Tra reale e virtuale

 


La generazione dei Baby Boomers si è abituata alla vita virtuale lentamente con un approccio diverso dalla Generazione Z. Pur usando i social i Boomers sono nostalgici e fanno il confronto con i tempi andati. La Generazione Z e Alpha non hanno queste remore. Sono nate con i bottoni in mano, col virtuale già nel loro DNA e non hanno difficoltà a vivere i social. Lo fanno con disinvoltura, scegliendo di volta in volta il canale più adatto per una determinata azione. Eppure è proprio la generazione dei Baby Boomers, i nati tra il 1946 e il 1964, che vive sui social molto più degli altri, leggendo quello che c’è di nuovo, postando, interagendo con commenti e pubblicando contenuti personali. Scruta ogni meandro del web, bazzica su ogni piattaforma, scopre ogni giorno nuovi territori da conquistare. Sono pionieri appassionati e costanti, perdendo spesso la cognizione tra reale e virtuale. Ricordo ancora i primi anni che ero su fb, quando un giorno una mia amica fece un post dove diceva di stare male. La chiamai preoccupata e lei candidamente mi disse che lo aveva scritto per “creare un contenuto”, ma non era vero. Come quella volta che d’estate postai una foto che mi ritraeva in vacanza e scrissi che in quel momento tornavo dal mare. Tornavo realmente dal mare ma non avevo la foto del momento per cui ne misi una dell’anno prima. Altra volta posto una foto di qualche mese prima e nei commenti mi scrivono che, sebbene la foto mi ritraesse da giovane, ero uguale a oggi. Mi chiesi da quali elementi i contatti deducessero di trattarsi di una foto vecchia se era solo di qualche mese prima. E come facessero a trovare elementi differenti dalla realtà se mai, quelli che commentavano, mi avevano visto da vicino. In quei casi mi sarei dovuta mettere a spiegare che la foto era stata scattata appena un mese prima, e non anni addietro, che ero così come mi riportava l’immagine, che non uso filtri, perché credo abbiano un effetto peggiorativo e non mi va di apparire diversa dalla realtà. A voler precisare è come giustificarsi ed evitai. Solo piccoli esempi per dire che tra la realtà e la virtualità ce ne passa. Molti sui social cercano l’effetto straordinario, qualcosa di diverso, come l’esagerazione, la goliardia, l’umorismo e vagano da una parte all’altra lasciando commenti di ogni genere, dicendo la propria per ogni piccola sciocchezza, partendo a  raffica come se non avessero mai avuto la possibilità in vita loro di farlo. E in questo continuo sproloquio no stop gli errori non si contano, non solo ortografici ma proprio di comprensione, incorrendo in ciò che non si vorrebbe. Non si paga alcuna tassa a stare zitti e non siamo delegati in alcun modo a dire la prima cazzata solo per fare colpo sui nostri amici. Si scrive se abbiamo da dire qualcosa di valido senza ledere nessuno. Cosa difficile poiché chi legge i post lo fa con lo stato d’animo di quel momento: per cui se si trova in uno stato di grazia, non ci leggerà niente di male, ma se l’umore è sotto i piedi, non si fa che peggiorare la situazione credendo sia un’antifona per lui. La gente si offende per niente e s’incavola anche per meno, travisa spesso gli scritti, ti prende in considerazione solo quando in quel momento ciò che dici rispecchia il loro animo o sei riuscita a dire quello che avrebbero voluto in quel momento. E poi ci sono quelli che come cecchini, sparano su tutti e per ogni contenuto. Se ci confrontassimo nella vita reale così come in rete, sarebbe un bel problema. Nella realtà non affrontiamo niente e nessuno, poiché dovremmo misurarci con l’altra persona in modo serio e non attraverso scritti e immagini. Quando scrivo un post mi chiedo a chi possa interessare un fatto mio, forse a nessuno, e desisto. Se quell’idea mi rincorre, ci ritorno su e ne comincio a scrivere. Strada facendo mi vengono in mente i miei contatti, chi potrebbe dire cosa, chi forse prova la stessa cosa e non sopporta di leggere ciò che pensa, chi leggendolo potrebbe pensare di avercela con lui. Certo sembra assurdo fare queste riflessioni ma credo chiunque l’abbia pensato. Mi partono mentre inizio a scrivere tanto che spesso cancello tutto mettendomi nei panni di chi legge. Il motto di oggi potrebbe essere: “Penso, dunque scrivo”. Scrivere anche solo un post richiede empatia, capire le circostanze, evitare di ferire qualcuno, anche se quel qualcuno ha ferito te. Chi scrive deve preoccuparsi di dire cose utili, interessanti. Molti parlano e scrivono a “schiovere”, vale a dire a vanvera, giusto per il gusto di colpire, di lanciare frecciatine, di fare apologie, monologhi senza fine. E non è che se sei giornalista, professore, politico sei abilitato a scrivere e dire di più rispetto agli altri per requisire i fatidici like che ti abilitano a diventare un leader. Con tanti like diventi influencer, e questo è l’unico sogno di molti, per cui si parte con i post a raffica sperando di acchiappare consensi anche con una semplice stupidaggine. Ed è per questo che bisogna fare attenzione a ciò che si dice, perché legge anche chi non metterà mai un like ai tuoi post, poiché gli sei antipatico, si contrappone a te ma tutto sommato pensa ciò che scrivi. Le dinamiche che si presentano sui social sono tante e il traffico è maggiore che nella realtà. Abbiamo trasferito il reale nel virtuale tanto che nella realtà non siamo più naturali, ricordiamo quello che l’altro ha scritto, che cosa ha postato, quali commenti ha fatto e se ci incontriamo faccia a faccia non sappiamo che dire. Restiamo degli sconosciuti. Una volta un sacerdote, passato ad altra vita, mi mandò a dire che voleva conoscermi perché leggeva i miei post ed era contento, ogni mattina, di trovarmi in bacheca mentre beveva il caffè. Al like preferisco chi mi legge e scrivo quando ciò che dico non sia un editto o un’arringa e nemmeno una filippica. Quelle le riservo al confronto reale e non virtuale. Anche per scontrarsi con una persona, come si fa ad affidarsi a una tastiera? Avete mai contrattato quella persona? Può darsi abbiate solo dei pregiudizi nei suoi confronti, forse se la conosceste, diventereste veri amici. Le tempeste non sono per il virtuale, qui sopra ci vogliono giornate leggere e ritrovi piacevoli. Il virtuale non deve diventare la brutta copia della realtà. Scrivere rispettando gli altri. Ma nel tempo i social si prediligono alla realtà poiché mascherano, amplificano le parole, riducono di molto ciò che si dice e soprattutto ci rende volubili: chiedere amicizie o cancellarle è diventata un’operazione quotidiana come quella di mangiare. E quando i bambini hanno in mano un giocattolo, prima o poi lo rompono. A volte il silenzio è terapeutico.

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