Ce n’era uno nei campi, vicino
a un paletto che fungeva da steccato. Una volta mi sono fatta male: il ferro
affilato mi è entrato nella gamba e mi ha lasciato la ruggin. Solo dopo ho
saputo che bisognava fare l’antitetanica. E pensare che sono rimasta per un po’
senza nemmeno disinfettarmi. Quel filo l’ho visto di nuovo sui libri di scuola,
in un’immagine di guerra e mi sono ricordata della volta che mi ero fatta male.
Ho collegato la guerra al dolore della mia gamba sanguinante.
Quel giorno una
vicina mi ha spiegato che la guerra è roba per matti, che quando i soldati sono
passati di là, hanno fatto uno scempio. Poi le ho chiesto a cosa servisse quel
filo spinato visto che avevano le armi, lei mi ha risposto che un filo serve
sempre: a prendere tempo, a lasciare ferite, a far desistere dall’oltrepassare
la linea. Del suo discorso mi rimase scolpita l’ultima parte“ a desistere dall’oltrepassare
la linea”. Poi è stata la volta di un’immagine di filo spinato lungo una
ferrovia. Era attorcigliato, grasso e gonfio di ruggine con punte aguzze e ho
pensato alle intenzioni di chi lo aveva disposto li, per non “oltrepassare la
linea”. Un giorno ho scoperto, per caso, in un emporio, che di filo ce n’era
ancora oggi e si poteva pure comprarlo. Mi sono scandalizzata quando è stato
preso dai miei per recintare un cancello e mettere in difficoltà i malviventi.
Quel filo mi perseguitava. Una volta, a scuola mi è stato chiesto di disegnarlo
e mentre lo rendevo più in rilievo con le punte ben in evidenza, è stato come
pungermi di nuovo e vedere la gamba sanguinante. Ne ho visti in seguito sui
cigli delle strade, ammassati, nei sentieri, nei prati, come note di un passato
ancora vivo. Segno che la guerra non solo aveva lasciato confini, ma che non
era mai finita. Una volta per un viottolo, un signore lo tagliava per
proteggere una sua coltura e si lamentava che prima erano gli uccelli a far
paura, oggi i ladri e notavo con quant’ arte lo disponeva e lo avvinghiava per
rendere difficile il passaggio di un solo piede nel suo terreno. Mi chiedevo
cosa sarebbe successo, tutto sommato, se poi il viandante avesse invaso il
suolo. Tutt’al più avrebbe preso un frutto, un’insalata, del prezzemolo. Si
poteva mettere un cartello con su scritto: ”Fate con cura, abbiate la bontà di
non sradicare le piante, se proprio non resistete alla tentazione di portarvi
via qualcosa”. Questo è quanto pensavo io mentre lui arrotolava il filo e lo disponeva
sul bordo. Il fatto è che a chiuderci in un recinto siamo poi obbligati a
lasciare fuori tante cose. Pensavo a quanto fossero tristi tutte quelle persone
abituate a recintare per non aver giocato da piccoli, altrimenti avrebbero
imparato a stare insieme e a non lasciare nessuno fuori. Non avranno mai saputo
dei nostri cortili segnati col gessetto bianco per giocare alla settimana, quando
volavano palloni e palle per “avvelenarci”, per discutere con un amico che non
stava alle regole, con un altro che andavamo a scovare per farlo giocare e tutti
insieme passavamo il tempo a vivere in compagnia. Pensavo che anche quelli di
Auschwitz, sì, i cattivi, sono stati più poveri dei deportati, avranno fatto
giochi “chiusi” sin da piccoli e avranno imparato a recintare e lasciare fuori
chi non ce la faceva o quelli a cui non piaceva il loro atteggiamento. Il vero
gioco è quello di tutti insieme, sudati a correre e a sbucciarsi fino a sanguinare
ma non per il filo spinato arrugginito, pericolo per il tetano. Nel gioco si
impara a resistere, a condividere, ad aspettare, ad aiutare, a collaborare, perché
il gioco vero è quando partecipano tutti, senza esclusioni. Purtroppo il filo
spinato vive. L’emporio di una volta lo vende ancora, ed è tragico vederlo nelle
immagini di luoghi dal mondo dove si vedono cordoli che invece di essere di
solidarietà, costruiscono intorno il gelo o il deserto. Se di un filo abbiamo
bisogno è quello per legarci, l’unico antidoto per non arrugginirci e morire di
tetano. E se un vicino sbircia nel nostro orto, non aspettiamo che sradichi
qualcosa, preveniamolo offrendogli un frutto del nostro lavoro e fargli
scoppiare la voglia di prepararsene uno da solo. Collaborare vale più che
scacciare ed erigere per difendere i
nostri confini.
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