
Cattivi si nasce o si diventa?
Il male impariamo a farlo o lo abbiamo dentro? A sentire gli psicologi gran parte della cattiveria è insita in noi,
come se fosse un antidoto di cui siamo dotati nel nostro modello base. Questa
dotazione, che molto probabilmente serve a bilanciare il bene, spesso aumenta
in maniera esponenziale e diventiamo cattivi a oltranza. La vita odierna non
permette di abbassare la guardia e siamo tendenzialmente cattivi e aggressivi,
riuscendo, a volte, a essere veramente riprovevoli. Una buona dose la manteniamo
per contrastare le fregature del prossimo, un’altra ce la procuriamo quando
dobbiamo affrontare le offese gratuite, altra ancora per mantenere lo standard
per difenderci. Di questo passo non possiamo mai cedere al bene se dobbiamo
continuamente pararci dal male. Buttiamo
fuori la nostra cattiveria quando in noi c’è rancore, astio, rabbia, odio, che
ci lasciano in uno stato di nervosismo e
avvilimento. Siamo capaci di infliggere il male pur di difenderci dalle
usurpazioni degli altri e da tutti gli atteggiamenti che ci feriscono. Lo siamo
molto più con chi ci sembra debole, e poi con i superiori per il gusto di
contestare.
La cattiveria, poi, unita
all’aggressività non è mai sana, ma giunge da un motivo profondo che tocca
l’insoddisfazione, la paura, il vuoto in cui viviamo. Una persona
insoddisfatta, rancorosa, arrogante, supponente non sa fare di meglio che scagliare
cattiverie. Albergando in noi lo stato di profonda insofferenza, siamo portati
a perseverare in atteggiamenti cattivi contro gli altri, per il gusto di
infliggere un dolore fregandocene di quello che procuriamo al prossimo. Un
cattivo non è empatico, non si mette nei panni degli altri, stenta a
relazionarsi, è egocentrico ed egoista. Scaricare sugli altri è un modo
irresponsabile di competere. Alla base c’è anche invidia, il non sopportare i
successi degli altri, indice questo di insicurezza, di cattivo rapporto con se
stessi. A volte, per non aver ricevuto considerazione nel momento di maggiore
bisogno di attenzioni, come accade nella prima infanzia fino all’adolescenza, ci
si trascina dentro un senso di malessere che si trasforma in pessimismo,
cattiveria, negatività. Può essere anche subdola quando manipoliamo gli altri,
senza palesare le nostre intenzioni. Oggi cattiveria e aggressività sono sempre
gratuite. Si fa quasi a gara a chi contesta di più e molto spesso, chi agisce
in tal senso, forse è in difetto. Chi non teme il confronto non attacca, ma si
relaziona. Attaccare è sempre più la moderna modalità di parlare. “Fare rumore”
sperimentare la forza con l’assalto è
ritenuto, stupidamente, un punto di forza. Il cattivo batte i piedi come i
bambini capricciosi. I ragazzi per mancanza di esperienza, gli adulti per
credere quella la forza contro le avversità, i vecchi per non voler lasciare il
mondo che era loro fino a poco tempo prima. Questi, per attribuirsi meriti, per
evitare confronti, credono di essere i migliori al cospetto degli altri. Alzare
la voce e dispensare il male un po’ qui un po’ lì, non è indice di forza. La cattiveria
aumenta con la presunzione e l’arroganza. Può presentarsi anche attraverso la
debolezza, la mancanza di obiettività, di serenità d’animo. Il cattivo passa il
tempo a non perdere occasione per dire la sua e ad aizzare il prossimo, a
tessere situazioni come reti in cui far cadere gli altri, a tramare contro, a
screditare, a criticare, a mentire.
A volte si nasconde dietro a un
fittizio senso di giustizia, a difesa di quello che dice. Molti cattivi si
presentano sotto false spoglie, con atteggiamenti da finti buoni, protettivi,
umili, ma nascondono un animo inquieto e volto al male, come il personaggio di
Uriah Heep di David Copperfield.
Anche il fisico risponde ai sentimenti di cattiveria mostrando tutta la sua deficienza. Uriah è alto,
snello, con diastonia muscolare, asciutto, malaticcio nel corpo e nello
sguardo. Lo stesso Uriah da piccolo era educato ad atteggiamenti meschini,
striscianti. Di Catilina, uomo corrotto, descritto da Sallustio in De Catilinae coniuratione, l’autore
afferma che aveva “un animo audace, subdolo, simulatore e dissimulatore”.
Cesare Borgia, figlio di Papa Alessandro VI, il Principe a cui si riferiva Machiavelli nella sua opera, viene
descritto coraggioso, forte, incline all’astuzia, proprio come il leone e la
volpe. In questi personaggi il male è radicato, sembra aver preso radici diventate così forti che niente li annienterà se non la morte. La cattiveria a
lungo andare, albergando troppo nel corpo e nell’anima non riesce più a
individuare la strada del bene e allora sì che estirparla diventa un’azione
quasi impossibile. I cattivi della storia e della letteratura ci insegnano che
il male finisce per uccidere chi lo esercita. Caino è sempre in agguato se gli
lasciamo la porta aperta permettendo che il male si insinui in noi. Per contrastarlo è necessario avere
un’ampia visione delle cose, allargare gli spazi interiori e includere gli
altri nel nostro piccolo condominio mentale. Pensare che il nostro orticello
abbia dei confini più simili a mura di cinta, è come non sentire ragioni e
avere una vista corta. Si può iniziare a contrastare il male anche solo
reprimendo il nostro tasto di battaglia. Alimentare nervosismi, tensioni,
contro azioni è come voler fare la guerra e di solito non porta altro che
distruzione a tutti: a chi la innesca e a chi la subisce.
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