Ogni anno di questi tempi,
molti si lamentano dell’arrivo del Natale. E’ come vedere un pellegrino da lontano
e perdersi nell’accoglienza. Si comincia
già ai primi di dicembre, quando l’ansia delle feste prende un po’ tutti e,
invece di viverle, si sopportano. Ci
sono quelli che il Natale lo attendono
con trepidazione, di solito i più giovani, e quelli che sperano passi in fretta. Questi
ultimi conoscono i risvolti della festa per qualche momento teso vissuto
precedentemente. Alla felicità della festa più importante dell’anno, che
riunisce tutta la famiglia, si sostituisce la paura di dover restare delusi dagli
incontri familiari per le discussioni spesso troppo infervorate. Il motivo è
semplice: una volta all’anno che la famiglia si ricompone al completo non si
possono affrontare e dirimere questioni e nodi di un tempo. Quando parlo di
famiglia bisogna includere anche i parenti, quelli che non vediamo mai e
incontriamo solo a Natale. C’è sempre la zia che viene a trovarci, il nonno
riottoso ma si piega al volere degli altri, lo zio burlone che si accoda, il
parente brontolone che inseriamo nel contesto. La famiglia è una grande
palestra di pazienza ed educazione. Chi riesce a resistere ai suoi colpi è un
politico eccezionale. E’ lì che si vede la stoffa del comunicatore e del
diplomatico. Durante le feste, e non solo nel giorno di Natale, ci si incontra,
ci si vede spesso, si decide dove stare, cosa preparare, chi andare a trovare,
cosa regalare. Ma il tempo è sempre poco per accontentare tutti e portare a
termine ogni cosa. E così arriviamo al giorno di Natale che mancano all’appello
ancora degli auguri per qualcuno. Quando durante il pranzo ci troviamo uno di
fronte all’altro e ci guardiamo negli occhi, soprattutto verso la fine (è
questo il momento caldo), sembra che tutta la bellezza sfumi. Le complicazioni arrivano con la nostra
bontà, il dovere di essere sinceri, buoni, veri, di cuore. Si raccontano verità
che fanno male, si accusa in modo chiaro, esce fuori la parola che non doveva,
c’è chi dice sempre qualcosa fuori posto per poi pentirsene. Tanti giorni per
poi scontrarsi davanti a una tavola imbandita. Fortunatamente ci sono anche
riunioni più felici, ma molti ricordano
sempre un Natale rimasto indelebile, un
discorso finito male, una decisione presa in quel frangente. Sono i ricordi che
fanno vivere male il presente e se anche ci sono stati Natali indimenticabili,
ricorderemo sempre e solo quello che ci ha fatto male. A quel punto la festa
volge al termine e, in concomitanza con la fine del pranzo, il buonumore scema
rendendoci più fragili e indifesi. Non abbiamo la certezza del Natale come la
famiglia del Mulino Bianco, e poi ogni volta è una festa diversa dall’anno
precedente. A volte è proprio l’idea di conformarla a quella degli anni
passati, senza cambiare una virgola, a rendercela estranea. Il ricordo la esige
sempre uguale, come quando c’erano i nonni, eravamo bambini, tutti presenti,
come quando la vivevamo con l’animo della trepidante attesa da ragazzi. Non sarà che diamo a questo evento
un’aspettativa esagerata, cercando di fare grandi cose, gesti eclatanti, inviti
mai fatti primi, esuberanze mai prese in considerazione, per il Natale che viene
una volta all’anno? E’ proprio questo bisogno di ritorno al passato che non ci
fa vivere la bellezza del presente. E nella smania di rendere la festa sempre
uguale a se stessa, il periodo natalizio diventa un contenitore troppo ampio
dove non riusciamo ad infilare ogni cosa. Questa concentrazione e il fatto di
volerla vivere come qualcosa di eccezionale, rovina la sua semplicità. Se la
vivessimo con normalità, tante situazioni sarebbero più facili da coniugare. Il
Natale è la rievocazione di un fatto storico importante per noi cristiani e la
lunga tradizione ne amplifica la portata. Dovremmo ridare a tutte le feste
religiose, e non solo al Natale, la loro importanza e lo stesso trasporto, viverle con la semplicità
della festa di famiglia. Solo vivendola con
serenità, le doniamo quell’importanza che merita.
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