Ore 11.30 al bar con un artista:
Umberto Astarita! Io sotto il sole di marzo ad aspettarlo, lui, come sempre
educato e attento, mi chiama per dire che sta in leggero ritardo. Lo scorgo da
lontano nella sua stazza inconfondibile, dall’andatura dondolante, con la sua
cascata di riccioli, immancabilmente a telefono. Di lì al bar. Gli mostro il mio
libro e lui cosa fa? Sorride alla vista del disegno in copertina che racchiude un tratto del sentiero della
Sperlonga, la casa in fondo e in primo
piano zia Felicina e lo stuolo di animali al seguito. Un artista lo riconosci
dal primo contatto con ciò che ha intorno. Col dito passava sulle linee del disegno,
come i bambini che scoprono qualcosa di importante in semplici cose. E solo in
un secondo momento mi ha chiesto se lo avessi fatto io. Alla mia risposta
affermativa la sua attenzione è andata alla cocorita sulla spalla della zia e
alla casa. Credo abbia significato qualcosa anche per lui se ha mostrato di
volerci andare al più presto. E così ci siamo immessi virtualmente sul
sentiero, avevamo la sensazione di camminarci mentre io gli spiegavo la
collina, il panorama, le luci, i profumi. Poi è stata la volta di Zia Felicina.
Gli ho parlato di lei, rappresentata così come vestiva, con quello scialletto con i colori del mare come l’ho conosciuta nella realtà, le scarpe basse da
montagna, le gonne ampie. L’ho descritta facendo attenzione a non svelare la
trama. E’ rimasto a contemplare la
cocorita sulla spalla dell’anziana donna e mi continuava a dire che gli piaceva
molto. Un artista è così, trova corrispondenze continue tra la sua vita e
quello che gli gira intorno, tra le sue emozioni e quelle degli altri. L’artista
Umberto è un fotografo, un pittore, un osservatore attento, con l’animo di un
fanciullo, che è poi quello di ogni artista.
Ha messo in moto subito la sua memoria, i suoi desideri, ha parlato
della sua tecnica pittorica, dei colori dell’Africa, dell’America Centrale, degli
artisti conosciuti lì, di politica, di progetti. E quando ci incontriamo i
nostri discorsi si sovrappongono sempre, presi dall’entusiasmo dei rispettivi progetti
a cui vogliamo dare fiato. E non finisce l’uno di raccontare che l’altra sta
già parlando e viceversa. E le voci si rincorrono, nascono idee che si lasciano e poi si riprendono nei discorsi,
fatti soprattutto di storie di vita. E non poteva non mostrarmi i dipinti di un
pittore conosciuto a Cuba di cui mi
spiegava la tecnica, e io di rimando le tele che sto ultimando e poi il
desiderio di dipingere un prato stile Renoir e lui a parlare di una villa dove abbiamo
preparato un servizio fotografico e io a riprendere Felicina e lui a dirmi di
volere il primo disegno a matita della copertina del libro, dopo averlo visto
sul display del telefonino. E mentre parlava mi rendevo conto del vero artista
che avevo davanti. Com’è un vero artista? E’ senza tempo, senza invidia, con un
grande cuore, volto al bene, con una generosità immensa, scopritore di mondi nuovi, universi per altri
irraggiungibili, che per l’arte trova sempre tutto: il tempo, l’entusiasmo, i luoghi, gli spunti, che si accerchia di persone
che stima e ammira, a cui non interessano discorsi futili, volto alla
contemplazione della bellezza, da quella dell’anima al mondo fisico. Mentre parlava
mi rendevo conto del motivo per cui gli italiani sono creativi, con quello che
si ritrovano intorno, nel paese del Rinascimento, in una terra unica. Ed è
stata la volta poi di Pinocchio, passando
per il Grillo, la Casina Vanvitelliana, gli appunti su Leonardo e il suo metodo
di studio e di pittura, alla tecnica del pittore cubano, che sovrapponeva pezzi
artigianali sulla tela ricca di uccelli variopinti, ai tramonti africani, alle
donne senegalesi, ai bambini che giocano nel fango, ai migranti, alla caduta
del Boeing 737, alla necessità di andare in Africa, ai Cinesi che hanno
comprato parte del deserto africano, all’Islamismo e ai cimiteri africani, ai
pannelli fotovoltaici, ai riposi all’ombra di un baobab africano a disquisire
di cavalli, di campi da arare, di gente da sfamare. Che vulcano! E nelle nostre
ampie divagazioni con voci che si
accavallavano, con telefoni che squillavano, e noi irremovibili, non avevamo
mica intenzione di rispondere e rompere quel filo di parole e risate, ci siamo
persi sul sentiero della Sperlonga tra gli alberi e la cocorita, i cani e i
gatti, le linee e l’inchiostro di china. Ora la mente pullula di idee, di
immagini trasferitemi, di colori e sfumature uscite dalle foto del grande maestro,
con quelle atmosfere che rimanda ai Racconti
africani di Doris Lessing o Cent’anni
di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, un’invasione mentale da digerire lentamente,
meglio di qualsiasi altro stordimento. Ma dall’artista Umberto Astarita emerge soprattutto tanta
umanità come non ne trovi negli altri, senza la quale anche la sua arte sarebbe
una mera esercitazione. Grazie Umberto.
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