Quanto tempo ci siamo visti, io e te? Pochissime volte! Chissà, saranno state anche parecchie quando ero bambina. Allora, non ci facevo caso e, una volta andata via, credevo che che non ci saremmo più visti. E poi, invece, ci siamo rivisti. Tra te e papà tu eri il più
dolce, il più sensibile, quello che somatizzava la vita. I tuoi mal di pancia
sin da ragazzo erano tutte ansie mal gestite che poi cercavi di placare con il
cibo.
A vederti sembravi la nonna: stesse smorfie, modo di parlare, viso,
contrariamente a papà che assomiglia tutto al nonno. Stamattina, con un rito semplice e una liturgia intensa, ti abbiamo salutato. Per
me è come se ci fossimo lasciati allora, quando io ero piccola e tu giovane,
come se ogni rapporto fosse finito in quel tempo. Certo è che eri un bel
ragazzo, come tutti i fratelli. Mi piaceva la tua dolcezza, il non arrabbiarti
mai, la tua pazienza, preciso nei giudizi, giusto nelle parole, serio con un sorriso
gioviale sulle labbra, gli occhi da scugnizzo con un velo malinconico. Mi
piaceva quando cantavi, facendo il caffè al bar, o lavando le tazze e accompagnando i motivetti con un fischio. Non sei mai stato un narcisista
pur essendo un bel ragazzo, il massimo che ti concedevi era pettinarti
guardandoti allo specchio sempre cantando le canzoni di quegli anni '60. Allora,
mentre lo facevi, ti giravi e mi chiedevi se cantavi bene e mi piaceva che ti fidassi di me trattandomi da adulta. Avevo pochi anni e ti
rispondevo sorridendo, talvolta ridendo a crepapelle per come ti rivolgevi mentre accennavi anche qualche passo di ballo. Eri svelto, attivo, sempre vigile e
servizievole. Ma il massimo dello spasso era quando ti lamentavi che ti rubavo
la scena al cospetto dei clienti, rapiti da me che, così piccola, scrivevo e disegnavo sul bancone con i nonni. E tu a vendicarti chiamandomi “Catarì” un modo
per dire che ero grande. Ti ho
lasciato lì in quel bar al banco a fare caffè e poi più nulla. Ma ti avrò
nominato chissà quante volte, avrò mimato non so per quanto tempo i tuoi gesti, e ti
avrò ricordato in mille situazioni. Zio Peppe, il fratello piccolo, il ruffiano
di casa, il cocco di mamma, il pasticcione per il nonno, il giocherellone con
me, diventato poi uomo, marito, padre, sempre serio, ubbidiente, semplice, come chi si accontenta della vita senza protestare né battere i piedi. Ma anche tu avevi i tuoi difetti, uno grande era quello di lamentarti, sempre, soprattutto
per i mali che ti assillavano. Mali di un ipocondriaco, di chi somatizza, sempre ammalato di qualcosa. Al di fuori di questo contesto
eri gioviale e ironico, a volte pungente, scanzonato, ansioso. Il tuo mondo è stato tra quelle
quattro mura, in quel piccolo borgo, in quel bar, in quelle strade di paese che
conoscevi così bene. Stamattina, quando ti abbiamo accompagnato, pensavo alla
tua vita e quanto ci fossimo mancati. Quando ci siamo rincontrati, sei stato
molto affettuoso, mi hai ricordato tante cose col sorriso e con gli occhi, di
chi ritorna al passato con piacere. So che sei stato un papà dolce e premuroso,
presente e affettuoso sempre e questo ti rendeva ancora più grande. Anche la tua
educazione in ogni situazione faceva di te una persona unica. Mi sei rimasto
impresso quando arrivavi a Caporivo sulla vespa per scambiare quattro
chiacchiere con papà, con quel passo felpato, senza dare fastidio, giusto per
un saluto, per tuo fratello maggiore. E come eri venuto così andavi via.
Quante persone restano dentro pur andandosene e noi siamo la somma del loro
essere, del loro vissuto e di quello che hanno rappresentato. Per me resterai
sempre il ragazzo che canta “Non son degno di te” guardandosi nello specchio
del bar mentre prepara i caffè. E’ li che sono cresciuta nei pomeriggi che
alternavo con l’altra nonna, tra una parola e una canzone, una lamentela e un
sorriso, uno sganasciarmi dalle risa e un velo di tristezza che portavi sempre negli occhi. Hanno detto che oggi sei nato e come vedi siamo
sempre in differita. Spero che un giorno ci si possa vedere tutti nella nuova
vita.
Dicevi sempre che saresti finito a San Francesco prima o poi portandoci le cuoia, e così è stato. Un saluto affettuoso al nuovo bambino che sei!
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