Non riesco mai a vivere maggio in pieno che già siamo a giugno. Quest’anno, poi, volevo dedicarmi al giardinaggio creando un roseto, ma avrei dovuto avviare i lavori a fine inverno. Ora è troppo tardi, devo accontentarmi di vederle altrove e non nel mio viale aspettando un altro anno per compiere il prodigio. Il mio impegno voleva essere una sorta di auspicio di fine guerra in Ucraina, un omaggio floreale a conclusione dello scempio che va avanti da febbraio. Il fatto di non esserci riuscita l’ho percepito come se il protrarsi della guerra fosse dipeso da questa mia mancanza. A volte la mente costruisce percorsi strani, anche stupidi ma in quell’infantilismo si nasconde il bisogno di far accadere ciò in cui speriamo.
Le rose traboccano dalle siepi e dai giardini in un tripudio
di colori e forme che ogni anno inondano la vista. Ogni roseto esplode di corolle
nuove nel miracolo di maggio. La vista gode delle sfumature e l’olfatto si
inebria di profumi intensi. I vasi ne sono pieni, gli omaggi sono rigorosamente
offerti con questo fiore. Dopo averle viste fiorire, è triste assistere alla
loro breve vita e veder sfumare in un mese le loro forze. Maggio incanta nei
campi e non solo con le rose, il caldo completa il lavoro sui rami, ormai tutto
è pronto per dare i suoi frutti. E pensare che poco lontano da qui i corpi
della guerra restano insepolti mentre avrebbero bisogno dell’ultimo saluto. Uno
sperpero le rose nei campi che servirebbero a coprire gli scempi a poche terre
da noi. Che maggio voglia spargere nell’aria profumi più di ogni altro mese?
Che ne sarà dei giardini invasi dalle macchine di guerra quando, con le loro esplosioni
devastanti, lasceranno al buio la bellezza delle corolle sostituendo al loro
profumo gli olezzi dei corpi in putrefazione? Anche questa è un rimedio della natura?
In Ucraina le rose non sono fiorite e i profumi si sono persi, in compenso solo
l’odore della morte si diffonde nell’aria. E se anche qualche superstite ramo o
cespuglio sopravvissuto alla violenza si ergesse, proprio a sfidare la morte, lungo
i muri sbrecciati e la terra martoriata, quale bellezza potrebbe offrire davanti
a tanta desolazione? Non morirebbe di dolore la rosa, afflitta per non poter offrire
il suo calice ad anima viva? A che serve la bellezza se gli occhi sono
ottenebrati dalla guerra? Eppure, in questa scena surreale della rosa tra le
macerie, sarebbe interessante osservare lo sguardo dello zar, trafitto da un
barlume di luce che il fiore gli dona. E’ un uomo, e avrà conosciuto la
bellezza e forse lo attanaglierebbe una tristezza che giunge come un proiettile
inaspettato. E se la guerra colpisce all’improvviso, allo stesso modo la rosa, nata
tra i resti di quelle che erano città e luoghi di vita, non lo lascerebbe indifferente, testarda si innalza dove non dovrebbe. Ci sarebbero buone possibilità di
educarlo alla vita che è più forte della guerra. Se lo zar potesse trovarsi nei
posti che vede in cartina ma non visita di persona, non disprezzerebbe la rosa,
seppur fatua, tra le rovine. Ma la guerra ha leggi che i fiori non conoscono e
la speranza, fosse solo un fragile stelo in una fumosa terra ridotta a cenere,
non deve mai morire. Forse sarà questo il fine della rosa e della sua bellezza:
non lasciare che i cuori induriscano, ma coltivino sempre, anche tra le arsure,
il fascino della vita che non si può permettere di perdere tempo a far la
guerra.
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