Il Gattopardo fu pubblicato nel 1958, un anno dopo la morte dell’autore, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cura di Giorgio Bassani. Nel 1959 vinse il Premio Strega. Il titolo è dato dallo stemma di casa Salina costituito da un gattopardo.
Possiamo
definirlo un romanzo esistenzialista, storico e autobiografico.
I
fatti narrati ripercorrono un arco di tempo di cinquant'anni, dal 1860 al 1910, dallo sbarco
in Sicilia di Garibaldi fino al cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Al momento delle vicende la Sicilia, luogo in cui si svolge la storia, era sotto il dominio borbonico, sin dal 1734.
Protagonista
della vicenda è Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, esponente dell’aristocrazia siciliana che
vive il periodo storico del passaggio tra il vecchio mondo feudale e l’Unità d’Italia. Si assiste, pertanto, a un periodo di decadenza
dell’antica nobiltà e il sorgere della nuova borghesia.
L’autore
voleva riportare la storia di un suo antenato, il Principe Giulio IV, Principe
di Lampedusa e finisce per scrivere un romanzo autobiografico, dove il
protagonista Don Fabrizio di Salina assume le caratteristiche
dell’autore.
Il Principe è un uomo colto, curioso, di gran fascino, che vive a suo agio nei suoi feudi, molto legato ai suoi spazi. Nelle sue vene scorre sangue siciliano e tedesco, bello, affascinante, colto, biondo e statuario. I suoi antenati risalgono a Federico II di Svevia, e questo passato d’oro non si può eclissare con l’avvento di una nuova classe sociale. Appassionato di matematica, astronomia, si trova più intelligente degli altri, non ha la necessità di confrontarsi e ciò comporta una certa solitudine. Spesso è preso da scatti d’ira.
Il libro si apre con la recita del rosario in casa Salina dove, oltre alla moglie del Principe, ci sono i suoi figli, don Pirrone e l’alano Bendicò.
Lo sbarco dei garibaldini a Marsala, in Sicilia, preoccupa Don Fabrizio per il succedersi degli avvenimenti, visti come
l’ultimo colpo di coda prima che il mondo, tanto caro al Principe, possa
estinguersi.
Si assiste nel romanzo alla lenta agonia della nobiltà feudale a favore di una nuova classe, quella della borghesia che avanza con la nuova economia del paese basata su una classe arricchitasi col commercio ma senza una base di sapere e che Don Fabrizio odia. Lo stesso nipote del Principe, Tancredi Falconieri, s’imbatte nel nuovo ceto sociale quando, all’arrivo dei garibaldini, partecipa alla campagna di unificazione del Regno al Piemonte. Don Fabrizio, anche se a malincuore, si mostra a favore dei Piemontesi, sapendo che è l’unico modo per aspirare a restare nel suo mondo e non perdere i privilegi acquisiti.
Egli ripone le speranze in suo nipote Tancredi, pur avendo sette figli, che già sa non potranno portare avanti il nome della famiglia. Di questi il primogenito, Paolo, è un incapace e l’altro vive all'estero. Anche per le figlie femmine non ci sono speranze.
Tancredi è un bel ragazzo, maturo, sarcastico e
dedito a frequentazioni opinabili. Nonostante alcuni suoi aspetti non proprio
adamantini, il Principe ha un debole per lui. Anzi lo avrebbe preferito al
posto del suo primogenito.
Tancredi
non vuole scontentare lo zio e pensa di sposare la figlia Concetta. Ma in un periodo di vacanze a Donnafugata, il giovane conosce la figlia del
sindaco don Calogero Sedara, Angelica, e se ne innamora. Della ragazza ammira non solo
la grande bellezza ma anche la cospicua dote. La bellezza di Angelica offusca chiunque, anche il Principe, a cui risveglia la vanità di uomo ancora sensuale e di un certo fascino.
Don Fabrizio non ama la scelta del nipote di imparentarsi con una famiglia borghese e volgare, che non ha niente da spartire con la vecchia aristocrazia.
Don
Calogero Sedara, sindaco di Donnafugata e padre di Angelica, impersona il ceto
emergente che ascende al potere. Egli non ha l’eleganza, la portata e lo spessore di Don Fabrizio.
Alla cultura di quest’ultimo contrappone la conoscenza dei materiali che più
“tirano” sul mercato, alle buone maniere, la rozza risoluzione senza alcuna
sensibilità o gentilezza.
All’interno
del romanzo si fanno le differenze tra la tranquilla e consolidata classe
nobile e quella più inconsistente ma di rapida ascesa della borghesia. Una
classe che varia, in base all’economia, agli affari e al successo e che risente
delle interferenze sociali. E le due sono contrapposte ma si osservano e si
controllano sapendo che l’una succederà all’altra, tanto che il Principe affermerà: ”Presto
gli sciacalletti e le iene prenderanno il posto dei gattopardi”.
Tancredi costituisce il momento di passaggio da un mondo all'altro quando sposa la bella Angelica, unendo i due ceti sociali come mai prima era accaduto.
Don
Fabrizio, nonostante non approvi la parentela con la famiglia di Don Calogero,
comprende il volere di suo nipote e non lo biasima. Egli vive ora di rimpianti
dei tempi passati e di un forte pessimismo per il futuro.
Sua moglie, la Principessa Stella, non ha la sua stessa luce, sembra quasi un personaggio minore: molto remissiva, incapace di essere padrona della sua vita, anzi ruota attorno al marito come chi ha bisogno di sentirsi qualcuno. E l’amore che prova per il consorte non basta a darle una vita felice se questi la tradisce continuamente.
I membri
della famiglia subiscono tutti l’ascendenza del Principe, in un
mondo ingessato e ovattato dove non risuona alcuna contrapposizione.
Alla Principessa Stella somiglia sua figlia Concetta, una donna fragile, molto introversa, incapace di fornire i suoi
stati d’animo e pertanto sottomessa ai voleri degli altri.
Non
meno importante il personaggio di Padre Pirrone, guida spirituale di tutta la
famiglia, che segue il Principe come la sua ombra e lo accompagna nei viaggi di
rappresentanza. Il ruolo lo vede spesso costretto a lunghi sermoni a Don Fabrizio, per placare la sua innata
sensualità e a prendere decisioni importanti all’interno del casato. Don Fabrizio, pur
avendolo al seguito, vorrebbe da lui un tacito consenso alle sue iniziative ma si imbatte continuamente nelle sue avverse sentenze.
Don Fabrizio è consapevole di non poter cambiare le cose, sia per la famiglia che si ritrova, priva di capacità e ambizioni, sia per la rivoluzione che incombe e porterà scompiglio. L’unico modo per attraversare il momento è comprendere che: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi", come se bastasse ad assicurarsi il benessere e la tranquillità in cui vive, fatto di privilegi, rispetto e sudditanza da parte del popolo, di asservimento dei coloni dei suoi feudi ed esercizio del suo potere.
"Il principe non aveva ricordi da preordinare; aveva soltanto previsioni da capovolgere".
In un passo dell'opera, quando l'emissario piemontese Chavalley giunge in Sicilia per offrire al principe la carica di senatore, che invece rifiuta per sentirsi legato al suo casato, descrive in modo tagliente i siciliani: "in Sicilia non importa far bene o far male: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare"... i siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria".
Egli spiega all'ospite i motivi per cui i siciliani hanno difficoltà ad accettare il nuovo padrone: sono secoli che si adattano ai loro conquistatori e si sono rivestiti di una corazza che mal percepisce il volere dei dominatori. La sua natura è di non voler essere guidati, di non sottomettersi. La società intorno può anche cambiare, ma il modo interiore di un siciliano è rimasto integro e fedele al suo spirito e alla sua terra.
Don Fabrizio sa che da questo momento la sua vita sarà più ritirata, proprio perché non riesce a sentirsi parte integrante del nuovo mondo che avanza.
L'opera descrive la decadenza di una famiglia aristocratica in un momento storico importante, in un ambiente geografico particolare come quello di Sicilia. Il successo del romanzo fu grandioso. Secondo alcuni andava scritto un secolo prima, poiché ci ritroviamo davanti a una rianimazione di valori antichi, concetti feudali. E il fatto che ancora oggi il romanzo riporti grande successo fa pensare che la fine del mondo feudale non sia mai stata cancellata e che possano ancora esistere i cosiddetti gattopardi con tutta la loro gerarchia.
È un romanzo esistenzialista per il pessimismo che lo pervade, soprattutto di tipo storico, per il senso d'inquietudine che attanaglia il Principe al pensiero della morte. Morte e decadenza si rincorrono dall'inizio alla fine. Ma lo stile del romanzo è rivelatore non solo di una storia di famiglia ma anche delle luci e ombre che hanno accompagnato il passaggio storico di un momento così importante.
I dialoghi di Don Pirrone, i momenti di tensione per l'arrivo dei garibaldini, il sarcasmo e l'umorismo del Principe nel raccontare situazioni e fatti rendono la lettura veramente piacevole e accattivante. Fondamentale in tutto lo scorrere della storia il coraggio, sia quello dei borghesi nella loro scalata al potere che quello del principe nell'accettare i fatti e arrendersi al cambiamento e alla caduta del suo casato.
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