Guardando cose mai viste prima





In questi giorni a casa, in isolamento per il coronavirus, confinati in alcune stanze, se va bene, in pochi metri quadrati, se va male, stiamo facendo i conti con quello che ci gira intorno. Passiamo del tempo a fissare alcuni oggetti della nostra camera, o alcuni mobili e pezzi di arredamento che forse guardiamo solo per la prima volta. Siamo costretti a passare in rassegna  la poltrona che non ci piace o lo stesso ordine dei libri negli scaffali che forse va cambiato, il lampadario verso il quale non avevamo mai alzato lo sguardo, o vecchie foto che stanno lì ormai da anni. I ritmi lenti delle giornate in isolamento ci permettono di accendere lo sguardo per la prima volta tra le pareti delle nostre camere. Prima eravamo presi dal far entrare nella giornata quante più cose possibili, gran parte del nostro tempo lo passavamo all'esterno. Ora i giorni ci impongono di guardare e vedere tutto quello su cui prima sorvolavamo. Quanti sono i meandri della nostra casa che non conosciamo o cui non abbiamo più dato attenzione? Un cassetto di cianfrusaglie che contiene una vecchia penna mai più trovata, una tovaglia che sbuca da un mobile e davamo per smarrita, un posacenere rinvenuto tra le cose che non ci piacciono più e notare che l'ordine dei quadri sulla parete  forse poteva andare meglio o compiacersi di come siamo stati bravi ad abbinarne la sequenza. Restando a casa, ci si appropria degli ambienti, delle comodità, si usano oggetti messi da parte, si rivede l'ordine e l'utilità di quello che ci passa sotto gli occhi. Solo guardandoci intorno possiamo capire di cosa abbiamo bisogno, di quello che abbiamo usato nel tempo e di quante cose superflue siamo circondati. Come facevamo prima a correre tutto il giorno senza accorgerci delle nostre stanze, dei nostri spazi abituali, così tanti che avevamo dato per scontato e non avevamo guardato più con gli occhi dell'interesse o del bisogno. L'abitudine ci toglie anche la bellezza dagli occhi e appiattisce tutto quello che ci circonda. Tutto diventa uguale ad altro e lo sguardo ci passa su con la velocità di un baleno. Per apprezzare si deve guardare e poi vedere con occhi aperti, bisogna intercettare quello che ci dice il vaso o la scodella, la tazza, regalo di un compleanno e la maglia vecchia che non buttiamo perché ci ricorda una giornata di tanti anni fa. La casa come custodia di momenti della nostra vita, di vissuti lontani, di attimi preziosi raccolti in alcune immagini, libri vecchi sottolineati e da cui, ad ogni riga, riemergono i pensieri soggiunti quando li studiavi. E' come assistere a un processo, il nostro processo, in cui ci scopriamo. La casa contiene orme che valgono più di un registro per identificarci. Ogni elemento è soggetto a una scansione mentale, da cui emerge un'epoca, un periodo, una mentalità, un giudizio. In questi giorni di forzato riposo siamo costretti a guardarci tra le cose e può accadere che ci immergiamo a tal punto da dimenticare pure il motivo per cui siamo relegati in casa. Viene alla mente Xavier de Maistre,  autore francese, che dal 1790 al 1794 scrisse Viaggio intorno alla mia camera,  un viaggio appunto tra le pareti della sua stanza, che gli dava l'opportunità di scorgere quello che non aveva mai visto. Prendeva spunto dagli oggetti per cucire un monologo, che molto spesso sfociava in un dialogo  tra anima e corpo. Lo spunto della stanza per viaggiare intorno a se stessi, diventando di riflesso l'oggetto di studio. La casa che ci accoglie tra i suoi spazi, spesso anche stretti e angusti, può significare la nostra reggia, ma anche la nostra prigione. Talvolta ci tiene al sicuro, altre diventa il posto da cui vogliamo evadere. Tutto ruota attorno alla conoscenza che abbiamo di noi stessi. Una vecchia poltrona di 50 anni fa, ancora ai piedi del letto, mi ha fatto rievocare quando mia madre, poco prima di morire, disse di vederci seduta la madre che era venuta a prenderla. Ora quella poltrona è sempre allo stesso posto, a mo' di reliquia, su cui non oso sedermi. Rimane la poltrona di mia nonna e, quando ci penso, passo in rassegna due generazioni, la sua vecchia forma, il successivo restyling, le macchie tolte nel tempo, il posto su cui sedevo da ragazza, quando mamma era a letto, l'appoggio degli abiti che non andavano riposti subito. E' sempre in ombra, come a voler esserci ma non troppo, a voler ricordare ma non tanto da stare male, a tenere il posto che le spetta, come se quel metro quadrato su cui è collocata fosse il suo regno inespugnabile. Quello è il suo posto fisso, guadagnatosi nel tempo, per le testimonianze che porta con sé e resta lì, sia  che si cambi stile alla stanza, sia che arrivino altri mobili. Lei sosta come un vecchio faro e non fa che elencare e riportare alla luce fatti e storie del passato, come se quella fosse la  missione per cui è nata.


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