Il vicolo



Non sempre la tristezza giunge per toglierci qualcosa, a volte ci porta più cose insieme mai più avute o quello che credevamo facesse parte di una sola epoca. Poi succede che per altri motivi ritorni in un vicolo che non ricordavi più esistesse. Ieri sera, scendendo dalla chiesa di Massaquano, 
 




come un automa camminavo lungo la stradina alla ricerca di qualcosa che nemmeno io capivo. Forse solo per il gusto di percorrerla? Per la bella immagine che dava? No, ero lì alla ricerca di una voce, di una corsa, di un bussare alla porta, di un correre irrefrenabile. Quella porta è ancora lì intatta. Mi sono fermata fuori, anche i colori erano gli stessi. Mi sono avvicinata, sembrava di sentire mia nonna che correva ad aprirmi, proprio lì sul vicolo. Ci arrivavo sempre trafelata, lei mi apriva, io facevo una sola domanda, ero lì per quello, e se la risposta era sì, allora ero allegra, altrimenti cadevo in un mutismo totale. Ma ieri sera i colori della porta erano ancora più belli: quel rosa dell’intonaco scrostato, il verde, il bianco. Stranamente ho avuto l'impressione che fosse più grande mentre da piccola mi sembrava una strettoia. Non sapevo nemmeno cosa cercavo. Ma si scava nei ricordi: sentivo il nonno dietro gli alambicchi del vino,  lo zio che canticchiava, o la nonna che trafficava nel retrobottega. E mi pareva che arrivasse a me anche il sapore dei ciu ciu, delle caramelle a menta e del caffè, come del fumo. Non so se sono stata attirata dalla porta come una calamita o la bellezza del vicolo mi ha costretta a percorrerlo. Credo che le cose ci chiamino e per quanto una porta sia inerte sarà diventata umana a furia di aprirsi e chiudersi, ascoltare e rimandare voci. Quella porta l’ho sentita amica, anzi era come una parente e mi sono meravigliata che fosse ancora intatta come allora. Il vicolo era quasi geloso della mia attenzione alla porta, ma non sa il tempo che ho impiegato a guardarlo, rimirarlo, prendere le misure per vedere se correvo più a destra o a sinistra, se toccavo le pareti o strisciavo da qualche lato. Ma di sicuro, lì a percorrerlo, c’era una bambina, svelta, paziente e tenace che lo attraversava anche più di quattro volte al giorno. Quando dall'inizio della stradina vedevo la sua fine qui, dal posto dove osservo, allora mi tranquillizzavo. Era come vedere la punta del monte e io, come Sisifo che rotolavo su il masso. Di notte o di giorno, a sera e al tramonto, a mezzogiorno o di domenica. Il vicolo senza tempo. Lì ho esercitato la mia forza interiore, prendevo le misure di quello che potevo fare, allenavo il mio coraggio. Un cantuccio di paese diventata la mia palestra. Nel vedermi anche il vicolo è rimasto senza parole, avrà risentito la mia voce, o le mie canzoni di quando passavo, o forse si è ricordato dei pianti e si è fatto un look strepitoso per me. Eppure sono passati decenni e la vita si snocciola sempre tutta intera e non puoi buttare proprio nulla, visto che dal fondo emerge con più forza, come una boa che cerchi di tirare sotto e lei sale più velocemente.

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