Gli anziani, oggi, sono una grande risorsa in un paese che
invecchia sempre più e dove le aspettative di vita continuano a salire.
Assistiamo i nostri genitori in questo processo giorno per
giorno anche se non accettiamo vederli
invecchiare, nonostante si tratti di un inesorabile ritmo cui andiamo incontro
tutti.
A volte gliene facciamo una colpa, non gli perdoniamo di allontanarsi dai
nostri ricordi, da quelle immagini giovanili che ancora girano per casa e ci
parlano del tempo in cui erano belli e forti e noi tra le loro braccia. Poi, in
breve, noi ci troviamo adulti e loro lontano da quel modello. E’ come sentirsi
traditi, delusi. Un sentimento reciproco che provano anche i genitori quando
non hanno più davanti il figlio bambino ma un uomo. Sono immancabili
considerazioni che avvengono in ogni rapporto affettivo. Ne scaturiscono
impressioni negative e positive e mentre i figli resistono per la vita ancora
in corsa, i genitori ne soffrono e somatizzano quei pensieri che restano dentro
senza risposta. Spesso si trasformano in
dolori fisici inspiegabili, manifestando in questo modo ciò che provano.
Vengono poi meno le forze, i progetti e l’entusiasmo. Dicono di non stare bene,
di non farcela, di voler riposare, di non riconoscersi per quello che facevano
prima. E’ la reazione ai cambiamenti che
innesca meccanismi di rivolta. Molte cose si trasformano in modo irreversibile e
ci vuole poco a cadere in depressione. Poi, che sia depressione, lo si capisce
quando cominciano altre abitudini, rallentano, evitano, non escono. Lentamente
le azioni di un tempo si spengono e giustificano l’atteggiamento con la
fatidica espressione: ”E’ la vecchiaia”, un processo fisiologico e ineluttabile.
La solitudine è definita dalla relazione
dell’altro, l’isolamento, invece, è una solitudine negativa in cui si è chiusi
in se stessi. “Non fa paura l’isolamento
causato da una malattia – afferma Eugenio Borgna – ma quello causato dal deserto delle emozioni, con freddezza
transferale, così inquietante e strisciante, così camaleontico e dissimulante,
così arido e così nascosto in ognuno di noi”. L’esperienza della quarantena
ci ha mostrato la fragilità di questa
fase di vita e di quanto si speculi su di essa. Non è il benessere che
interessa a un anziano, ma il calore della sua famiglia. Che vuoi che se ne
faccia di quello che mangia o veste, ha
bisogno di condividere la sua vita con gli altri, di tenere accanto i nipoti,
di sentirsi ancora utile e preso in considerazione, di essere a sua volta un
punto di riferimento per gli altri. La dignità
è restare quello che si è sempre stati.
A questa età si è più
fragili, si reagisce poco anche alla cattiveria, si è accomodanti, a volte
insistenti e testardi per dimostrare di avere ancora una volontà con la quale
imporsi. Anche il più sano degli anziani ha le sue carenze e momenti malinconici,
che dovrebbe superare in ambito familiare con una degna e accurata accoglienza.
E’ fondamentale continuare a fornire alle persone anziane l’attenzione di quando
erano al massimo della loro efficienza, senza declassarle a incapaci o bambini.
A questa età possono accentuare le spigolosità del carattere, diventando
lamentosi, ossessivi, insistenti, un buon motivo, secondo alcuni, per tenerli
lontano. Sarebbe troppo capire e sfogliare la vita di un anziano come un
insieme di fatti che lo hanno reso
quello che è ora? E’ l’espressione finale di un vissuto che lo ha forgiato. E
ancora si aspetta dalla vita ciò che non conosce. Per ogni uomo avanti negli
anni il giorno è prezioso, le piccole cose necessarie. Sa apprezzare quel poco
che riceve, che sia un saluto, un’attenzione, un sorriso, una mano e non
accetta di essere messo al bando. E scattano litigi e incomprensioni
all’interno della famiglia, a volte,
proprio per questa estromissione e dove ci si aspetta che a soccombere sia
sempre lui. E giungiamo alla conclusione che quella persona debba
stare da sola, volendola punire ancora di più. Queste disaffezioni diventano
nocive per chi le attua e per chi le subisce. Dovremmo avere più rispetto per
l’ultima parte della nostra vita facendola scorrere con serenità. La vera civiltà si preoccupa e si
occupa dei più deboli, ma nella nostra non abbiamo ancora dato valore alla vecchiaia: di solito o la eludiamo,
credendoci eterni giovani, o la sottovalutiamo, credendola una “fine” e basta.
L’anziano chiede di vivere nel contesto in cui è sempre
stato, chiede ascolto e vuole continuare a dare il suo contributo anche in condizioni non ottimali. Per non
parlare di quei sentimenti, a volte anche contrastanti, che attraversano la
mente come fulmini, con repentini cambiamenti di umore. Andrea Riccardi afferma
che “L’esperienza di invecchiare, fino a qualche generazione fa, era un fatto
di pochi, e limitata per lo più al mondo del benessere. Oggi, ovunque, è
l’attesa di ogni vita. Si possono allontanare gli anziani dalle case, si
possono allontanare dagli ambiti di vita, pensiamo alla presunta ineluttabilità
degli istituti, una mentalità profondamente sbagliata che porta ad atti di
disumanità, oltre che di follia pura, in termini economici e sociali, (…) ma
non si può eliminare quell’anziano che è in ognuno”. Il vero problema è la
paura della fragilità, ma talvolta
può diventare un punto di forza.
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