Kara Sevda (Amore cieco)

 



Negli ultimi tempi vanno di moda le serie turche, diverse anche su Netflix. Si fondano su drammi familiari, la maggior parte delle volte, su vendette, storie impossibili. Kara Sevda, “Amore cieco”, del 2015, ha avuto un notevole successo. E’ la storia di due giovani che dopo un incontro casuale s’innamorano perdutamente. La forza della storia è nei protagonisti che tra mille difficoltà riescono a vivere il loro sentimento, ma anche nell’antagonista, un mostro di cattiveria che spende tutta la sua vita per abbattere l’avversario. 
Alla dolce storia seppur drammatica di Nihan e Kemal si contrappone quella di Emir che con inganno riesce a sposare Nihan e a costringerla a una vita da reclusa. L’inferno che vivono molte donne prigioniere di uomini che dicono di amarle e invece sono solo i loro carcerieri. Ed è questa la centralità del dramma. Kemal ed Emir rappresentano il bene e il male in una lotta spietata, senza esclusione di colpi. 
L’inizio è fresco e piacevole con due giovani che costruiscono un rapporto vero e sincero. Ma l’adrenalina sale ad ogni scena e con essa la curiosità di apprendere gli sviluppi. Se da una parte i fatti avvincenti chiedono di continuare la visione, dall’altra alcune scene del personaggio spietato di Emir sono fastidiose. Ci si chiede come possa un uomo, che odia il mondo intero tranne la sua amata, avere la forza di escogitare piani senza fine ai danni del rivale, trovarsi sempre in una situazione di vantaggio e non subire mai una sconfitta vera per tutta la serie. E seppure accade, la sua rimonta è sempre migliore rispetto all’altro. Il male nella storia avanza così prepotentemente che non c’è tempo per il bene. Hanno saccheggiato tutto Shakespeare in una sola storia. 
E non c’è bisogno di sfoderare una pistola per far partire l’adrenalina, bastano i dialoghi, parole e risse, sguardi sinistri, anticipazioni di vendette. Le scene più liete non riescono a far dimenticare quelle tragiche. Se alla fine, la fatica attraversata dai protagonisti, ma direi anche dallo spettatore, rimandasse a uno spiraglio positivo, il male avrebbe sortito la sua giustificazione. La cattiveria a volte è gratuita, solo per mantenere alta la tensione, le efferatezze che si compiono sono esagerate rispetto alle motivazioni da cui scaturiscono. Ci sarebbe bisogno di frenare gli eccessi anche per non indurre a emulare imprese sconsiderate. Nessuna redenzione per il cattivo, e vani gli sforzi del buono. Una compromissione dell’equilibrio della storia che, mentre potrebbe essere normale per la durata di un film, non si giustifica per una serie così lunga. 
Dopo le ultime due puntate, ho desunto che l’idea degli autori sia alla fine racchiusa nella frase di Stendhal: “L'amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio”. E proprio sul ciglio di un burrone avviene la scena finale degna di una tragedia greca. Le situazioni sinistre prevalgono, il bene solo un momento fugace. E non si può credere che il male prevalga sul bene come costante di vita. Si evince da un’eccessiva remissione dei personaggi positivi quando invece dovrebbero agire, come se perdessero ogni forza di contrastare il nemico. 
Nel finale il trionfo della malvagità mentre per gli sceneggiatori il sacrificio di Nihan e Kemal serve per il miracolo di una nuova vita che giustifica i contrasti e le avversità vissute dai due. Di positivo la storia ha la bravura di tutti gli attori, con particolare rilievo per il personaggio di Leyla con la quale la vita non è stata generosa e come l’araba fenice emerge dalle sue sofferenze sempre con un sorriso e una speranza per tutti. La sua presenza sullo schermo giunge ogni volta a portare un raggio di sole. E poi i luoghi di una bellezza mozzafiato di Istanbul che diventa essa stessa protagonista e accende nello spettatore la voglia di visitare un paese che pare uscito da Le mille e una notte. Una riscoperta di quell’impero romano d’oriente che pur ha resistito fino al 1453. Istanbul, città malinconica e triste come ce la descrive nel suo romanzo Orhan Pamuk. E’una bella storia, sì, ma tanto sofferta dallo spettatore. Merita un seguito che faccia dimenticare la tragicità e porti anche un po’ di spensieratezza.

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