L’altro giorno in chiesa è stata dura assistere
alla liturgia con la mascherina a mo’ di “museruola”. Chi aveva gli occhiali stava
anche peggio, rimandando ai beccamorti del ‘600.
Sul sagrato c’era chi
misurava la temperatura corporea e sulla porta il dispenser col disinfettante
per le mani. I posti a sedere, distanziati, per ogni banco due persone. La chiesa aveva 100 posti disponibili. Il
sacerdote non sapeva dove sistemare le persone rimaste sulla porta, alle quali aveva
già detto dall’altare che non c’erano più posti liberi. Le vecchiette non recepivano
nemmeno il messaggio. Il Signore certamente non le avrebbe mandate a casa. Una
contraddizione se deve accogliere tutti. Come si fa a spiegare agli anziani questa
novità? Sembra inverosimile che una volta si entrava in chiesa a tutte le ore,
le porte erano sempre aperte e non c’era alcun limite da mantenere. A Pasqua e
Natale si stava come le acciughe, segno che eravamo tutti rispettosi e devoti.
Anzi, più si stava assiepati in chiesa, più era segno tangibile di fede.
Ora
solo due persone per banchi, agli antipodi, anche dello stesso nucleo familiare
e in tanto spazio ci si sente smarriti. La messa è iniziata con mezz’ora di
ritardo per sistemare chi era rimasto
fuori. Come poteva un tempo Gesù non
accogliere tutti? Come avrebbe potuto dire che non c’era posto, che bisognava
stare distanti? Già immagino Zaccheo (Lc 19,1-10) che, alla mancanza di
un sicomoro nelle vicinanze, cerca la postazione nel coro con l’organo, di
fronte l’altare, sovrastando tutti
dall’alto. Religione e salute, corpo e spirito che vanno in collisione! Conciliare
il diritto alla salute con la professione di fede. Alla fine il parroco ha
sistemato le persone nei posti disponibili sull’altare, sempre distanziati
secondo norma.
Molto suggestiva
l’immagine del sacerdote durante l’omelia con la mascherina che rollava sul
viso, come una barca sospinta dalle onde, mentre noi fedeli recitavamo le
preghiere avendo la sensazione che la voce giungesse da fuori. Il massimo lo
abbiamo raggiunto alla Comunione, ma prima il parroco ha spiegato come comportarci: allungare
le braccia e prendere l’ostia appoggiandola nel palmo della mano, poi con l’altra
prenderla e portarla alla bocca, spostando la mascherina. In quel momento
sembravamo tanti ladri che preso il bottino lo incameravano velocemente per non
farselo soffiare. E poi il segno di pace: ognuno si girava intorno alla ricerca
dello sguardo altrui su cui appoggiarsi, con un accenno di riso che si
percepiva da un arricciamento ai lati degli occhi. Ma ancora non era finita. A
fine messa, non sapevamo come salutarci tra amici, parenti, persone che non
vedevamo da tanto. A quel punto ci voleva una stretta di mano, un abbraccio, un
sorriso…ma niente. Qualcuno ha azzardato uno slancio, qualche altro si teneva a
notevole distanza, qualche altro ancora ci scherzava su. C’erano quelli che
rapidamente si salutavano facendo toccare il gomito, come quel gioco di aste
che si incrociano velocemente. E’ il nuovo modo di celebrare, dettato dal virus.
Non è la prima volta che la Chiesa si adopera a prendere precauzioni per le
epidemie. Una volta si sigillavano le
fonti battesimali e ci si muniva di altari portatili per messe all’aperto.
Oggi non mancano gli
esempi di strategie pastorali: negli Stati Uniti Tim Pelc, parroco di Saint Ambrose
(Detroit) asperge i fedeli a distanza
con acqua santa da una pistola, mentre a
Pisa, Mario Brotini, parroco di San
Miniato, dopo aver comunicato via Whatsapp l’orario del passaggio, percorre il
paese in un maggiolone con capote abbassata e brandisce un ramo d’ulivo per
benedire. (C.Ferlan sul Corriere della sera)
E chissà un giorno
diremo ai nostri nipoti: “Una volta in chiesa non era così. Si cantava a
squarciagola, si stava vicini nei banchi, si origliava la persona del banco
dietro o avanti, si scambiava una parola con chi non vedevi mai fuori di lì, ci
si confidava. Ci si incontrava tutti, era un po’ una festa, un momento di fede
e di comunione con gli altri. Una volta per prendere l’Eucarestia c’era una
lunga fila di persone con le mani giunte. E poi, nel tornare a posto, ci si
sfiorava, si chiedeva permesso, ci si salutava, incrociavi lo sguardo degli
altri regalando un sorriso. Il padre nostro si recitava tenendosi per mano e ci
si dava un segno di pace abbracciandoci e baciandoci”. Chissà che non ci
guarderanno con gli occhi fuori dalle orbite e ci prenderanno per dei
primitivi. La messa sarà svelta e ultramoderna e durante la funzione non si
vedrà più un sorriso, tutti mortificati da maschere di ogni tipo. Le uniche
fiammelle accese saranno gli occhi, le mani più ferme che mai. Togliendo il
tatto e la voglia di contatto come il gusto di proferire parola, forse daremo
più valore all’ascolto e alla vista insieme.
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