rami di alberi di varia provenienza. Sanno dei terreni
dei diversi luoghi dove i polloni per l’intreccio sono cresciuti. Creare una
scuola che tenga conto di queste arti antiche è un modo per non perdere le
proprie radici, la tradizione dei padri e la conoscenza del territorio.
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