Bonea




Bonea è un piccolo borgo lungo la strada Raffaele Bosco, direzione circolare sinistra. Un grappolo di case tra la collina e il mare. Per la stradina interna si giunge a Vico. E’ un passaggio obbligato per chi sale tagliando la zona a metà. Questi paeselli appoggiati alle colline  non si vedono dalla strada principale e pertanto non si ha la percezione di un luogo abitato. Tutto è ben nascosto, si sviluppa all’interno, come un gheriglio nel suo guscio e poi nel suo mallo. E’ il luogo che ha dato inizio alla mia storia. A Bonea mio nonno conobbe mia madre, ancora bambina, sulla porta del convento dove fu condotta dai parenti dopo la morte di sua madre. Fu così che venne adottata. Lei mi raccontava sempre di quando mio nonno, scendendo verso Vico, a piedi, la trovava sull’uscio ad aspettare. Ascoltando il suo racconto immaginavo il luogo, il convento, la stradina. Mio padre mi condusse sul posto. Ho rifatto il percorso del nonno, arrivando al punto di quel che restava del convento. Oggi non rimane che una scarna casa con balcone  e sotto il portone d’ingresso su cui si affacciava mia madre. Un po’ distante un muro con su la scritta del convento. Ho provato tenerezza a vedere l’uscio chiuso, l’orto, i muri spessi del colore del tramonto, il verde intorno. Più in là bambini che giocavano a pallone facendomi ricordare quando ero io a giocare come loro,  nel giardino sotto casa. Mi sono seduta sulla scala di un uscio e ho ammirato la bellezza dei maestosi portoni, la maggior parte rifiniti con arco. I pomelli di ferro lavorato, la cornice ovale intorno, le pietre scure su pareti rossicce. Mi figuravo da qualche curva Renzo con i polli che andava da Azzeccagarbugli, o Don Abbondio che veniva “bel bello” dalla sua passeggiata. Guardavo gli scorci e il sole che penetrava nelle strette vie lasciando in ombra zone interne, con un gioco di luce che cambiava ad ogni ora. Ho percorso a piedi tutta la strada, per un tratto assolato, intorno alberi di noci e altri frutti. Il posto è così pittoresco che non solo ne ho fatto ampie descrizioni ne L’albero di noci, ma ci sono ritornata anche nel nuovo romanzo. La protagonista, Margherita, percorre Bonea a piedi dopo essere stata dal parroco, nella Chiesa di San Giovanni Evangelista, “che venne restaurata dalla famiglia Balsamo agli inizi del ‘600. Quella attuale fu costruita nel 1734 dismettendo quella antica. Il campanile sormontato di merlature in tufo lanceolate è molto simile a quello di Santa Maria del Toro, con ulteriore funzione di avvistamento e difesa del territorio. Il portale di tufo racchiude nella parte centrale  dello stipite l’immagine della vergine” (13 chiese casali, arte territorio fede a cura di Luigi Vanacore, Catello Arpino, Domenico Leonetti). La protagonista scendendo ammira le tonalità dei muri che si ergono ai lati della strada.”Cominciò a scendere a piedi da Bonea. Il bello del suo paese era che ti potevi nascondere nelle stradine strette che dalle colline scendono verso il centro. Si ha l’impressione di essere presi tra le mani dai muri laterali che cingono i vicoli, così alti, chiusi al sole, quasi come un abbraccio protettivo.” (Nel mezzo del tempo, Graus Edizioni.) In quest’ultimo romanzo i luoghi sono grandi protagonisti. Affido a Bonea e alla chiesa di San Giovanni Evangelista un momento particolare quando la protagonista, ricevendo una lettera, supportata dal parroco, va alla ricerca di un posto per leggerla in santa pace e scende per la stradina che le fa da culla ai pensieri. Bonea merita di essere menzionata anche per un personaggio di cui mia madre parlava spesso rievocando il periodo al convento: Don Pinuzzo, Giuseppe De Simone, sacerdote e giornalista, nonché poeta. A casa dei nonni si sentiva spesso il suo nome. Mia madre raccontava aneddoti e fatti relativi a quel periodo. Bonea e Don Pinuzzo, un binomio indiscindibile. Qui era nato il 5 aprile del 1907. Diede grande impulso al luogo con attività che coinvolgevano gli abitanti e soprattutto i giovani. Bonea è un luogo simbolo, come se racchiudesse molte verità a me taciute e mi piace girarci intorno, conoscere fatti e ricordi che mi parlino di mia madre. Un luogo che sa di antico, di echi del passato riportando persone, libri letti e situazioni vissute. E’ uno scenario da cartolina, ovattato per le sue mille possibilità di sfuggire ai ritmi serrati di oggi e crearsi percorsi a misura d’uomo. Un borgo a metà collina con il mare davanti e Faito alle spalle, con ulivi, viti, noci, con il sole che la abbraccia donandole riflessi  presi a prestito dal cielo e dal mare, con i roseti sparsi e nascosti, con i silenzi, i versi di animali e di uccelli, con i gatti che miagolano riscaldandosi al sole, con i pensieri che si appoggiano sui lidi di fronte. Bonea è un bottone chiuso alla sua asola sulla facciata di un abito verde, sempre rigoglioso. Il vento serpeggia tra i vicoli non solo a marzo, ma porta brezze serali e mattutine. E quando di mattina si aprono porte e finestre sull’azzurro di fronte, da queste parti, si ha sempre il sorriso migliore: abitare  un posto unico al mondo che sin dal mattino ti mette il buon umore.

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