La matematica non è un’opinione. I calcoli danno risultati inconfutabili, aprendo la strada alle soluzioni.
Purtroppo è considerata una materia non piacevole da
insegnare e di conseguenza appresa male. E mentre cerca soluzioni astratte, la
vita le vuole concrete con i fatti. La gente quando si tratta di problemi, non ama
risolverli, ma procrastinarli, come lunghi strascichi che, alla fine, si
staccano da soli. Il problema vuole soluzioni attraverso confutazioni d’ipotesi.
Lo detta il metodo scientifico. Nella vita reale alla risoluzione dei problemi
opponiamo il piacere di tergiversare. Non che sia da attribuire alla mancanza
d’intelligenza, è un atteggiamento tutto italiano quello di chiederci il motivo
per cui proprio noi dobbiamo risolvere qualcosa se d’interesse pubblico. Meglio
lasciarlo agli altri. E’ come se avessimo l’inibizione di muoverci per primi
sapendo che, una volta risolto un problema, se ne presenteranno altri, senza
soluzione di continuità. E anche se la matematica insegna l’approccio ai
problemi, la releghiamo a un mero esercizio di materia scolastica. Le soluzioni
non sono la prima vocazione della politica, eppure dovrebbe essere così. Si
opera più per convinzione che per logica. E la convinzione è la ruggine delle
nostre menti: se proviamo a staccarla, accade come per il ferro, a quel posto,
dove abbiamo scrostato, resterà un buco, e il ferro non è più utilizzabile. Molti
procedono senza logica, solo per inerzia, facendo ammuffire il cervello che,
senza il supporto dell’abitudine e di ciò che ha acquisito, creduto eterno, non
pensa, non si sforza e non risolve. Allora se parli di migranti sei di
sinistra, che significa? Volendo ragionare su quest’affermazione non ci trovo
alcuna logica. Dovremmo trovare una soluzione al problema in modo oggettivo e non
accantonarlo una volta definito. Va da sé che ai migranti si aggiungono altri
problemi: prostituzione, lavoro, criminalità, degrado nei posti di accoglienza.
E le soluzioni sono come le ciliegie: non bastano mai. Ognuno di questi temi è un
nostro problema cui si aggiunge il nuovo, la migrazione. Il discorso comporta
aspetti politici, sociali e umani. Gli stessi politici formulano programmi che
mentre risolvono, ledono. La politica migliore è stata fatta quando si uscì
dalle guerre, c’erano fame e povertà, e le soluzioni si trovavano per
necessità. In tempi di benessere, più che maturare soluzioni si adottano
strategie per mascherare i problemi. Le situazioni non risolte crescono in maniera
esponenziale. E se per tanti anni abbiamo ucciso la matematica eludendola con
ragionamenti di convenienza e non scientifici, ora ci troviamo con soluzioni
impossibili. Sarebbe il caso di riprenderla in mano come vademecum ai nostri
problemi, che non si risolvono con le vecchie logiche politiche che servivano
per il tempo in cui sono nate, hanno bisogno di nuove proporzioni, equazioni,
ipotesi, e non algoritmi su cui si basa la moderna vita social. Il verbo “risolvere”
dovrebbe acquisire una nuova veste e usato più spesso con i fatti. I migranti sono
una realtà molto vicina a noi. E poi tutti i discorsi sul razzismo. In un mondo
che tocca gli otto miliardi di persone, c’è posto per il razzismo? Vi sembra
prioritario il razzismo o come sfamare la gente? Se gli anticrittogamici
servano o no a mantenere sano il frutto, mi sembra un problema marginale a
fronte di terre incolte e desertiche che, se coltivate, potrebbero sfamare
tutti. Per mantenere i privilegi che l’umanità ha conquistato, occorre mettere
in sicurezza tutto ciò che abbiamo evitato di risolvere. Ed è proprio per
questo motivo che alla moltiplicazione dei problemi nel tempo, dovremmo
sostituire la soluzione di quelli principali. E’ come voler insegnare il
teorema di Pitagora non avendo studiato prima i triangoli e i quadrangoli, o i
cateti e l’ipotenusa. Il vero problema dei problemi è che sui fatti ci si
specula per cui la risoluzione, se fosse tempestiva, non permetterebbe tutti i
panegirici che si fanno intorno alle situazioni per trarne delle opportunità.
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