Diario di un viaggio - 4 -

 




Il giorno dopo partimmo in mattinata da Valencia per  Malaga.

La strada presentava un paesaggio desolato, fatto di colline e massi, come se le montagne si fossero sbriciolate. La terra arida, di un colore rossiccio e arancione, si alternava a distese di viti, alberi da frutta e ulivi. Il caldo era soffocante, ma noi ci tiravamo su con il caffè, le barzellette, le osservazioni di ciascuno sulle visite effettuate nelle precedenti località e ammirando il paesaggio che ci veniva incontro. Alle due ci fermammo per il pranzo in un’area di servizio. Una serie di alberi intorno alle aiuole ci regalava l’agognata frescura dopo tanto sole. Le bambine giocavano all’aria aperta, i più grandi si divertivano col pallone. A fine pasto eravamo tutti seduti davanti ai camper. Sembravamo il circolo degli sfollati. Il punto in cui ci trovavamo era un ottimo osservatorio. Da lì non ci sfuggiva nulla. Mio padre teneva le sue “suasorie” spaziando dalla guida ai camper, dalle colture al vino, ai monumenti. Altro argomento forte i furti, diventati una sorta di leitmotiv delle nostre chiacchierate per quello che avevamo subito. Si aggiungeva la nostra terra di cui si parlava con orgoglio, forse per i continui confronti che ne scaturivano da tutto ciò che vedevamo. E mentre il nostro amico smussava i campanilismi di mio padre, ne apprezzava i contenuti che metteva in campo. I nostri “simposi” finivano sempre con: “Che cosa mangiamo stasera?” Ma al pensiero di andare alla ricerca di una pizzeria, finendo come a Valencia, senza cena, preferivo immolarmi per la causa e mettermi ai fornelli, almeno si stava tranquilli.

Ripreso il viaggio, abbiamo cercato un supermercato, dove rifornirci. Era il nostro primo pensiero appena si arrivava in una città. Sempre alla ricerca di mozzarella, bocconcini, fior di latte. In loro mancanza si ripiegava su formaggi conosciuti o locali. La carne in Spagna era buona, con tagli a volte molto migliori dei nostri. Carni di tutti i tipi. Appena capivano che eravamo italiani, si ricordavano dei nostri spaghetti e, se al momento mancavano, ci portavano al banco degli alimenti nostrani. Al supermercato di Adra ci fecero i complimenti per i prodotti del nostro paese. Conoscevano addirittura i luoghi di provenienza, come la pasta di Gragnano, le mozzarelle di Paestum, le sfogliatelle di Napoli, il pesto di Genova, le orecchiette della Puglia…

Il nostro amico, alla partenza dall'Italia, mise in bella mostra la grattugia e il parmigiano, dicendo che era buona cosa portarli, non avrebbe potuto farne a meno. Cercavo di far capire che potevamo scegliere altro in viaggio, ma niente da fare.

Nel pomeriggio arrivammo a Adra, poco prima di Malaga. Nel camping dove ci sistemammo c’era un silenzio benefico, di fronte un mare calmissimo, sembrava un lago, una spiaggia deserta e gli ultimi raggi rossi sparsi sui muri e le case.  Intorno ai camper, rampicanti e fiori. In ogni postazione un lavatoio, secchi, sgabelli, stuoie, contenitori vari coloratissimi. Era tutto così pittoresco. In alto, tra il muro di cinta e la tettoia, delle finestre rettangolari da cui  entravano rametti di rampicanti impertinenti e bouganvillea. Dopo una ricca cena italiana con pasta, parmigiana, formaggio, ultima scorta, e verdure grigliate, col buon vino della cantina di mio padre, riprendemmo il secondo giro di consultazioni su dove andare, cosa comprare, quali visite effettuare. Il nostro amico un po’ screditava gli italiani per non venir mai meno alle loro abitudini, gusti, usi e costumi, e un po’ si beava con quei profumi unici della nostra tavola. Gli ricordai che parlava bene e razzolava male se per primo non aveva rinunciato al suo caro parmigiano. Mentre io, pur apprezzando quello che di buono trovavo negli altri paesi, non lasciavo i piatti nostrani. Poi passavamo al nostro argomento preferito, la storia, con accese discussioni su popoli e periodi: i nostri Romani, il Medioevo… Mai avremmo affrontato una discussione simile nel salotto di casa. Lì, intorno, tra un acquedotto romano, un reperto, un paesaggio che ci riportava a pagine lette, era normale affrontare argomenti simili. 

Nel silenzio della sera, mentre quasi tutti, stanchi, andarono a dormire, io e mio padre andammo in riva al mare per un bagno notturno. Non c’era anima viva. Mi guardavo intorno con la sensazione di qualcuno che mi seguisse. Camminavamo sulla battigia ascoltando i grilli e le cicale provenienti dalla pineta. Un silenzio benefico, solo lo sciabordio piacevole all’orecchio accompagnava i nostri passi. Mio padre mi chiese: “Ma questo bagno lo vuoi fare o no?”

Arrivavano delle brezze che lasciavano i brividi sulla pelle, ma quando avrei potuto fare un bagno a mezzanotte in prossimità di Malaga?

Così stesi il telo a terra, appoggiai su la borsa e gli abiti. Mio padre invece aveva solo i pantaloncini. Con un bel coraggio, ci tuffammo. L’acqua era ghiacciata. Intanto arrivarono dei ragazzi che sedettero accanto al nostro telo. Io avevo lasciato la borsa con dentro i documenti. Osservavo e cercavo di capire che intenzioni avessero. Mio padre, vedendomi preoccupata, mi disse che quella borsa non stava bene lì. Poi candidamente: “Vedi, tra i pantaloncini e la borsa, se proprio devono andare in azione, prelevano la borsa e scappano. Chi vuoi che prenda un paio di pantaloncini scoloriti con tremila euro arrotolati in una carta di giornale nella tasca laterale?

“Eh?” Saltai dall’acqua pensando che fosse un pazzo e lui a ridere mentre io correvo sulla spiaggia. Presi i suoi pantaloncini, dove c’era realmente la somma menzionata, e li misi in borsa.  Quando uscì dall’acqua, li cercava. In quel momento i ragazzi scesero in acqua. Lui, senza scomporsi, com’è suo stile, mi disse di fare attenzione alla bottiglina d’acqua che avevo in borsa, altrimenti perdevamo “Filippo e il panaro”. Ridemmo per tutto il tratto di ritorno, soprattutto per aver scampato il pericolo di perdere il malloppo dei soldi.

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