Diario di un viaggio - 3

 



Dopo lo choc della visita dei ladri, controllammo se mancavano altre cose e discutemmo a lungo su quanto accaduto intorno a una ricca colazione.

 Alle ore 10.00 partimmo da Barcellona per Valencia, una città graziosa e accogliente. Arrivammo nel tardo pomeriggio. Per strada vidi un’arena e diverse rappresentazioni di tori su grandi cartelloni. Ero ossessionata dalla corrida. Per un verso mi sarebbe piaciuto vederne una, per l’altro mi faceva orrore. Nei mesi precedenti ne avevo parlato con alcune colleghe e ne nacque una discussione: da una parte quelle che mai ne avrebbero vista una per come riducevano i tori, dall’altra quelle che almeno una volta avrebbero fatto un’eccezione, tra cui io. Ma alla vista di quei tori, sebbene fossero solo delle rappresentazioni, ogni pensiero finì lì. La mia attenzione, mentre il camper procedeva, era tutta per il torero, il mantello rosso, il toro che incornava. Ovunque mi girassi, enormi spot pubblicitari si ergevano lungo i bordi della strada, dando l'impressione che quegli animali mi guardassero e mi invitassero all'arena, sovrastandomi con quei colori tetri, lugubri come la morte. Fortunatamente il paesaggio si fece più tranquillo. 

Prima di entrare in città, andammo ad Albufera, un parco naturale protetto che si estende fino al mare. Arrivati in spiaggia, facemmo subito il bagno. Si camminava nell’acqua a lungo prima di immergersi completamente. Era una sensazione strana, nemmeno a Paestum, a basso fondale, si cammina tanto per bagnarsi completamente. Alle ore 20,30 siamo ritornati al camper per andare al centro di Valencia a mangiare la pizza. 

 Arrivammo nella strada centrale e parcheggiammo sul lato sinistro.  C’era già un camper, noi ci sistemammo subito dopo e davanti il nostro amico. Eravamo posti al centro. Io, dopo l’avventura dei ladri, non volli lasciare il camper, così con me rimasero mio padre e mio figlio, mentre gli altri si avviarono alla ricerca di una pizzeria. Dopo pochi minuti suonò l’allarme del camper prima del nostro. Dall’altra parte della strada si affacciò la proprietaria  dal ristorante di fronte, che azionando il telecomando, tolse e poi inserì di nuovo l’allarme. Dalla sua postazione non poteva vedere il ragazzo di colore che scendeva dal suo caravan scappando.

Anche a Valencia c’era la banda dei camper. Mio figlio cominciò ad agitarsi. Mio padre lo esortava a mantenere la calma. Intanto si stava sulla scaletta della porta posteriore. Passarono due ragazzi, di cui uno di colore, che diceva a telefono: “No, non poi”, presumo volesse dire: "No, non puoi.”

Mio padre e mio figlio fremevano, poiché questi due erano in attesa di derubare il camper dietro di noi, ma avevano tutta la faccia di fare lo stesso col nostro, qualora ci fossimo allontanati. Vedendoci sulle scale, mandarono il messaggio che era meglio evitare. Mio padre scese e andò a comprare una mazza da baseball nel negozio di articoli sportivi proprio di fronte. Appena rientrò, ci rassicurò che era solo un deterrente. Gli amici che passeggiavano, vedendo la mazza, avrebbero cambiato idea. Questa volta ci guardarono con sospetto e si allontanarono. 

Mio padre tenne a precisare che, per il solo fatto di averla in mano, quei due non si sarebbero avvicinati. In caso di pericolo bisognava picchiare dal ginocchio in giù, nel senso contrario aveva lo stesso valore di un’arma. Così, dopo, mio figlio scese dal camper e giocando con la mazza di baseball diceva anche lui rivolto al ragazzo: “No, non poi” guardando i due che ritornarono dalle nostre parti. Mio padre sorvegliava ogni azione. Non solo si preoccupava per il nostro camper ma stava tenendo d’occhio anche quello dietro. Al suono dell’allarme, per la seconda volta, i ladri si allontanarono. I tre avevano cercato di nascondersi per sottrarsi al nostro sguardo, ma non ci riuscirono e questo li innervosì. Però, la situazione divenne insostenibile, era un andirivieni di gente preposta a provarci comunque che non ci lasciava tranquilli e non ci restò che chiamare gli altri per andare via. Quando la padrona del camper fece ritorno, mio figlio, in una sorta di sfottò, la ringraziò, per averle guardato il camper. La signora non si rese conto di quello che era accaduto, salì e andò via. Intanto aveva mangiato tranquillamente al ristorante mentre noi fuori custodivamo i camper. I nostri arrivarono nervosi e arrabbiati per aver preso solo sei pizze al prezzo di quaranta euro, ma non bastavano per tutti. Mettemmo in moto e partimmo. Arrivati alla fine della strada, fatta ad angolo, scorgemmo tutta la banda con i telefonini in mano, in attesa di poter operare. E mentre si andava all’assalto delle pizze, cercammo anche di fare spesa e tornare al camping. E nonostante fosse tardi, preparai una cena completa, dimenticando l'epilogo della serata. Una vacanza davvero avventurosa per i gusti dei miei, ma non per me! Ogni giorno c'era una situazione da capire, un problema da risolvere e mentre io e mio padre ci divertivamo, gli altri mal accettavano il fatto che li avessi tirati in quel viaggio per niente comodo. I loro gusti prevedevano hotel e piscine, sonnellini e pennichelle, aperitivi e dolce far niente. Ora avevano più l'aria di tanti Indiana Jones, sempre alle prese con le incombenze del camper. E nel tempo libero, senza alcun avviso, se andavano in giro lasciandomi alle faccende. Una sorta di vendetta per la vacanza che facevano, reputandomi la responsabile di tutto ciò che accadeva. Noi, invece, i pro avventura in camper, cioè io e mio padre, ci divertimmo moltissimo.

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