Leggendo l’articolo di Teresa Ciabatti su Sette, il
settimanale del Corriere della Sera, in cui si parla di quanto Alexa si stia
adoperando per la funzionalità di un’app con la voce dei defunti, mi sono ricordata del periodo vissuto subito
dopo la morte di mia madre.
Alcuni giorni dopo la sua fine, trovandomi sul cellulare il
suo numero, ho provato a chiamarla. Il telefono squillava mentre speranzosa aspettavo
la sua risposta. Ero legata al nostro rito mattutino di sentirci prima di
cominciare le nostre rispettive giornate. Ci riprovai di nuovo e ancora per
giorni. Il mio bisogno si tramutò in un infantile pensiero. Intanto, in quei
pochi minuti che passavo ad attendere invano al telefono, credevo ciecamente
che quel trillo finisse con un “Pronto”. Ancora, non contenta delle telefonate
a vuoto, andai a casa sua, che di lì a poco avremmo dovuto svuotare, per
controllare che il telefono fosse realmente il suo. Lo trovai nel cassetto del
comodino, per niente scarico. Così provai a richiamare: il mio nella mano
destra, il suo nella sinistra. Squillava sotto i miei occhi. Non bastò scoprire
che non avrebbe mai più potuto rispondere, continuai a chiamare a orari
insoliti, come se avessi voluto coglierla di sorpresa.
Mi mancavano le nostre chiacchierate, le nostre risate, le sue sgridate, perché le mamme sgridano sempre i figli, anche da adulti, le confidenze, i battibecchi, il sollievo che provavo solo a sentirla. Attraverso le nostre telefonate quotidiane ci scoprivamo a vicenda, ogni giorno imparavamo qualcosa l’una dall’altra e mi piaceva quando se ne usciva con la sua mitica frase: “ A mamma te mazzeca ma nun te spute” altrimenti detto: “La mamma ti mastica ma non ti sputa”. In un barlume di ragione mi affrettai a cancellare il numero dalla rubrica, pur conoscendolo a memoria, per porre fine a quel teatrino.
Ora leggo che Alexa ci vuole aiutare a elaborare un lutto, riportandoci
la voce dei nostri cari. Sarebbe una relazione a senso unico con strategie
fantasiose. E come potremmo sottostare a un gioco così alterato se non
conoscessimo a fondo il defunto e non ricordassimo soprattutto la nostra vita
con lui quando era in vita? Quante volte ci sorprendiamo a dire: “Se adesso ci
fosse mio padre o mia madre, forse tutto sarebbe diverso”. E’ questa una
richiesta d’aiuto inconscia per volere chi più ci ha amato accanto. Se Alexa mi
riportasse la voce di mia madre, sarebbe un ritornare al passato e non volerne
uscire. A cosa mi gioverebbe sentirla se l’ho stampata nel cervello e la sento
anche senza il suo aiuto? Il vero altare dei defunti è dentro i noi e lì il rapporto
con loro continua in forma muta. Una voce non ci regalerebbe niente di più di
ciò che già accade. Per non dire dei sogni in cui ci tuffano dandoci la loro
presenza. Alexa vuol sentirsi utile a tutti i costi. E se proprio vuole, che
ben venga. Forse una voce nel frastuono della vita può confondere le cose e
giocare con la morte. E si ridurrebbe a un gioco proprio come quando chiamavo
mia madre al telefono pur sapendola defunta. E so anche che se avesse risposto non
avrei proferito parola, mi sarei svegliata dal sogno e capito che non poteva
rispondermi. Viviamo in un’epoca in cui
non accettiamo il dolore ma “Il dolore, dice Eugenio Borgna, accresce la
percezione dell’insufficienza dei godimenti temporanei. Spinge a desiderare
qualcosa che oltrepassi l’abituale, a cogliere fino in fondo ciò che viviamo”.
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