Il mio primo libro

 

Il mio primo libro avuto in regalo è stato un testo di geografia dal titolo: Gli Stati Uniti. Lo ebbi in dono dopo averlo scelto. Fu una domenica che con i miei andai a fare visita a dei parenti a Napoli. Allora frequentavo la seconda media. 

Quando giungemmo a destinazione, non avevo proprio l’aria felice e convinta di chi va a fare una visita. Una volta si usava, nei giorni di festa, fare queste uscite, ma io le avevo a noia e portavo sempre qualcosa da leggere in macchina. In quella casa trovai santini e San Gennaro nella teca, il presepe in bellavista anche ad agosto, il profumo delle sfogliatelle, veduta panoramica sul mare, una bouganville che accompagnava la ringhiera del balcone, il caffè che faceva sentire i suoi sbuffi scoppiettanti e l’aroma penetrante. In tutta questa bellezza e dettagli che pure non mi sfuggirono, di cosa mi occupai? Della libreria. Mentre le mie sorelle cercavano di darsi da fare attirando l’attenzione dei grandi, io m’incollai alla libreria che stava alle spalle del salotto. Una parete di libri in cui perdersi. Pensai alla fortuna di avere qualcosa del genere. Era d’estate, avevo una gonna nera, maglietta glicine e sandali con tacco di 5 centimetri, tanto mi era concesso se uscivo con i miei. Tutti erano intenti a parlare e prendere il caffè e nessuno si accorse di me dietro di loro. Presa dal leggere i titoli che mi scorrevano sotto gli occhi, non feci caso che i miei tacchi, ad ogni passo, facevano rumore, quasi a incollarsi al pavimento per poi staccarsene. Fino a quando tutti zittirono e finirono i tintinnii delle tazze sul vassoio, il rumore delle carte delle cioccolate che accartocciavano, i sorsi rumorosi del liquore, per cui il mio spostarmi divenne evidente. Il silenzio subentrò mentre aprivo un libro di favole illustrate di Esopo. Fu allora che i due giovani di casa si avvicinarono per aiutarmi a cercare ciò che mi serviva. Mentre noi tre leggevamo, mia madre si lamentò con i parenti ai quali raccontò che non volevo mai uscire e in macchina non guardavo il panorama ma leggevo. Le risposero di essere felici di potermi assecondare, di quella libreria nessuno ne usufruiva. I libri li avevano ricevuti in eredità con la casa. I due giovani mi condussero, poi, nella loro stanza dove c’era un’altra libreria più a misura d’uomo. Da quest’ultima trassi La casa nella prateria. In quel periodo lo stavo leggendo in inglese da un testo portato da mio zio dall’Inghilterra. In Tv avevo visto la serie americana cui mi appassionai tantissimo. Cominciammo a parlare di West, d’indiani, di colonie, carovane, pionieri. Il ragazzo più grande portò alla mia attenzione un testo di geografia e mi invitò a leggerlo. La copertina era rivestita con una carta di pasticceria di una volta i cui lembi all’interno erano incollati. Aveva più di duecento pagine, diviso in capitoli, ognuno dei quali parlava di un’area di America con tutti i suoi stati. Sedetti in un’ampia poltrona e cominciai a sfogliarlo. I due giovani, accanto a me, m’invitarono a prendere delle pagine che si rifacevano agli argomenti di cui parlavamo. E partimmo con le spiegazioni. Era fornito di numerose cartine e mappe ben fatte. E’ stato il testo migliore per lo studio degli Stati Uniti. E mentre eravamo immersi tra città e fiumi, nomi di presidenti e capitali, mi vennero a chiamare. La visita era finita e dovetti salutare. In macchina il libro lo tenni ben stretto. Appena a casa, tirai via la carta che sapeva di zucchero coprendolo con un’altra colorata. Quando cominciò la scuola ero a buon punto e coinvolsi anche la mia compagna di banco. Insieme facevano delle escursioni bellissime. Non bastava leggere, prendevamo l’atlante e andavamo a cercare le rotte descritte. Quando non servì più, lo riposi nel piano più alto della mia libreria. Sono passati anni e il libro non si è più visto. Fino a quando un giorno, avendo promesso dei libri che non leggevo più ai miei alunni, giunsi a scuola con una scatola piena di storie. Mentre distribuivo i volumi, ebbi in mano il vecchio libro degli Stati Uniti e lo trattenni.

  “Mi dispiace, gli dissi, non posso dartelo! Sai perché? Questo è il mio primo libro ricevuto in dono e deve restare sempre con me. Domani ne acquisterò uno nuovo, sempre di geografia per te”. Il ragazzo mi guardò poi mi disse serio: “Ci tieni così tanto a questo libro? Dev’essere importante!”

“Un libro porta con sé tante storie, ma anche ricordi”. Capì e sorrise.

Mi riportava il periodo delle scuole medie, i miei compagni di allora con i quali aveva un feeling speciale, il ricordo dei due ragazzi che mi aiutarono a scegliere e a spiegarmi il testo, quella casa di parenti che sapeva di caffè e anice, il tramonto in quella stanza dove ci sedemmo a parlare degli indiani, la corsa a comprare l’Atlante più grande e completo per farmi viaggiare con lo studio, i miei disegni delle carte geografiche ancora sparsi nella scatola, la mia vecchia libreria che lo ha custodito per tanti anni. Un libro è un ponte con cui passiamo anche da una parte all’altra della nostra vita. Sono alcuni giorni che non riesco a trovarlo. Ma sono anche sicura che, nell’unica scatola sigillata in cui non ho guardato, il libro mi sta aspettando dopo questo lungo encomio prima di venire alla luce.

E una volta in mano, leggerò anche le frasi dei baci Perugina lasciati all’interno quel giorno.

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