Konrad Lorenz, zoologo ed etologo, nacque a Vienna nel 1903. Per volere
del padre si laureò in medicina ma il
suo principale interesse fu la zoologia. Premio Nobel per la medicina e la
fisiologia nel 1973 per i suoi studi sul comportamento innato fondato sulla
teoria dell’imprinting, il processo di fissazione di impronta, a cui gli
animali si rifanno sin dalla nascita e che determina l’attaccamento al primo
che si muove davanti a loro e che riconoscono come la mamma. Nell’opera “Gli otto peccati capitali della nostra
civiltà” mette a fuoco i problemi che la civiltà si trova a dover
affrontare, accumulati nella sua evoluzione e che minacciano di ucciderla: la
sovrappopolazione della Terra, la devastazione dell’habitat umano, l’accelerazione
di tutte le dinamiche sociali a causa della competizione fra uomini, il bisogno
di soddisfazione immediata di tutte le esigenze, primarie e secondarie che
siano, il deterioramento genetico
causato dalla scomparsa della selezione naturale, la graduale perdita di
antiche tradizioni culturali, l’indottrinamento favorito dal perfezionamento
dei mezzi di comunicazione, la corsa agli armamenti nucleari. Intanto l’autore
definisce il suo libro una sorta di geremiade che porta a comprendere come il
rapporto tra esseri viventi pregiudichi l’andamento del pianeta.
Secondo lo studioso, tutti i vantaggi che l’uomo ha tratto da
una conoscenza sempre più approfondita, per paradosso porterebbero a favorire
la rovina dell’umanità. Nei paesi civilizzati, nessuno più è consapevole della
grande carenza d’affetto e calore umano. Le masse della metropoli fanno sì che
non si riesca più a conoscere il volto del nostro prossimo. Esso svanisce
quando è troppo vicino e numeroso. Ciò che resta del sentimento di calore e di
affetto è per soli pochi amici selezionati dopo aver fatto delle scelte. Questo
appiattimento ci porta all’indifferenza. Alla disumanità si aggiunge poi l’aggressività
e l’illusione che si possa formare un nuovo tipo di individuo immunizzato
contro le conseguenze nefaste del sovrappopolamento. Secondo Lorenz tutti gli
esseri viventi sono adattati gli uni agli altri, vale anche per quelli che si
contrappongono tra loro. Predatori e prede sono in stretto rapporto. “Come può”
si chiede il nostro “un individuo in fase di sviluppo imparare ad avere rispetto
di qualche cosa, quando tutto ciò che lo circonda è opera, per giunta
estremamente banale e brutta, dell’uomo? In una grande città i grattacieli e
l’atmosfera inquinata dai prodotti chimici non permettono nemmeno di vedere il
cielo stellato”.
Allo stesso tempo, in
una veduta aerea di un sobborgo moderno si vedranno case standardizzate senza
forma e senza cultura. A questo si aggiunge la competizione tra gli uomini. “Homo
homini lupus” per cui l’uomo è di gran lunga più pericoloso del più feroce
predatore. La competizione tra uomo e uomo agisce come nessun fattore biologico
ha mai agito, distruggendo con brutalità tutti i valori che ha creato, una mossa
esclusivamente da considerarsi utilitaristica. L’errore dell’utilitarismo sta
nel confondere il fine con i mezzi. Il denaro e il tempo sono due categorie
pericolose e ci si chiede se all’anima dell’uomo odierno procuri maggiore danno
l’accecante sete di denaro oppure la fretta logorante. Chi detiene il potere
politico ha interesse a favorire entrambi questi fattori spingendo gli uomini
alla competizione e alla paura di essere superati dai concorrenti, di diventare
poveri, paura di prendere decisioni, di non essere all’altezza. L’uomo moderno
è minato dall’angoscia in tutte le sue forme. L’angoscia e la fretta privano
l’uomo della riflessione e di rimanere con se stesso. La competizione economica
in cui si è lanciata l’umanità è sufficiente ad annientarla. Parallelamente a
ritmi sempre più stretti di lavoro c’è anche l’aumento dei bisogni dell’uomo.
Ogni produttore cerca di innescare nel consumatore il bisogno dei suoi
prodotti.
Altro campo preso in considerazione è l’estinguersi dei
sentimenti. Negli esseri viventi le reazioni condizionate possono essere
provocate da due stimoli contrapposti, producendo o la ripetizione del comportamento
precedente, quindi il piacere, o l’inibizione fino a estinguerlo del tutto,
quindi il dolore. Il rapporto piacere dolore pende nell’odierna società a
favore del piacere. Tutti gli uomini vietano la sofferenza grazie alla
farmacologia e alla tecnologia moderna rendendo tutti dipendenti. ”L’intolleranza
al dolore, si legge nell’opera, fenomeno sempre più diffuso ai nostri giorni,
trasforma i naturali alti e bassi della vita umana in una pianura artificiale,
le onde grandiose del mare tempestoso in vibrazioni appena percettibili, le
luci e le ombre in un grigiore uniforme. Cioè la noia mortale”. L’estinguersi
delle emozioni sembra minacci in particolare quelle gioie e quei dolori che
derivano necessariamente dai nostri rapporti sociali. L’impazienza a soddisfare
immediatamente ogni desiderio e la gratificazione istantanea è sfruttata dai
produttori che schiavizzano i consumatori ai loro prodotti. La preoccupazione
di evitare la sofferenza toglie anche la forma di piacere che nasce dal
contrasto tra sofferenza e gioia. Il non sopportare il dolore rende
irraggiungibile la gioia. Con l’indottrinamento si può condizionare l’uomo
adeguatamente. L’umanità entra in pericolo con l’imposizione di un falso codice
di valori che giova solo ai suoi manipolatori. Noi civiltà occidentale non ci
rendiamo conto fino a che punto siamo manipolati dagli interessi commerciali e
della grande industria. Gli uomini di
potere auspicano un’illimitata condizionabilità dell’individuo. Questi
manipolatori sono a loro volta vittime umane della loro disumana dottrina. E la
manipolazione delle masse porta alla rovina dell’umanità. La parola d’ordine è
la morte dell’individualità, per creare sudditi incapaci di ribellarsi. E se
condizionando l’uomo ci si può aspettare qualsiasi cosa e se ne può fare ciò
che si vuole, l’umanità commette qualcosa contro la sua stessa natura.
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