E’
opinione comune che la storia e la geografia siano discipline distanti tra loro.
Così almeno è stato fino a poco tempo fa. Oggi spazio e tempo sono più vicini.
Da quando siamo figli della globalizzazione, crediamo di conoscere bene il
pianeta così come trasformiamo la storia a nostro tornaconto, tanto si sa che è
scritta dai vincitori. Storia e geografia si completano e l’una serve
dell’altra per raccontarsi. Nel romanzo di Giulio Verne, Il Giro del mondo in 80 giorni, il protagonista, Phileas Fogg, vince
la scommessa per aver guadagnato un giorno viaggiando verso Est. Un espediente questo
per scrivere un romanzo alla scoperta del mondo come voleva la cultura positivistica in pieno periodo delle scienze
applicate. Il passaggio di quattro
continenti lascia il lettore meravigliato
per quello che impara dai luoghi visitati. Così, accompagnato da Passepartout, Fogg
parte da Londra per Parigi, arriva a Brindisi, attraversa Suez e poi Aden, da
lì a Bombay. Ancora Calcutta, Singapore, Hong Kong, Shangai, Yokohama, San
Francisco, Omaha, New York, Liverpool, Londra. Un viaggio che tocca appena le
mete, quanto basta per apprendere usi e costumi del posto. Conoscere l’esatta
collocazione di un luogo nel mondo così come conoscerne di nuovi è prendersi
cura del nostro pianeta. Una volta l’Atlante era strumento indispensabile dove
si sottolineavano le capitali, i fiumi, i monti, i laghi, i confini, le città...
Studiare un paese era un po’ come partire. Ricordo che la mia insegnante
esigeva che appoggiassimo il dito esattamente al centro del nome preso in
considerazione, senza guardare la cartina. Ma oggi perchè applicarci se ci pensano le agenzie a
spedirci nei posti, Google a fornirci coordinate, mappe, foto, magari di mete dove non andremo mai
ma in cui abbiamo l’illusione di essere stati. Dalla Tavola Peutingeriana alla
scoperta dell’America, ai viaggi di Marco Polo, alla colonizzazione delle
Americhe le carte hanno fatto un lungo cammino. La cartografia è relegata agli
esami universitari mentre nelle scuole il percorso è breve e snello. Chi vuoi che si cimenti nella spiegazione
delle isoipse, della riduzione in scala, delle carte tematiche o mappe, se i programmi
non prevedono che pochissime ore a settimana?
Ma se portano via la geografia come si potrà pensare di studiare la
storia? Come studiare le Crociate senza la geografia dei territori interessati
o la politica di Carlo V con un regno che si estendeva dalla Spagna ai Paesi
Bassi, se non cominciando dall’aspetto fisico e politico dei paesi chiamati in
causa? E come comprendere la storia della prima guerra mondiale senza la carta
fisica alla mano che mostri il nostro paese prima del conflitto e della terza
guerra d’Indipendenza, vista la relazione tra i due fatti storici? La
storia parla del passato, per mezzo di fonti, di documenti, in libri scritti da esperti e
accademici. La storia è porsi domande
sul passato e sul futuro mettendo in luce quello che altri hanno fatto prima di
noi. La geografia fornisce dati alla storia e quest’ultima usufruisce dell’altra.
Con il satellite, poi, controlliamo i confini del mondo come se lo avessimo in
mano. Più la tecnologia ci semplifica la conoscenza, più non approfondiamo. Spazio
e tempo intanto oggi camminano insieme ed e’ impensabile escludere dalla nostra
attenzione due discipline così importanti. Sarebbe come instaurare un processo
inverso al progresso e alla nostra umanità.
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