La Sperlonga è il sentiero di tutti. E’ preso d’assalto dagli
abitanti della zona, dagli sportivi, ciclisti, fotografi, artisti. Gli agricoltori
muniti di tre ruote e furgoncini si spostano per la via stretta e tortuosa per
raggiungere i loro terreni o casolari dove allevano gli animali. Quando questi
incontrano persone lungo la strada, allora si fermano da lontano, osservano, si
rendono conto se conoscono gli ospiti, poi aspettano che passino per guardarli
in faccia, in modo da capire chi sono e se è il caso, salutare. Salendo, nella
prima parte del sentiero, qualche giorno fa, gironzolavano sulla nostra testa
le cornacchie con quel suono inconfondibile del loro verso che di solito
preannuncia la pioggia. Siamo stati fortunati a fare un servizio fotografico prima
dell’arrivo di un bel temporale. Inzuppati abbiamo fatto ritorno. Ma a casa mi
è rimasto l’odore del bosco e i colori, soprattutto il marrone e il blu delle
pozzanghere che si allargavano a vista d’occhio per la pioggia facendomi ricordare quando da bambina ci
andavo a sguazzare di proposito. Peccato, avrei potuto ripetere il gioco, ma le
scarpe non me lo hanno permesso. In Svizzera adottano questa attività ludica
come lezione almeno una volta a settimana nella scuola dell’Infanzia. Battere i
piedi in una piccola quantità d’acqua, tra l’altro sporca, è come avere il
mondo in mano. L’aria nuvolosa e umida rendeva gli alberi e le piante lucide.
Ho visto un albero stracarico di gemme e più là il carrubo nel suo verde scuro
abituale. Un altro mi ha ricordato i macchiaioli o il modo di dipingere dei
pittori francesi. Era alto e dritto, con i rami rivolti al cielo mentre le
estremità cadevano verso il basso. Il tronco perfetto, dritto, come fosse stato
un pilastro al centro della via. L’edera ricamava con le sue giovani foglie i
pali e gli alberi vestendoli di nuovo. Sono riuscita a fotografare un fico
d’India tra gli arbusti davanti al mare e lo scoglio della Margherita, piccolo
in lontananza, come fosse un calabrone
sull’acqua. Mi sono poi seduta su un masso dove poco prima due lucertole
prendevano gli unici raggi fuoriusciti dalle nuvole assiepate sulla
nostra testa. E poi a un tratto piccole gocce sulle guance
che colavano sulla borsa e i capelli cominciavano a pesarmi per l’acqua.
Imperterriti abbiamo continuato a camminare, sfidando i nuvoloni neri sul capo.
Così abbiamo preso la strada del ritorno. Le scarpe inadatte scivolavano sul
selciato e la pioggia, che picchiava sempre più forte, mi ha ricordato quando
restavo sola in mezzo al terreno all’arrivo del temporale e con lo sguardo al cielo aspettavo l'acqua allargando e braccia. Abbiamo affrettato il passo ma non troppo: c’era il pericolo di
scivolare. Nel frattempo la pioggia ci ha levigati bene. Si continuava a
parlare e a raccontare come se l’acqua non scendesse giù a catinelle e ci
stessimo divertendo con la primavera. In quelle pozzanghere vedevo ballare Jene
Kelly mentre cantava Singing in the rain.
L’acqua penetrava nelle foglie, tra i rami, nel terreno, dissetando fin troppo
la vegetazione. E la forma delle nuvole
di poco prima, che era pressappoco quella di due secchi carichi d’acqua, ora
prendeva le sembianze di onde più chiare che cavalcavano oltre i monti. Alla
fine della strada di ritorno, il sole ha fatto di nuovo capolino anche se non
c’era da credergli visto che lo stesso scherzo lo aveva fatto prima che ci
immettessimo sul sentiero.
Commenta...
Nessun commento:
Posta un commento